CANAL, Giacomo
Nacque a Venezia da Bernardo. Dopo un incarico "supra Levante" il 30 agosto del 1489, il 19 genn. 1491 è "iudex Curie examinatorum" (analogo incarico ricoprirà il 1º marzo 1493) fino al 18 dicembre dello stesso anno, quando subentra la nomina ad "advocatus per omnes curias"; ed è fra i "massarij monete auri" il 9 sett. 1494. Negli anni seguenti, se il succedersi continuo di cariche e di impegni testimonia l'attiva presenza del C. nel mondo politico veneziano, non permette tuttavia di individuare una maturazione ed i tratti definiti di una personalità: castellano a Lesina nel 1502, dieci anni dopo, il 30 ott. 1513, è presente alla difesa di Treviso con l'aiuto di dieci "uomini"; poi, il 22 giugno 1515, risulta podestà e capitano a Mestre, "retor di Setia di le cose di la Soria" il 22 febbr. 1521, "proveditor sora i officii", infine, nel dicembre 1525. Sarà soltanto la nomina del 3 genn. 1530 a savio di Terraferma, e il modello di azione che questa comporterà, a far uscire il C. dal freddo meccanismo politico e inserirlo in temi e problemi di più ampio respiro, e precisare la sua figura culturale e religiosa.
Era, d'altronde, la stessa realtà veneziana ad esigere dagli uomini politici cittadini attiva e solerte azione, proprio nel momento in cui un delicato e breve equilibrio politico europeo, oltre ad un inasprirsi della presenza di idee "ereticali", rendeva le decisioni politiche della Repubblica estremamente delicate per le molteplici risonanze che suscitavano. Quando, infatti, il 22 marzo 1530 giunsero a Venezia le richieste dell'arciduca Ferdinando volte a non permettere agli eretici di risiedervi e di limitare quella "libertà" che, in parte, veniva ad essi concessa, oltre a richiedere che "sia perdonato et tolto in grazia Paulo Luzasco", assai violente furono le discussioni avvenute fra i savi del Consiglio e di Terraferma. In fondo, erano in gioco le linee portanti della politica veneziana: accondiscendere alle richieste significava tener fede agli accordi stipulati con Carlo V, ed operare, all'interno della vita religiosa e sociale di Venezia, un rafforzamento delle strutture ecclesiastiche, come caldeggiava il C.; opporsi, come richiedevano i più, significava incrinare un difficile equilibrio raggiunto sul piano diplomatico, oltre ad ammettere e consolidare una dialettica religiosa che frenava, cancellava anzi, mediante alcune istanze riformistiche, l'ingerenza papale ed ecclesiastica.
La discussione fu violenta ed il C. assunse una posizione intransigente, e "parlò... et ben"; non riuscì a smuovere l'opposizione della maggioranza, ma ne limitò l'ampiezza e la consistenza se il giorno dopo, il 23 marzo, non fu possibile prendere, per un improvviso equilibrio di voti, una decisione precisa.
Comunque l'episodio aveva gettato il C. nel vivo dei problemi politici e religiosi, mettendone in luce la prospettiva politica: rispetto, da una parte, dei trattati con l'imperatore, chiusura, dall'altra, verso ogni fermento innovatore nella vita religiosa e repressione dell'"eresia", unitamente al mantenimento, oculato e paziente, della pace col Turco (come dichiarò il 25 giugno [Sanuto, LIII, coll. 294-295], quando nella lettera inviata a Costantinopoli, su sua richiesta, venne ribadito "et semo per continuar in la bona paxe"), che costituisse da fondamento della "prosperità" veneziana. Si tratta di linee che emergeranno, si chiariranno nei principali momenti della sua azione diplomatica o politica.
Il 13 apr. 1530 è inviato a "visitare... uno di duchi di Baviera"; il 18 luglio lascia l'incarico di savio di Terraferma per essere eletto il 17 agosto "sora le mariegole" con l'obiettivo di "limitar li precii". Dopo la rielezione a savio di Terraferma del 31 marzo 1531 (pare seguisse l'assunzione dell'incarico ai Pregadi), ed essere scrutinato fra i Quindici savi "sora le Taxe", il 10 marzo 1532 è nominato avogador di Comun. La sua personalità, ormai, si è imposta.
Pur ricoprendo una carica che sentiva estranea alla sua indole serena in quanto esigeva scelte sovente drammatiche ("è offitio molto contrario a la mia natura", ribatterà nei momenti delle decisioni più angosciose), ferma, tenace resta la sua impostazione politica e religiosa dei problemi. Così nel maggio 1532, quando prese posizione contro un sacerdote, Zuan Pietro di Torreglia, e fu recisamente sostenitore della necessità, dopo che questi era stato posto dal papa allo stato laicale, di eseguire una condanna esemplare facendolo squartare: venuto, infatti, costui a conoscenza di un delitto in confessione, aveva infranto il segreto confessionale, reso pubblico il delitto e l'autore attraverso l'opera di "uno bandito" e per una modesta somma di danaro. Il C. vi intravvede un delitto enorme, pericoloso, in un momento di trionfo dell'eresia, per la Chiesa e per Cristo: "Non fe' signori che lutherani se gloria... perché altramente la barca de San Piero che in mezo al mar vacila se rebalterà immediate" (Sanuto, LVI, coll. 218-221), aveva concluso il suo discorso d'accusa. Analoga durezza, ma intrisa da un emergente cristocentrismo, quale si intravvede dalla struttura delle sue arringhe e dei suoi discorsi, carichi di richiami neotestamentari, e dove Dio non costituisce mai una pura struttura retorica, appare il 12 giugno nel processo intentato a una famosa "signora", Viena, la quale "fu preso di retenir perché la tolse una fia di la Pietà, senza licentia, la vestite, tene et rimandò alla Pietà e se le fosse venuto meno "uno favor grandissimo di nostri zentilhomeni" di certo la pesante condanna patrocinata dal C. non sarebbe mancata. Vi è tutto un susseguirsi di interventi accusatori: contro Marco Gritti, che il 3 apr. 1533 fa rimettere al foro ecclesiastico; nei riguardi di Mafio Bernardo "dal Banco", in rapporto di "inimicitia" con l'oratore Carlo Capello, accusato nell'aprile "de crimine lesae maiestatis".
Intensa, nel contempo, la partecipazione del C. a quegli avvenimenti della vita veneziana, qualifeste, incontri con ambasciatori, missioni di rappresentanza, che costituivano altrettante dimostrazioni di traguardi raggiunti, di una rilevanza politica ormai acquisita: nel maggio faceva parte del gruppo di persone che dovevano incontrare il duca di Urbino, insieme al doge, sul Bucintoro, ed era vestito, nota il Sanuto, di "damaschin cremexin".
La fine del mandato, il 9 luglio 1533, tuttavia, non costituisceuna parentesi di tranquillo riposo se il 29 settembre è nuovamente gettato nel vivo degli impegni di savio di Terraferma. Anche gli orizzonti della sua attività politica si ampliano con l'elezione, il 31 dic. 1533, ad ambasciatore in Inghilterra (lo scisma ne blocca l'usuale svolgimento), elezione "sollicitata et procurata con grande instantia dal nobel homo... Carlo Capello", e mentre sono sul tappeto della politica europea "li importantissimi negocij... et maxime lo abboccamento... fra quella Maestà et la Christianissima". Ma a costituire il momento conclusivo e saliente della sua vita di uomo politico, sarà la nomina a bailo a Costantinopoli, dell'ottobre 1536, che avveniva entro una difficile congiuntura dei rapporti fra Venezia e il Turco, oltre ad inserirsi nel vivo di una crisi navale che inciderà nelle strutture veneziane.
La pesantezza del momento traspare chiaramente dal testamento steso qualche tempo prima della partenza, nel giugno 1537. Il centro, l'anima stessa della sua fede è la Vergine, sola guida, unitamente a suo figlio, Cristo, "in hoc sublunarj mundo", ed in particolare in questo momento annebbiato dalle guerre, ove nulla è sicuro, e la morte regna sovrana battendo "equo pede" indistintamente "pauperum tabernas regumque tures". Guida, pure, ai magistrati, ai servitori della Repubblica, i quali abbisognano di una autentica fede per resistere alle fatiche degli impegni, e per mantenere intatta la "charitas... patrię", quella "charitas" che esige un profondo sprezzo della vita propria ed una disponibilità totale. Pervaso da questo amore, qualora morisse, desidera che il suo corpo venga sepolto nella chiesa di "San Symon propheta", nella quale deve essere costruito "uno altar nel qual sia meso la mia bela nostra dona de razo che me atrovo in casa"; un sacerdote, poi, di "bona vita et fama" non mancherà giornalmente di celebrarvi la messa. L'intero patrimonio, invece, resta al figlio Marco Antonio "el qual, povereto, al presente se trova in exilio per una lieve causa". Non era, quindi, solo il mondo che lo circondava, quella società, quelle guerre incalzanti, ma pure l'amarezza di una vita famigliare già da tempo rattristata, incrinata nella sua armonia, a pesare sul suo prossimo, lungo soggiorno a Costantinopoli, che metterà a dura prova i sogni di una duratura pace col Turco quale fondamento della sicurezza e prosperità veneziane.
Partito da Venezia con l'ordine di sottolineare al gran signore "la bona mente et intentione nostra di perseverar et perpetuar nella bona et sincera pace", e con la prospettiva di risiedere due anni in sostituzione di Nicolò Giustinian, il 26 luglio, ancora in viaggio, e colto da una febbre acuta, riceve da Costantinopoli l'invito ad accelerare l'arrivo per urgenti consultazioni. La situazione politica generale, infatti, stava precipitando sia per l'indirizzo a volte filoimperiale assunto da Venezia (le suggestioni di una grande lega contro il Turco assumevano vieppiù concretezza), sia per i ripetuti incidenti fra navi veneziane, corsare e turche.
Difficile ed ambiguo si fa dunque, sin dal principio, il dialogo fra Venezia e il suo bailo; l'idea di una "bella et gagliarda impresa" con l'imperatore sta conquistando i cuori di gran parte della classe dirigente veneziana, mentre il C., nella corrispondenza, sarà preoccupato della pace, e solo della pace, consigliando pure di sorvolare sugli incidenti navali, numerosi ma ineluttabili. Sarà solamente la dura lezione della Prevesa (ottobre 1538), mentre è internato nella torre di Mar Maggiore, ad avvalorare le sue prospettive ed i suoi sogni. Ed allora, soprattutto dall'aprile 1539, diviene il cardine per l'elaborazione di una pace, per la quale era necessario far dimenticare sia l'"adversità della fortuna" sia le "sinistre suggestione de maligni". Le commissioni di Lorenzo Gritti e Pietro Zen (aprile 1539), le trattative di Piero di Franceschi (27 dic. 1539) vengono aiutate, sostenute dal C., che presenzia pure alla consegna di Castelnuovo, in una visuale politica antifrancese.
E se ampie e durature prospettive di pace stavano scaturendo, ormai, nel momento della sua partenza da Costantinopoli dell'estate del 1541, tuttavia era consapevole della nascita di nuovi tempi per Venezia, tempi difficili se lo stesso Adriatico viene continuamente minacciato dalla penetrazione corsara, insistente, oltraggiosa. Già il 14 apr. 1541, a pochi mesi dalla partenza, infatti, cinque fuste "turchesche" erano entrate "in Golfo". Le proteste veneziane alla Porta erano state assai vivaci; ma sconcertante risultava il comportamento di questa e dei corsari: "se sono superiori a nostri la fano da Corsarj et inferiscono...; se sono jnferiorj dicono esser schiavj de Soa Maestà et sono ben tractati da nostri, cose veramente de mala natura". Nasceva, in definitiva, un nuovo modo di intendere i rapporti mediterranei, con una pirateria che diveniva il nuovo strumento di guerra, latente, nascosta, utile sia al mondo turco che al mondo cristiano, nelle sue basi di Modone, Lepanto, Corone, Durazzo, la Vallona e la Prevesa. Per farvi fronte, occorrevano uomini e strutture nuove a Venezia.
Morì il 4 ag. 1543; la sua figura comparirà, con una connotazione eminentemente politica, nel dialogo del nipote Cristoforo da Canal, Della Milizia marittima, come interlocutore polemico e acuto.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Segretario alle voci, reg. 1, 6, 7, 10, 11; Testamenti. Atti Bianco Francesco, III, b. 126, n. 476; Senato, Deliberazioni Secreta, regg. 56, 59, 60, 61;Venezia, Civico Museo Correr, ms. Cicogna 2889:G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio..., I, c. 121v;Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, ms. It., cl. VII, 925(= 8594):M. Barbaro, Geneal. d. fam. patrizie venete, II, c. 203v; Calendar of State Papers and Manuscr., relating to English Affairs... in the Archives... of Venice..., IV, a cura di R. Brown, London 1971, pp. 274, 389, 414, 415-416;V, ibid. 1873, pp. 14, 70; Commiss et relat. venetae, a cura di S. Ljubić, II, Zagabriae 1877, pp. 115 s.; M. Sanuto, Diarii, IV-LVIII, Venezia 1880-1897, ad Indices; Nunziature di Venezia, II, a cura di F. Gaeta, Roma 1960, in Fonti per la st. d'Italia, XLV, pp. 126, 272, 284 288, 291, 293; P. Paruta, Hist. venetiana, I, Venezia 1605, p. 595; G. Sagredo, Memorie istor. de' monarchi ottomani, Venezia 1679, p. 250; T. Bertelè, Il palazzo degli ambasciatori di Venezia a Costantinopoli, Bologna 1932, pp. 58 s., 414, 423 (a cui si rimanda per la ricca bibliografia); R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, II, Milano-Messina 1946, pp. 92-99; A. Tenenti, Cristoforo da Canal. La marine vénitienne avant Lèpante, Paris 1962, pp. 19, 73.