GIACOMINI TEBALDUCCI MALESPINI, Lorenzo
Nacque ad Ancona il 29 febbr. 1552 da Jacopo di Lorenzo e da Elisabetta di Filippo Gondi. Per ragioni ereditarie i Giacomini avevano unito al cognome quello dell'antica famiglia fiorentina dei Tebalducci di S. Maria Novella (gonfalone del Leon Bianco), proprietari terrieri, a loro volta imparentati con i Malespini.
I Giacomini Tebalducci raggiunsero una grande ricchezza nella prima metà del sec. XV con Tommaso, mercante e banchiere, attivo a Venezia, Genova, Roma, Bruges e Londra, la cui figlia sposò Giannozzo Manetti. La madre del G. era nipote del celebre Piero di Gino Capponi. Dopo la cacciata dei Medici, i Giacomini Tebalducci parteciparono attivamente alla vita politica della Repubblica fiorentina: nel 1529 il nonno del G., Lorenzo, fratello del commissario della Repubblica Antonio Giacomini Tebalducci, fece parte dei Dieci di balia e nel 1530 il padre Jacopo di Lorenzo venne confinato per tre anni a Fermo (Varchi). Un altro membro della famiglia, Giovanni Battista Giacomini, detto Piattellino, fu decapitato dopo la battaglia di Montemurlo del 1537.
Dopo la restaurazione medicea il padre del G. commerciava ad Ancona, per cui questi passò i primi anni e iniziò i suoi studi nella città marchigiana. Dopo il ritorno della famiglia a Firenze studiò il greco e il latino e apprese anche le basi dell'ebraico. Entrò nell'Accademia dei Lucidi di Eufrosio (Frosino) Lapini e ne fu eletto console nel 1566; nello stesso anno pronunciò un'orazione intitolata Dimostrasi quanto importi la buona istruzione nella minore età e diede alle stampe la Lettione nella quale si dimostra la virtù poter fare l'uomo felice (Fiorenza, Stamperia ducale), preceduta da una dedica al duca Cosimo I, nella quale il G. dichiarava fedeltà e devozione alla casa medicea.
Gli insegnamenti di Pietro Vettori indirizzarono il G. alla filologia. Sotto la guida del grande classicista egli commentò autori greci, come Aristofane, Euripide e Sofocle. Negli inverni 1568-69 e 1571-72 il G. frequentò lo Studio di Pisa, seguendo le lezioni del filosofo peripatetico Francesco Buonamici. A quel periodo risalgono due esemplari annotati dal G. della Retorica aristotelica nella traduzione di Annibal Caro (Pisa, Bibl. universitaria, mss. 551, 552) e il trattato di carattere teologico l'Esortatione alla vita cristiana (Fiorenza, Giunti, 1571).
A causa dell'aggravarsi dello stato di salute, già cagionevole, interruppe gli studi pisani (cfr. le lettere del cugino Filippo Sassetti, in Sassetti, pp. 73-77); i medici gli avevano consigliato il soggiorno ad Ancona e il G. vi passò quasi tre anni, dall'autunno del 1572 alla primavera del 1575 (con un breve intervallo a Firenze nell'estate del 1574), dedicandosi agli affari di famiglia. Insieme con i fratelli Filippo e Pierantonio, e in società con lo zio materno Giovan Battista Gondi, si dedicò ad attività finanziarie e mercantili sulle piazze di Ancona, Venezia e Lione. Ad Ancona, crocevia degli interessi che univano l'Europa all'Oriente e scalo privilegiato da e per la Repubblica di Ragusa, il G. ebbe contatti con personalità della città dalmata che soggiornavano in Italia (Gondola, Gozze, Marino e Giugno Bobali, Domenico Ragnina).
Gli affari non lo distolsero del tutto dai suoi interessi culturali e dalle letture. Ad Ancona, nell'inverno 1573-74, prese parte all'allestimento di una rappresentazione della tragedia di G.B. Giraldi Cinzio Orbecche e, dopo il ritorno a Firenze, entrò nell'Accademia Fiorentina. Vi tenne lezioni su vari temi (Della nobiltà delle lettere e dell'arme, Ragionamenti d'amore, Desiderio d'onore) e commentò due sonetti di F. Petrarca. Dall'ottobre al dicembre 1577 soggiornò a Roma, dove, insieme con Nero Del Nero, assistette alle lezioni di Marc-Antoine Muret. Nel 1579 fu nominato censore dell'Accademia Fiorentina e nel 1583 ne divenne consolo. La sua conoscenza del greco traspare dai volgarizzamenti, rimasti inediti, di testi di Aristotele, di Demetrio Pseudo-Falereo e di Platone.
I manoscritti di queste traduzioni sono in maggior parte di mano del fonetista fiorentino Giorgio Bartoli, al quale il G. dettò molte delle sue opere. Il Bartoli fu suo amico e maestro, a lui il G. affidava le correzioni dei suoi scritti e chiedeva pareri in diverse faccende private, come risulta dalle lettere inviategli dallo stesso Bartoli tra il 1568 e il 1583 (Firenze, Bibl. Riccardiana, ms. 2438, vol. III bis, cc. 1r-94v). Ogni volta che il G. si allontanava da Firenze, il Bartoli lo teneva aggiornato; dal 1581, inoltre, sovrintese alla costruzione della casa fiorentina della famiglia Giacomini, proseguita dal G. dopo la morte del fratello Filippo nel 1580: un palazzo in via Tornabuoni rifatto su progetto attribuito a Giovanni Antonio Dosi.
L'8 luglio 1583 Torquato Malaspina introdusse il G. nella fiorentina Accademia degli Alterati, dove fu accolto con il nome accademico di Mesto, per impresa una cerva che va alla fonte col motto "Quanto fia quel piacer, se questo è tanto". Il G. partecipò intensamente all'attività del cenacolo e nel 1585 gli fu affidata la carica di reggente; il suo contributo riguardò soprattutto le opere di Torquato Tasso e di Francesco Patrizi da Cherso, a partire dalle quali affrontò questioni linguistiche e inerenti al contemporaneo dibattito sui modelli letterari. Tra il 1585 e il 1587 produsse interventi riguardanti la tragedia e i poemi epici di Omero e di Virgilio, ma affrontò anche il tema Delle leggi e l'obbedienza dovuta a esse. Molto vivi erano i contatti degli Alterati con i centri di Padova e di Ferrara, e il G. fu in corrispondenza con Francesco Patrizi e Battista Guarini.
Per i funerali del granduca di Toscana Francesco I, nel 1587, il G. pronunciò il discorso funebre, che gli procurò fama di eccellente oratore (Orazione de le lodi di Francesco Medici gran duca di Toscana, Fiorenza, Sermartelli, 1587).
Negli anni seguenti si occupò soprattutto degli affari; la sua partecipazione a una società di Lione è documentata negli archivi notarili della città francese. Continuava a partecipare, tuttavia, seppure meno assiduamente, alle riunioni degli Alterati: nel 1591 dibatté sul poema dantesco, nel 1592 tenne il discorso commemorativo di Alessandro Canigiani e il 1° dicembre 1595 pronunciò l'Oratione in lode di Torquato Tasso (Fiorenza, Marescotti, 1595). Si oppose fermamente all'unificazione degli Alterati con l'Accademia della Crusca; nel 1592 ebbe ancora l'incarico di consigliere all'Accademia Fiorentina.
Travagliato dalla malattia, il G. trascorse gli ultimi anni per lo più a Bonazza, l'antico possedimento della famiglia in Val di Pesa. Fu ancora a Roma nel 1596.
Morì a Firenze il 14 ott. 1598. Il 30 ag. 1588 aveva sposato Marzia di Paolo Carnesecchi, dalla quale ebbe due figli, Pierantonio, poi canonico fiorentino, e Jacopo.
Molti dei trattati del G. sono dedicati a questioni linguistiche. L'orazione per la fine del consolato nell'Accademia Fiorentina pone l'accento sull'importanza delle traduzioni di opere scientifiche allo scopo d'innalzare il volgare al livello delle lingue classiche, adeguandolo a tutti i settori del sapere. In due lettere a Scipione Bargagli espone la sua idea classicistica di lingua e parla dell'arricchimento del toscano mediante l'apporto di voci straniere e dialettali. Le traduzioni mostrano sia un'ottima conoscenza del greco, sia un assiduo lavoro sulla lingua d'arrivo, volto a rendere il più fedelmente possibile il testo originale.
Una parte importante della produzione del G. riguarda la teoria letteraria. Nel trattato De la purgazione de la tragedia, del 1586, egli dà una definizione di catarsi che sottolinea l'importanza sociale dell'arte, il suo fine utile e dilettevole. Nel Del furor poetico, del 1587, affronta il rapporto natura-arte nella creazione poetica. L'ispirazione è uno stato d'inebriamento fisico fondamentale per chi crea, ma il lavoro di cesello è indispensabile per ottenere la perfezione artistica. La polemica sulla Gerusalemme liberata lo vede schierato dalla parte dei sostenitori di Tasso, con cui intrattenne anche rapporti epistolari. Il 4 sett. 1586, nell'Accademia degli Alterati, recitò una lezione in difesa della sua opera; il discorso commemorativo tenuto nel 1595 mostra la sua predilezione per un'arte intesa come ricerca formale e indica nell'opera tassiana il modello di una nuova poesia caratterizzata dallo stile magnifico e meraviglioso.
Le lettere a Ulisse Aldrovandi del 1586-87 testimoniano l'inclinazione del G. per le scienze naturali, confermata anche negli scambi di piante e di altri reperti tra i due studiosi. Nel dialogo sulla fisiologia umana dello studioso di medicina Giovan Battista Muzi, Della cognizione di se stesso (Fiorenza, Giunti, 1595), il G. figura come interlocutore insieme con Giovan Battista Strozzi e Bastiano Medico.
Oltre alle lettere all'Aldrovandi e al Tasso ci sono pervenute quelle che il G. scrisse a Filippo Sassetti e a Giovan Battista Strozzi il Giovane (Firenze, Bibl. nazionale, Magl. VIII.1399, cc. 28r-58v). Invece tre volumi del codice della Biblioteca Riccardiana (ms. 2438, voll. I, II bis, III bis) raccolgono le lettere che il G. ricevette da familiari e consiglieri, nonché da letterati illustri: Diomede Borghesi, Belisario Bulgarini, Francesco Panigarola, Giovan Vincenzo Pinelli, Antonio Possevino.
Il G. compose pure brevi liriche d'occasione (odi e sonetti senza particolare valore letterario), alcune delle quali sono state stampate in opere di altri letterati (per esempio in: F. Lapini, Latinarum institutionum pars altera, Florentiae, Sermartelli, 1570; e G. Bartoli, Degli elementi del parlar toscano, Fiorenza, Giunti, 1584). Rimangono pochi inediti: una poesia latina in morte del poeta Paolo Del Rosso (Firenze, Bibl. nazionale, Filze Rinuccini, 20), i versi latini e greci per il vescovo di Ragusa Ludovico Beccadelli e per Giuseppe Nozzoli (Parma, Bibl. Palatina, Pal. 555, cc. 515r-519v). Nel 1568 Gian Michele Bruto dedicò al G. il terzo volume della sua edizione lionese delle Orazioni di Cicerone e in memoria del G. scrissero versi Antonio Giganti e Gabriello Chiabrera (l'epitaffio "Un, che di senno, e di dottrina adorno").
Opere: gli scritti del G. sono conservati presso le seguenti biblioteche fiorentine: Bibl. Medicea Laurenziana, Ashb. 531; Bibl. nazionale, Fondo Nazionale, II.I.98; II.III.288; Fondo Magliabechiano, VI.155; VI.168; VII.1446; IX.124; XXXV.234; Tordi 202; Bibl. Riccardiana, mss. 61, 89, 1599, 1612, 2437, 2534, 2563.
Per i manoscritti di opere greche autografi del G., cfr. G. Vitelli, Indice dei codici greci nella Riccardiana, in Studi di filologia classica, II (1894), pp. 510 s., 530 s., e A. Turyn, Studies in the manuscript tradition of the tragedies of Sophocles, Urbana, IL, 1952, pp. 200 s. Per una bibliografia delle opere a stampa si veda B. Gamba, Serie di testi di lingua italiana, Venezia 1839, pp. 158, 172, 420 s., 447, 450, 454; per le edizioni dell'orazione in lode del Tasso, B. Locatelli, Bibliografia tassiana, Bergamo 1912, pp. 958 s. La prima edizione a stampa di scritti del G. è Orationi e discorsi, Fiorenza, Sermartelli, 1597; due orazioni sono edite da C.R. Dati in Prose fiorentine, Firenze 1661, pp. 79-111, 112-157, e nelle successive edizioni (Firenze 1716, pp. 107-144; ibid. 1727-31, I, pp. 264-327; II, pp. 256-292; III, pp. 212-250; IV, pp. 74-220; V, pp. 28-41; rist. Venezia 1751-54) vengono inserite altre sue opere. Inoltre: L. Clasio (L. Fiacchi), Lezione di Lorenzo Giacomini sopra il sonetto del Petrarca "La gola, il sonno…" illustrata con notizie dell'autore e altri suoi lavori, in Opuscoli inediti di celebri autori toscani, Firenze 1807, pp. 165-199; Della nobiltà delle lettere e delle armi, a cura di D. Moreni, ibid. 1821; De la purgazione de la tragedia e Del furor poetico, in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, a cura di B. Weinberg, III, Bari 1972, pp. 345-371, 421-444. Per le lettere: A. Solerti, Bricciche tassiane, in Miscellanea di studi critici edita in onore di A. Graf, Bergamo 1903, pp. 571-582; Ulisse Aldrovandi e la Toscana. Carteggio e testimonianze documentarie, a cura di A. Tosi, Firenze 1989, pp. 32, 405-408, 440; A. Siekiera, Una disputa di fine Cinquecento intorno alla questione dei forestierismi (due lettere inedite di L. G. a Scipione Bargagli), in Studi linguistici italiani, XX (1994), pp. 166-195.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Manoscritti, 391; 597, I; Carte Pucci, VI, 20; Carte Dei, 25/4; Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Ashb. 558.II; Ibid., Bibl. nazionale, Magl. XXXVIII.115, c. 209rv; P. Vettori, Variarum lectionum libri XXXVI, Florentiae 1582, p. 385; L. Salviati, Degli avvertimenti della lingua sopra 'l Decamerone, Venezia 1584, p. 160; M. Poccianti, Catalogus scriptorum Florentinorum, Florentiae 1589, p. 107; F. Bocchi, Le bellezze della città di Firenze, Fiorenza 1591, p. 96; P. Mini, Discorso della nobiltà di Firenze, Firenze 1593, p. 106; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di G. Milanesi, II, Firenze 1843, p. 409; J. Nardi, Istorie della città di Firenze, II, a cura di A. Gelli, Firenze 1858, p. 311; F. Sassetti, Lettere da vari paesi, 1570-1588, a cura di V. Bramanti, Milano 1970, pp. 73-77; F. Patrizi, Lettere ed opuscoli inediti, a cura di D. Aguzzi Barbagli, Firenze 1975, pp. 427, 440; P. Fiorelli, Due lettere glottologiche di Giorgio Bartoli, in Tra Rinascimento e strutture attuali. Saggi di linguistica italiana, a cura di L. Giannelli - N. Maraschio - T. Poggi-Salani - M. Vedovelli, Torino 1991, pp. 49 s., 54, 64; Trattati di fonetica del Cinquecento, a cura di N. Maraschio, Firenze 1992, pp. 357, 377-382, 384 s., 402-409; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. 232, 236 s., 243, 253, 259-274, 284 s., 288, 320, 326, 328, 362; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp. 259, 367; F.S. Quadrio, Storia e ragione di ogni poesia, IV, Milano 1743, p. 218; D.M. Manni, Memorie dell'Accademia degli Alterati, Firenze 1748, p. 14; F. Argelati, Biblioteca degli volgarizzatori, I, Milano 1767, p. 106; B. Vecchietti, Biblioteca picena, o sia Notizie istoriche delle opere degli scrittori piceni, V, Osimo 1796, pp. 64-69; M. Colombo, Opuscoli, III, Parma 1827, pp. 202 s.; F.L. Polidori, Prefazione a Vite di illustri italiani inedite o rare, in Arch. stor. italiano, IV (1843), pp. XXIII-XXXIII, XXXV s., XLIX, LV, LXXVI, XCII; F. Inghirami, Storia della Toscana, Fiesole 1844, p. 315; H. de Charpin-Feugerolles, Les Florentins à Lyon, Lyon 1894, p. 120; A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma 1895, pp. 656, 816 s.; F. Niccolai, Pier Vettori (1499-1585), Borgo San Lorenzo 1912, pp. 107-109; B. Weinberg, Nuove attribuzioni di manoscritti di critica letteraria del Cinquecento, in Rinascimento, III (1952), pp. 249 s., 255; Id., Argomenti di discussione letteraria nell'Accademia degli Alterati (1570-1600), in Giornale stor. della letteratura italiana, CXXXI (1954), pp. 177, 187-189, 191-193; Id., A history of literary criticism in the Italian Renaissance, Chicago 1961, I, pp. 18, 59, 62 s., 299, 310, 315 s., 322-324, 523-528, 559 s., 579, 626, 633; II, pp. 842, 929-932, 1058-1060; M.E. Cosenza, Biographical and bibliographical Dictionary of the Italian humanists, II, Boston 1962, coll. 1596 s.; L. Martines, The social world of the Florentine humanists, 1390-1460, Princeton 1963, pp. 214-221; C.V. Palisca, The Alterati of Florence, pioneers in the theory of dramatic music, in New looks at Italian opera. Essays in honor of Donald J. Grout, a cura di W. Austin, New York 1968, pp. 22 s., 25-29; R. Gascon, Grand commerce et vie urbaine au XVIe siècle. Lyon et ses marchands, Paris 1971, p. 918; C.J. Valone, Giovanni Antonio Dosio and his patrons, tesi di dott., Northwestern University, Evanston, IL, 1972, pp. 234-239; E. Cochrane, Florence in the forgotten centuries 1527-1800, Chicago-London 1973, pp. 107, 114, 128, 131, 138, 151; M. Pantič, I Bobali ed i Gozzi da Ragusa e l'Italia nel Seicento, in Barocco in Italia e nei paesi slavi del Sud, a cura di V. Branca - S. Graciotti, Firenze 1983, p. 109; C.V. Palisca, Humanism in Italian Renaissance. Musical thought, New Haven-London 1985, pp. 405-407; S. Gensini, Volgar favella. Percorsi del pensiero linguistico italiano da Robortello a Manzoni, Firenze 1993, pp. 22 s.; A. Siekiera, Una traduzione della "Poetica" del 1573, in Rinascimento, XXXIV (1994), pp. 365-376.