FIORELLI, Giacinto
Secondogenito di Asdrubale di Giacomo e di Ippolita Pocobello, nacque a Venezia nel 1667.
La famiglia, originaria di Firenze, risiedeva nella parrocchia di S. Felice, e si era ormai inserita nell'amministrazione statale. Anche il F. riuscì ad impiegarsi nell'apparato burocratico, ed entrò nella Cancelleria ducale, ma soltanto il 2 maggio 1705 il suo nome compare nei registri dell'avogaria di Comun, per esservi accettato come notaio al servizio delle varie magistrature. La prima significativa documentazione della sua attività pubblica risale al 31 dic. 1712 ed è costituita da uno spesso fascicolo di lettere inviate dal F., allora segretario dei provveditori alla Sanità, a Francesco Grimani, che si trovava in Friuli per organizzare le difese contro una pericolosa epidemia diffusa nella Stiria e che minacciava anche le terre veneziane.
Il 2 giugno 1714 il F. fu eletto segretario del Senato. La notizia gli pervenne a Francoforte, dove era giunto al seguito del nuovo ambasciatore in Inghilterra, Nicolò Tron, che stava appunto raggiungendo la sede londinese. Per tre anni il F. servì nella legazione con indubbio merito, se al rimpatrio del Tron (giugno 1717) il Senato gli ordinò di subentrargli con il titolo di residente. L'onore di rappresentare la Repubblica in un paese interessato dal più forte processo di sviluppo economico che la storia avesse mai conosciuto, e che nel contempo stava avviandosi a divenire l'arbitro dell'equilibrio europeo, si associava, nell'animo del F., al timore - peraltro prontamente e replicatamente manifestato - di non poter supplire ai dispendi connessi al grado conferitogli, "attesa l'impotenza della mia famiglia a suffiagarmi"; perciò si augurava di poter essere sostituito da altri "in giorno non lontano".
Sostenne invece la carica per ben undici anni, dal 24 giugno 1717 al 20 ag. 1728, occupandosi quasi esclusivamente di questioni relative alla politica britannica; rarissime, nei suoi dispacci, le pagine di un qualche rilievo dedicate ai rapporti tra i due Stati o toccanti i diretti interessi veneziani.
A dire il vero, finché durò la guerra di Morea - anche se dopo la vittoria del principe Eugenio a Temesvar e la successiva conquista di Belgrado, nell'agosto del 1717, appariva ormai chiaro che la composizione del conflitto non dovesse essere lontana - il F. ebbe modo di riportare informazioni verosimilmente in grado di sollecitare l'attenzione del Senato (come quelle relative alle mosse della squadra spagnola salpata da Barcellona, che astutamente G. Alberoni aveva lasciato credere fosse per recar soccorso alle navi venete poste alla difesa di Corfú, e invece era diretta in Sardegna), ma quando venne firmata la pace a Passarowitz, dovette limitarsi a passare informazioni indirette. Così, ad esempio, tra il 1717 ed il '19 riferiva sulle mire austriache di attivare un porto franco a Trieste o a Fiume, realizzando in tale modo il sogno, a lungo perseguito dall'imperatore Carlo VI, di promuovere nei suoi Stati un commercio marittimo, in questo caso - come del resto avvenne - a scapito della piazza realtina. Ancora, nel 1724 rassicurava il Senato sull'ennesimo tentativo dei Bolognesi di immettere il Reno nel Po, stavolta ottenendo da I. Newton - "soggetto tra matematici di una sublime cognizione" - un parere scientifico in grado di vincere le resistenze degli Stati che temevano negative alterazioni del normale decorso del fiume; onnipresenti, invece, i suoi sforzi tesi, di volta in volta, a denunciare, o a rabbonire, i mercanti inglesi che pare non sempre pagassero il dazio sulle uve passe che acquistavano a Zante e nelle altre isole venete del mar Ionio.
Ben altro rilievo assumono d'altro canto, nelle filze dei dispacci inviati a Venezia dal F., le questioni attinenti alla politica europea - dalle iniziative spagnole nel Mediterraneo alle vicende baltiche connesse con la guerra anglo-svedese - quali potevano essere esaminate dal privilegiato osservatorio londinese; o quelle relative agli incessanti contrasti che sotto il regno di Giorgio I lacerarono la stessa famiglia reale.
Queste ultime soprattutto sembrano assorbire l'attenzione del F., che ne ricava una valutazione decisamente riduttiva della potenza inglese: da questo punto di vista egli appare un uomo rivolto al passato, incapace di intravvedere gli sviluppi del futuro; il F. insomma - perlomeno nei primi tempi della sua permanenza londinese - guarda ancora alla Francia ed all'lmpero come ai tradizionali giganti della scena politica europea e non sembra accorgersi che proprio sotto i suoi occhi è in atto un processo economico e sociale di eccezionale importanza. Gravissimi gli appaiono infatti i "continui, e mordaci dibattimenti" che oppongono i whigs ai tories (i quali certo costituivano un singolare fenomeno anche per un veneziano uso si a conoscere i dibattiti assembleari, ma non l'esistenza di veri e propri partiti politici) e ancora più pericolosa la rivalità esistente tra il re e il principe di Galles, sfociata nel dicembre 1717 nel clamoroso arresto di quest'ultimo. Solo col passare degli anni si ha l'impressione che il F. muti le sue posizioni, che finalmente cominci ad accorgersi dei positivi risvolti insiti in un sistema politico-sociale dove le diversità di opinione, anche vivaci ed accese, non si traducevano necessariamente nell'anarchia o nella paralisi; questa evoluzione del pensiero del F. trovò infine la sua sanzione nell'agosto del 1727, allorquando salì al trono Giorgio II, sulle cui "doti eminenti", così diverse dalla rozzezza paterna, il F. sembra non nutrire alcun dubbio.
La legazione del F. ebbe termine un anno dopo: sin dagli inizi del 1726 egli aveva chiesto al Senato la "grazia" di rimpatriare per motivi di salute. Ottenuto l'assenso del suo governo, lasciò l'Inghilterra dopo una permanenza di quattordici anni ed il 29 ag. 1728 scrisse da Parigi il suo ultimo dispaccio, lamentando un progressivo deperimento fisico.
Né s'ingannava: morì a Venezia qualche mese più tardi, l'8 marzo 1729. là sepolto nella tomba di famiglia, a S. Stefano.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscell. codd., I, Storia veneta, 5: T. Toderini, Genealogia delle famiglie venete ascritte alla cittadinanza, II, p. 842; ibid., 11: G. Tassini, Cittadini ven ..., sub voce; per i testamenti del padre e della zia Marina vedova Salomon, della quale il F. fu erede, Ibid., Notarile. Testamenti, rispettivamente b. 140/21 e b. 136/89; per la nomina a notaio e segretario, Ibid., Avogaria di Comun, b. 452, fasc. 1, ad Indicem; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni dei pregadi, reg. 23, c. 130; la corrispondenza con F. Grimani, in Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. Morosini-Grimani 503/1, cc. 128r-304v; sulla legazione in Inghilterra, Arch. di Stato di Venezia, Senato, Dispacci Inghilterra, f. 91, nn. 155, 168; ff. 92-97; Ibid., Senato, Expulsis papalistis, f 13, sub 11 febbr. 1723 more veneto (=1724); Ibid., Inquisitori di Stato, b. 156: Lettere agli ambasciatori in Inghilterra, nn. 97-101; b. 444: Dispacci dagli ambasciatori in Inghilterra, non numerati (si tratta di ventitre lettere scritte dal F. tra il 20 ag. 1717 ed il giugno 1728); Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, I, Inghilterra, a cura di L. Firpo, Torino 1965, p. XXXIV.