DI BARTOLO, Gesualdo
Figlio di Celestino, fabbricante di maioliche, e di Carmela Velardita, nacque a Caltagirone (Catania) il 22 apr. 1858. Dopo aver lavorato fin da bambino nella bottega paterna, ancora diciottenne frequentò per due anni la scuola serale di disegno, aperta dal Comune nel 1876 presso l'ex caserma borbonica, comunemente detta Carabozzo; e lì fu allievo dello zio Giuseppe Di Bartolo, che vi insegnava plastica. Nel contempo collaborò con i fratelli Giacomo e Gaetano nella bottega paterna, da dove uscì una larga produzione di stoviglie, ma anche di mattonelle maiolicate e decorate con ricchi disegni, come quelle per il pavimento della locale chiesa della Madonna della Stella, realizzato nel 1882 e firmato "Celestino Di Bartolo e figli". Le sue capacità, notate nel 1881da un funzionario del ministero d'Agricoltura, Industria e Commercio, gli consentirono di essere inviato a studiare a Firenze a spese della città; qui ebbe modo di frequentare regolarmente l'accademia di belle arti, di approfondire le sue esperienze in laboratori di ceramica, e di affinare il suo gusto osservando le raccolte di maioliche conservate nei musei. Come allievo dell'accademia fiorentina il D. si distinse ed ebbe lusinghieri incoraggiamenti da parte dei docenti, fra cui i pittori A. Marabini e G. Casaglia. Completati gli studi a Firenze, prima di ritornare in patria, visitò le rinomate fabbriche di ceramica di Bologna e di Roma. Per lo stesso scopo si trattenne a Napoli, Palermo, Monreale e Santo Stefano di Camastra, ricavandone assai utili conoscenze nel campo professionale.
L'arte del D. è influenzata soprattutto dai capolavori ceramici toscani, urbinati e faentini osservati nei musei fiorentini ed è perciò assai diversa da quella disinvolta, quasi sprezzante di regole e canoni estetici, dei maiolicari caltagironesi. Nato per l'arte fine e minuta ispirata al gusto rinascimentale, può essere considerato un virtuoso miniatore della maiolica. Ornò sovente il suo vasellame di leggeri e sfumati bassorilievi, creò forme bizzarre, come quel fiasco a forma di libro smaltato e decorato ad imitazione di una Divina Commedia rilegata in cartapecora col ritratto di Dante, o quel sedile cilindrico a squame coperto da elegante drappo ricamato, che si trova al Museo della ceramica di Caltagirone. Il D. fu, oltre che fine modellatore, un abilissimo e rifinito tornitore, creatore di sagome impeccabili, ed un eccellente decoratore. Sapeva dare vita ai particolari, rendere minuziosamente con pennelli, come diceva egli "ad un pelo", insetti e larve, rettili e coleotteri, intrecci di fiori e foglie, decorazioni puntiformi. Nel suo repertorio si trovano scene minute di caccia settecentesche, episodi tratti dalla Bibbia e dalla mitologia, allegorie ingegnosamente combinate, riproduzioni di disegni ed incisioni celebri, come pure classiche grottesche, tripudi di putti, dionisiache danze di discinte baccanti, mitiche raffigurazioni di centauri e meduse, scene naturalistiche di animali e uomini. Era orgoglioso e abile anche nella preparazione degli smalti e dei colori, nell'uso dei forni, nel magistero del fuoco; prese le distanze dall'artigianato locale superstite, dedicandosi completamente ad una produzione artistica personale, disdegnando perfino gli allievi e gli aiuti.
Fu chiamato da don L. Sturzo, prosindaco di Caltagirone, quando questi volle nel 1918 istituire una scuola di ceramica nella città ma i due ebbero vari contrasti specie per l'ubicazione della scuola e il D. preferì abbandonare l'insegnamento e ritornare al lavoro nella sua bottega. Negli ultimi anni aveva smesso di lavorare per difetti alla vista.
Tra le onoreficenze del D. si ricordano: la medaglia d'argento alla Esposizione generale siciliana di Messina del 1882 e a quella nazionale di Palermo nel 1891; nel 1899 alla Campionaria internazionale di Roma ottenne la medaglia d'oro e la croce al merito. Fu cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia nel 1912 e nel 1924 fu nominato commendatore. Iscritto all'antica confraternita dei ceramisti di Caltagirone intitolata alla Immacolata Concezione ne fu governatore nel 1927-28 e quindi consultore a vita.
Negli ultimi anni scrisse le sue memorie pubblicate con il titolo Ricordi e documenti della mia vita d'artista (Roma 1933).Morì a Caltagirone il 21 ott. 1940 lasciando erede la sorella Maria con cui viveva, e che cedette alle monache del patronato di S. Giuseppe la grande abitazione laboratorio del D., trasformata poi in asilo infantile.
La raccolta di lavori personali, che era stata ceduta dal D. a Salvatore Gravina, ora è passata agli eredi di quest'ultimo.
Fonti e Bibl.: G. Corona, La ceramica, Milano 1879, pp. 320 s.; A. Minghetti, Ceramisti, Roma s.d. (ma 1939), p. 161; A. Ragona, Il mago della ceramica siciliana, in Vita, 1º nov. 1940; M. Vaccaro, Un artista della ceramica che scompare, ibid.; A. Ragona, G. D., in Il Popolo diSicilia, 19 ott. 1941; Id., La ceramica siciliana dalle origini ai giorni nostri, Palermo 1955, p. 72; Id., La maiolica siciliana dalle origini all'Ottocento, Palermo 1986, pp. 133 s.; Id., Ceramica siciliana d'arte, Bologna 1987, pp. 41-44.