Tiraboschi, Gerolamo
Forse il maggiore storico settecentesco della letteratura italiana, il gesuita T., nato a Bergamo nel 1731 e morto a Modena nel 1794, ha lasciato un giudizio su M. esemplare, perché in linea con la vulgata cattolica prima della Rivoluzione francese. Nella sua Storia della letteratura italiana (stampata in prima edizione tra il 1772 e il 1782), T. non dubita mai della grandezza del M. scrittore – il prosatore almeno: il poeta e l’autore teatrale non incontrano il suo favore –, tanto che contrappone, in una dissertazione polemica annessa alla Storia stessa, lo stile di M. e di Galileo Galilei al secentismo difeso allora dagli spagnoli (ferveva a fine Settecento una lite letteraria tra gli italiani e alcuni ex gesuiti iberici): «pieno di nervo e di cose», M. (scrive T.) «è letto da molti, i quali non temono di contrarne il veleno, e a’ quali perciò ne è permessa la lettura da chi ha diritto di vietarla» (Storia della letteratura italiana, 3° vol., 1823, p. XXXII). Nel sottile discrimine tra un M. lecito e uno illecito è giocato il capitoletto che T. gli dedica in sede storiografica. Accetta la pia falsificazione sulla morte devota di M. avallata da Angelo Maria Bandini; tuttavia non crede alla tesi, ben settecentesca, di un M. coperto avversario del tiranno:
a me sembra che al leggere quest’opera [il Principe] non si scuopra abbastanza che il Machiavelli abbia voluto destare orrore contro i tiranni; e che s’egli disapprova la lor condotta, non abbia bastevolmente spiegato il suo pensiero, sicché, a dir poco, rimanga indeciso, s’ei consigli o dissuada (11° vol., 1824, p. 860).
Del resto, a T. viene bene citare, a conforto delle sue tesi, il parallelo tra M. e Baruch Spinoza istituito nell’Anti-Machiavel, opera (scrive) «non di uno scolastico o d’un moralista», ma del «celebre» Federico II di Prussia, che certo aveva fama di filosofo e di libertino, ma era stato grande amico dei gesuiti al momento dello scioglimento della Compagnia (11° vol., cit., p. 859). Come già Bandini, ma con altro intento, T. prende atto della tardiva condanna romana di M.: «Ciò ch’è strano si è che le opere del Machiavelli corsero per lungo tempo, e furono stampate anche in Roma, senza che alcuno scoprisse palesemente il veleno, che in esse si nascondeva» (p. 860, secondo T. sarebbe stato il cardinale Reginald Pole, teste Angelo Maria Querini, il primo a impugnare esplicitamente M.). In fondo anche questo suona a lode delle capacità dissimulatorie dell’uomo M., oltreché della forza e del fascino dello scrittore, considerato subito come un classico: «se se ne traggano le ree massime, di cui egli ha infettato i suoi libri, è certo ch’ei fu uno de’ più ingegnosi, e de’ più profondi scrittori, e versato quant’altri mai nelle antiche e più recenti storie» (p. 861). Non compilatore di notizie, come voleva Paolo Giovio, ma «scrittore giudizioso ed esatto, che esamina, confronta, e calcola ogni circostanza de’ fatti, e le loro ragioni, e le lor conseguenze» (p. 861). Capolavoro sono riconosciuti i Discorsi, «pieni di riflessioni giustissime, che scuoprono il raro genio di chi le scrisse» (p. 859); tuttavia anche al M. storico sono riservate parole di critica: in particolare, secondo T., nelle Istorie fiorentine e nella Vita di Castruccio Castracani «[M.] cerca anzi di abbellire studiosamente, che di schiettamente narrare le cose avvenute» (p. 858: il parere non è altrimenti argomentato). In altro luogo T. tratta del M. teorico della guerra, dandone una valutazione ancipite: non può considerarsi, scrive, «come maestro dell’arte», benché volesse «introdurre un nuovo sistema di ordinanza militare, e rinnovare le antiche legioni»; ma, sulla scorta di un giudizio di Francesco Algarotti ricavabile dalle sue Opere (4° vol., 1764), valuta che «le riflessioni del M. possano essere di gran giovamento a’ condottieri di esercito» (11° vol., cit., pp. 795-96).
Bibliografia: Storia della letteratura italiana, Milano 18221826. Per gli studi critici si veda: M. Mari, Il genio freddo. La storiografia letteraria di Girolamo Tiraboschi, Milano 1999.