INDUNO, Gerolamo
Ultimogenito di Marco e Giulia Somaschi, nacque a Milano il 13 dic. 1825. Come il fratello Domenico, che gli era maggiore di dieci anni e che rappresentò il suo costante punto di riferimento artistico, fu allievo di Luigi Sabatelli all'Accademia di Brera, che frequentò dal 1839 al 1846.
Negli ultimi due anni di corso l'I. raggiunse significativi riconoscimenti accademici, pur se meno prestigiosi di quelli ottenuti in precedenza dal fratello: nel 1845 un suo disegno ricevette il secondo premio nel concorso di figura da rilievo. Nel 1846 suoi disegni vinsero nella classe di statua, sia per il gruppo sia per il panneggio, nonché in quella di nudo, per l'azione semplice e per quella aggruppata. Il 1845 fu inoltre l'anno in cui l'I. per la prima volta si presentò alle mostre annuali di Brera, con due prove ritrattistiche e altrettanti studi dal vero. Altri due ritratti vennero esposti l'anno successivo, insieme con un episodio dei Promessi sposi (oggi irreperibile: Mostra dei maestri di Brera, p. 269).
Ultimati gli studi, continuò il suo apprendistato sotto la guida del fratello (che in quegli anni era già approdato a una prima maturità stilistica); e tale circostanza ebbe, tra gli altri effetti, quello di assegnare all'esempio di Francesco Hayez un rilievo particolarmente marcato.
Di lì a un paio d'anni, l'incalzare drammatico degli eventi politici determinò una decisa svolta nella vita dell'I.: nel marzo del 1848 egli fu infatti attivamente coinvolto, insieme con Domenico, nei moti delle Cinque giornate di Milano e conseguentemente obbligato, col ritorno in città delle truppe austriache, all'esilio in Canton Ticino in compagnia del fratello.
Dopo qualche mese l'I. si trasferì a Firenze, aggregandosi alla legione di patrioti volontari posta sotto la guida di Giacomo Medici, che nel 1849 mosse alla difesa della Repubblica Romana contro l'esercito francese.
In quel frangente l'I. ebbe modo di segnalarsi per il suo coraggio (che gli valse la nomina a sottotenente). Durante l'aspra battaglia che si svolse a Roma per strappare casa Barberini (mura Gianicolensi) ai Francesi, che l'avevano appena conquistata, fu infatti ferito in modo grave. Secondo le cronache dell'epoca, irrompendo nella casa alla testa di trenta soldati, subì una ventina di colpi di baionetta; fu quindi segretamente trasportato all'ospedale Fatebenefratelli e ivi curato (Mostra dei maestri di Brera, p. 269).
Durante la lunga convalescenza romana, l'I. cominciò a fissare sulla tela personaggi ed episodi che attraverso quella sua prima esperienza militare aveva avuto occasione di conoscere o di vivere personalmente. Diede così inizio a quel lungo esercizio di testimonianza cronachistica e documentazione storica che avrebbe attraversato tutta la sua produzione, contribuendo in modo sostanziale all'edificazione dell'epica, e anche della retorica, risorgimentale.
Risalgono a questo periodo La difesa del Vascello (Roma, collezione Medici del Vascello) e altre opere che raffiguravano scene della difesa di Roma, alcune delle quali furono presentate dall'I. all'esposizione annuale di Brera del 1850: fra queste, Ciociara ferita da una bomba (ubicazione ignota), Garibaldini alla difesa di Roma (datata 3 giugno 1849) e Ufficiali di guardia (ambedue a Milano, Museo del Risorgimento). Nel 1849 furono realizzate anche le tele raffiguranti Garibaldi sul Gianicolo e il Ritratto di Anita Garibaldi (conservate anch'esse nel Museo del Risorgimento di Milano).
Dopo la permanenza a Roma, l'I. riuscì a tornare a Milano grazie all'aiuto del conte Giulio Litta, aristocratico milanese di idee liberali, nonché appassionato collezionista d'arte e già allora grande estimatore della pittura di Domenico. A causa delle ferite subite a Roma, venne esentato dalla coscrizione obbligatoria nell'esercito austriaco e poté continuare a dipingere nello studio del fratello. Al 1850 dovrebbe risalire il Ritratto di Attilio De Luigi (Milano, Civiche raccolte storiche), protagonista dei moti milanesi antiaustriaci del 1848 e nel 1850 impegnato a Milano nella distribuzione delle cartelle del cosiddetto prestito mazziniano, che avrebbe dovuto sovvenzionare il movimento patriottico.
Nel 1851 l'I. mandò all'esposizione braidense Porta S. Pancrazio dopo l'assedio del 1849 (Ibid., Pinacoteca Ambrosiana), dipinto che ben illustra la sua capacità di rileggere la tradizione del vedutismo e della scena di genere in funzione delle esigenze narrative del racconto storico, e partecipò per la prima volta alla mostra della Promotrice di Torino, presentando una tela dal titolo Sentinella (che potrebbe corrispondere all'opera di proprietà della Confederazione Elvetica, in deposito a Ligornetto, Museo Vela, ovvero alla tavoletta della Galleria d'arte moderna di Novara, datata 1851).
Con lo Sciancato che suona il mandolino, altrimenti detto Il cantastorie (Milano, Galleria d'arte moderna), esposto alla mostra annuale di Brera del 1852, l'I. intraprese con decisione una direzione che sin lì aveva scarsamente battuto.
È con quest'opera, infatti, che acquista un rilievo centrale negli interessi e nella poetica dell'I. la scena di genere, dove ancora più diretta sarebbe risultata l'influenza del fratello. Si esplicita qui la sua vena più malinconica, condita di un certo carattere picaresco e sin quasi grottesco. Come in molte altre delle sue opere di tema quotidiano e di carattere patetico, anche in questa fa difetto la vena genuinamente drammatica e commovente che era propria dell'arte di Domenico, sostituita da un accentuato gusto aneddotico e da un minuzioso descrittivismo, da cui peraltro in questo caso deriva l'esito particolarmente riuscito della natura morta sullo sfondo.
A conferma di una suggestione che non aveva carattere occasionale, ma corrispondeva a un'opzione artistica profonda e consapevole nella quale si trovavano rimesse in gioco anche la radice romantica e quella hayeziana, la strada della scena d'interni intimistica, dalle trasparenti connotazioni morali e affettive, venne ulteriormente esplorata dall'I. negli anni successivi in opere come La nonna del 1853 (Torino, Civica galleria d'arte moderna), che mischia umori Biedermeier con l'influsso della pittura fiamminga del Seicento; Povera madre! del 1855 (Milano, Galleria d'arte moderna) e Il maestro (1855 circa: Città del Messico, Museo S. Carlos).
Presente senza soluzione di continuità nella prima metà del sesto decennio alle esposizioni braidensi, nel 1855 l'I. scelse nuovamente la via delle armi, arruolandosi nell'esercito piemontese e partecipando nel corpo dei bersaglieri alla campagna di Crimea. In quella circostanza realizzò un gran numero di disegni, fra cui quelli che servirono per la serie di ventiquattro tavole litografiche a colori pubblicate nel 1857 con il titolo Ricordo pittorico militare della spedizione sarda in Oriente negli anni 1855-56, a cura del Real Corpo di stato maggiore a Torino e per conto del ministero della Guerra del Regno di Sardegna.
Cospicua fu la traduzione pittorica degli appunti grafici e degli schizzi presi dal vero dall'I. durante la guerra di Crimea: ne dipese, infatti, negli anni successivi, una serie di tele per lo più caratterizzate da un andamento pittorico particolarmente rapido, vivace e compendiario. Fra esse, La presa della torre di Malakov (Trieste, Civico Museo Revoltella); Alleati di Crimea (1856: Milano, Museo del Risorgimento); La tomba di Alessandro La Marmora a Kadi-koi (1857) e Coraggio, bersaglieri!, entrambi a Roma nel Museo storico dei bersaglieri; sino alla monumentale Battaglia della Cernaia (1857), presentata all'esposizione di Brera del 1859 e quindi acquistata da Vittorio Emanuele II per il castello di Racconigi (Milano, Fondazione Cariplo: ripr. in Rebora, pp. 215-218), e all'Episodio della campagna di Crimea (1858), pure presentato a Brera nel 1859 (già presso la Società degli artisti e patriottica di Milano: ripr. in Soldati e pittori, p. 114).
Se La suonatrice di ghironda del 1857 (Milano, Galleria d'arte moderna) e Il rovescio di fortuna del 1858 (collezione privata: ripr. in Nicodemi, tav. 142) dimostrano l'ininterrotta convivenza all'interno della produzione dell'I. di dipinti storici e scene di genere, nuovamente l'impegno patriottico prese il sopravvento nella vita privata dell'artista. Nel 1859, infatti, decise di arruolarsi nei Cacciatori delle Alpi.
Quest'ennesima esperienza militare si tradusse in un ulteriore bagaglio dal quale l'I. trasse materiale per la sua pittura, grazie anche alla prassi ormai consolidata di procedere a una sistematica documentazione grafica degli eventi in cui era coinvolto. In modo particolare gli anni dal 1860 al 1863 vennero così largamente assorbiti dalla messa in immagine della cronaca e dell'epopea garibaldina, operazione nella quale vennero a coesistere intento celebrativo e testimonianza storica.
Nell'arco di quegli anni l'I. realizzò La presa di Palestro del 30 maggio 1859, esposta a Brera nel 1860 (Milano, Fondazione Cariplo: ripr. in Rebora, p. 219), e l'Imbarco dei Mille a Quarto del 1860 (Ibid., Civiche raccolte storiche), commissionato dall'imprenditore lombardo Pietro Gonzales, opera di cui esiste anche un bozzetto al Museo del Risorgimento di Milano, e un acquarello, probabilmente una replica autografa, al Museo del Risorgimento di Roma. Si tratta di una libera interpretazione del celeberrimo evento, ancora fresco nella memoria collettiva (era accaduto il 6 maggio di quell'anno), al quale l'I. non aveva preso parte. Ancora nel 1860 dipinse ed espose a Brera Un grande sacrificio, altrimenti detto L'addio alla mamma del garibaldino (conservato a Milano nella Pinacoteca di Brera), partecipe e mesta documentazione, sfiorata da un certo patetismo non infrequente nella pittura dell'I., del versante privato che fa da contraltare alle vicende della grande storia. Due anni più tardi avrebbe messo a punto un'elaborazione variata del soggetto, con le due versioni della Partenza del coscritto (Piacenza, Galleria d'arte moderna Ricci Oddi, e Torino, Galleria d'arte moderna), in cui al posto della madre è rappresentata la fidanzata del soldato che parte per il fronte. Pure imperniata su un tono minore e quotidiano è La lettera dal campo del 1860 (collezione privata: ripr. in L'atelier dei fratelli Induno, pp. 196 s.), anch'essa presentata all'esposizione braidense di quell'anno, una fra le opere che, con il suo realismo minuzioso e le sue garbate effusioni sentimentali, meglio chiarisce l'influenza sull'I. della pittura Biedermeier. Al medesimo fronte di interpretazione intimistica del vissuto risorgimentale vanno ricondotti Triste presentimento, datato 1862 ed esposto quell'anno a Brera (Milano, Pinacoteca di Brera), di indiscutibile maestria nella costruzione drammaturgica e raffinatamente analitico nella condotta pittorica, e La bandiera nazionale del 1863 (collezione privata: ripr. in L'atelier dei fratelli Induno, p. 195), ennesima istantanea di un interno povero, brulicante di oggetti ordinari.
Di nuovo nel contesto della produzione storica più ufficiale debbono essere invece considerate, fra il 1861 e il 1862, la grande tela con La battaglia di Magenta del 4 giugno 1859 (1861: Milano, Museo del Risorgimento), commissionata da Vittorio Emanuele II e presentata all'esposizione annuale di Brera del 1862, e le altre opere imperniate sulla figura di Giuseppe Garibaldi: Garibaldi sulle alture di Sant'Angelo del 1861 (Ibid., Civiche raccolte storiche: replica datata 1862, presso la Fondazione Cariplo, ripr. in Rebora, pp. 221 s.), Garibaldi sbarca a Marsala (Torino, Museo del Risorgimento) e Garibaldi ferito in Aspromonte (Milano, Museo del Risorgimento).
Anche in quegli anni assorbiti dalla rappresentazione, sotto le più varie angolazioni, della storia contemporanea, l'I. non mancò di dedicarsi come sempre ai soggetti di genere. Ne sono testimonianza eloquente Disgrazia infantile, presentato nel 1862 alla mostra della Società promotrice di Genova e ivi acquistato dal principe Oddone di Savoia (Genova, Galleria d'arte moderna), e altre due tele che conobbero vicende materiali analoghe: la Veduta di Pescarenico, datata 1862, forse l'esemplare oggi a Milano, Fondazione Cariplo (ripr. in L'atelier dei fratelli Induno, p. 194), del quale esiste una replica al Museo civico di Torino, e il malinconico La filatrice (1863: Genova, Galleria d'arte moderna). Entrambe le opere furono esposte alla Promotrice di Genova del 1863, quindi comperate da Oddone, e infine nel 1866, dopo la morte di questo, donate, insieme con tutta la sua collezione, al Comune della città ligure.
Nei primi anni del settimo decennio l'I. fu impegnato anche in due commissioni pubbliche di una certa entità: nel 1862 dipinse il sipario del teatro di Gallarate e, entro il 1865, realizzò, con Eleuterio Pagliano, due grandi tempere (perdute) destinate a decorare la sala d'aspetto della vecchia stazione Centrale di Milano, su commissione della Società per le strade ferrate lombarde e dell'Italia centrale. Nel 1865 partecipò all'Esposizione internazionale di Dublino.
L'attività dell'I. nella seconda metà degli anni Sessanta andò confermando i diversi registri e le varie sfaccettature che si erano lungamente precisate e consolidate nell'arco della sua produzione precedente.
Trovarono ancora piena espressione l'anima più celebrativa e ufficiale della pittura dell'I., testimoniata da L'ingresso di Vittorio Emanuele II in Venezia il 7 nov. 1866 (1867: Milano, Museo del Risorgimento); e quella più drammatica, impegnata a commemorare atti, luoghi e personaggi eroici della recente storia patria, della quale costituiscono esempi preclari La morte di Enrico Cairoli a villa Glori il 23 ott. 1867 (Pavia, Museo civico), grande tela commissionata dal marchese Filippo Villani subito dopo il tragico evento raffigurato, ed esposta a Brera nel 1868; La casa in Crimea nella quale morì il generale Alessandro La Marmora, dipinta nel 1869 per il conte Emilio Borromeo, che tra il 1855 e il 1856 era stato aiutante del generale nella campagna di Crimea (collezione privata: ripr. in Intorno agli Induno, p. 119); e La battaglia di Bezzecca del 21 luglio 1866 (Roma, Museo centrale del Risorgimento).
Il versante creativo dell'I., impegnato a declinare l'immaginario risorgimentale in chiave di ottimistica e consolatoria commedia borghese, si manifestò nel Ritorno del soldato del 1867 (collezione privata: ripr. in Soldati e pittori, p. 202). Infine, la componente più apertamente orientata verso la scena di interni e la rappresentazione di semplici ed edificanti episodi di vita domestica è esemplificata dalla Scena familiare del 1866 (collezione privata: ripr. in Piceni - Monteverdi, fig. 83) o da Gioie materne del 1871 (collezione privata: ripr. in Bietoletti - Dantini, p. 225), dove si affacciano con chiarezza le seduzioni di uno stile più eletto e galante, di stampo neosettecentesco, che nella produzione tarda dell'I. sarebbe sopraggiunto ad ampliare la sua strumentazione espressiva.
Sono soprattutto questi ultimi due gli aspetti della poetica dell'I. che presero un progressivo e costante sopravvento dal principio degli anni Settanta e ancor più marcatamente nel nono decennio del secolo. In effetti, negli stessi dipinti di tema risorgimentale in senso lato, che pure l'I. ancora realizzò in buon numero, si manifestò infine un clima espressivo sensibilmente mutato.
È il caso della Partenza dei coscritti volontari nel 1866, datato 1878 (Milano, Museo del Risorgimento): un'opera dalla composizione sapientemente calibrata, però povera di tensione drammaturgica, ove la componente patriottica appare risolta nella quieta cornice paesana e agreste, dalla quale nulla più trapela della malinconia partecipe, e financo sentimentalistica, con cui l'I. aveva ammantato le sue precedenti redazioni del soggetto. Un analogo processo di alleggerimento, se non proprio di svuotamento, del tenore drammaturgico è all'opera in Prime armi, del 1880 circa (collezione privata: ripr. in Intorno agli Induno, p. 170), dipinto commissionato da Enrico Guastalla, del quale l'I. immortalò i figli nei due fanciulli che, nel primo piano della tela, giocano candidamente alla guerra. Le lotte risorgimentali sono ormai ridotte a lontana suggestione e a elemento di repertorio.
Lo sconfinamento verso una novellistica gradevole, ma superficiale, si può costatare pienamente nel dipinto In tempo di pace realizzato anch'esso intorno al 1880 (Torino, Galleria civica d'arte moderna: ripr. ibid., p. 201), dove la ritrovata serenità postbellica viene incarnata nell'arcadica e quasi frivola scena di corteggiamento tra il bersagliere e la contadinella.
La produzione dell'I. realizzata negli anni Ottanta dell'Ottocento vide ormai definitivamente prevalere le scene di genere e crescere le fascinazioni neosettecentesche, laddove l'attenzione minuziosa per i decori, per l'arredamento, per i vestiti permetteva all'artista di giocare sino in fondo la carta del virtuosismo, che gli era del resto perfettamente congeniale. È quel che accade, per esempio, nella raffinata Partita a scacchi del 1881 (Milano, Galleria d'arte moderna), presentata all'Esposizione milanese di quello stesso anno. Questa tela, cesellata sin nei minimi dettagli, fu ispirata da un dramma in versi di Giuseppe Giacosa e in effetti costituisce una prova sontuosa di controllata sapienza teatrale da parte dell'Induno.
La tecnica brillante, la facilità pittorica, la precisione nella resa dei dettagli lo avrebbero sostenuto sino alle sue ultime prove, come testimoniano La fioraia del 1888 (collezione privata: ripr. in Piceni - Monteverdi, fig. 85) e Nel negozio dell'antiquario, un tema affrontato più volte dall'I. nel corso degli anni Ottanta, la cui redazione estrema, e di più ampie dimensioni, è datata 1889 (Milano, Galleria d'arte moderna).
Al termine di una lunga malattia, l'I. morì a Milano il 19 dic. 1890.
Fonti e Bibl.: Dipinti di Domenico e di G. Induno (catal.), Milano 1933; G. Nicodemi, Domenico e G. Induno, Milano 1945; E. Piceni - M. Monteverdi, Pittura lombarda dell'Ottocento, Milano 1969, pp. 37-40; G.L. Marini, in Diz. enciclopedico Bolaffi dei pittori…, VI, Torino 1974, pp. 266-268; Mostra dei maestri di Brera. 1776-1859 (catal.), Milano 1975, pp. 268-272; Garibaldi. Arte e storia (catal., Roma), Firenze 1982, pp. 162-165, 177, 181; F. Mazzocca, Una raccolta di disegni di G. I.: episodi di vita risorgimentale (catal.), Milano 1984; Soldati e pittori nel Risorgimento italiano (catal.), a cura di M. Cargnati, Milano 1987, pp. 113-115, 162 s., 192-202, 221 s.; Il secondo '800 italiano. Le poetiche del vero (catal.), Milano 1988, p. 324; G. Ginex, in La pittura in Italia. L'Ottocento, II, Milano 1991, pp. 869 s.; S. Bietoletti, L'atelier dei fratelli Induno, in Pittura e pittori dell'Ottocento italiano, I, Novara 1998, pp. 182-204; Fondazione Cassa di risparmio delle province lombarde. Le collezioni d'arte. L'Ottocento, a cura di S. Rebora, Cinisello Balsamo 1999, pp. 215-222; S. Bietoletti - M. Dantini, L'Ottocento italiano, Firenze 2002, pp. 224 s.; Intorno agli Induno. Pittura e scultura tra genere e storia nel Canton Ticino (catal., Rancate), a cura di M. Agliati Ruggia - S. Rebora, Milano 2002 (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVIII, pp. 589 s.