GERARDO (Gerardo di Gisla, Gerardus de Scanabichis)
Nacque nella prima metà del XII secolo, probabilmente a Bologna. Le notizie sul suo conto anteriormente al 1187, quando G. è attestato per la prima volta come vescovo di Bologna, sono assai sporadiche.
G. viene comunemente ascritto al casato "de Gisla", le cui origini sono attribuite a una donna "Gisla", moglie di Azzo di Alberto, attestata in una carta del 1135 proveniente dalla canonica di S. Giovanni in Monte. A questo stesso gruppo familiare dovette appartenere anche un "Girardus de Gisla" che nel 1142 (o 1139) sottoscrisse, in qualità di testimone, un contratto di permuta rogato "in domo episcopi ecclesie S. Petri". Con tutta probabilità egli è da identificare con il "Gerardus de Gisla" testimone all'atto del marzo 1154 in cui il Comune di Imola veniva esentato dal ripatico del porto di Trecenta, e che fu padre di "Albertus Gerardi de Gisla" giudice arbitrale (1194) e poi procuratore (1214) del Comune di Bologna, ma non è possibile identificare senz'altro questo "Gerardus de Gisla" con Gerardo vescovo di Bologna. La locale cronachistica tardomedievale accredita inoltre l'appartenenza, non infondata, di G. alla famiglia patrizia degli Scannabecchi (cfr. Cronaca Villola, in Corpus chronicorum…, p. 55: "Episcopus Gerardus Gisle de Scanabicis"; cfr. anche M. Griffoni, p. 6: "Dominus Gerardus Ghislae de Scanabichis, episcopus Bononiae").
Fra il 30 ag. 1170 e il 30 ott. 1183 G. figura tra i canonici del capitolo della cattedrale di S. Pietro in veste di concessionario di contratti enfiteutici. Come vescovo di Bologna G. compare per la prima volta in una lettera di Urbano III del 25 maggio 1187, in cui il papa, su richiesta del presule, dichiara nulle tutte le alienazioni (forse simulate) e i contratti illeciti stipulati dai vescovi predecessori a detrimento della Chiesa bolognese, segno probabile di una tensione crescente fra il clero e un laicato sempre meno disposto a tollerare privilegi e immunità che vescovi e papi si sforzavano di garantire. Il sostegno papale è confermato dalla successiva lettera del 2 luglio 1187, in cui si confermano a G. in enfiteusi perpetua quei beni e diritti della S. Sede ubicati in territorio bolognese, già concessi e ottenuti dai rispettivi predecessori.
Il 12 febbr. 1191 G. presenziò in qualità di testimone all'atto di concessione al Comune di Bologna, da parte di Enrico VI, del diritto di battere moneta.
Se tale provvedimento si inquadrava, quale sintomo e decisivo catalizzatore, nella dinamica della vivace espansione economica di quegli anni, segnata dalla crescente importanza dei ceti produttivi artigianali e commerciali di recente immigrazione urbana, la storiografia, con varie sfumature, vi ha sempre altresì ravvisato l'espressione della volontà del sovrano germanico di conquistare la città, e in particolare il suo vescovo, alla propria causa di ristabilimento nel Regnum Italiae di quell'assetto politico-amministrativo (e di recupero effettivo di quei beni e diritti sovrani) che la tregua sancita dai trattati di Venezia (1177) e di Costanza (1183) aveva di fatto consentito al Papato e ai Comuni di non rispettare nella sostanza. Di qui l'interpretazione, avallata autorevolmente dallo Hessel, dell'episcopato di G., e in particolare del suo podestariato (1192-93), in senso decisamente filoimperiale. Questa interpretazione è dipesa più dal desiderio di ritrovare a ogni costo un filo di coerenza nelle convulse vicende politico-sociali bolognesi degli anni 1192-94 - postulando l'esistenza di una fazione costituitasi intorno al vescovo G. nel segno dell'alleanza con l'imperatore e di un sostegno politico ai ceti popolari e commerciali avversi al precedente regime aristocratico - che non a un'effettiva consapevolezza e linearità di scelte strategiche ravvisabili nell'azione di G. e del Comune di Bologna, istituzione che egli, in qualità di podestà, si trovò appunto a rappresentare.
Nel biennio 1192-93 G. ricoprì, come ricordato, anche l'incarico di podestà. Le uniche testimonianze dirette e coeve della sua attività podestarile sono costituite dall'atto di alleanza antipistoiese del 7 febbr. 1192, da lui sottoscritto in qualità di "episcopus et potestas Bononie", e dal trattato di tregua commerciale con i Ferraresi del 10 marzo 1193; tale carica non risulta già più attestata in un diploma imperiale del 20 luglio 1194, in cui pure G. viene appellato come "fedele e diletto principe nostro". Nulla sappiamo riguardo le ragioni specifiche che condussero alla sua elezione, salvo l'ovvia deduzione analogica, sulla base dei pur sporadici casi coevi di vescovi-podestà, che tale evento dovette verificarsi in un momento di forte tensione sociale e costituzionale (tipica di quegli anni è infatti l'alternanza o la convivenza non sempre pacifica di regime consolare e podestarile), dovuta in primo luogo alla crescente richiesta di una più adeguata rappresentanza politica da parte dei ceti emergenti legati al mondo artigianale e commerciale. È però un fatto che se G. dovette in qualche modo venire a patti e persino, come si è visto, farsi oggettivamente interprete di queste istanze provenienti dal basso - testimoniate dall'alleanza antipistoiese e dal trattato con i Ferraresi sopra ricordati -, l'esperimento costituzionale da lui incarnato non avrebbe sortito gli effetti desiderati, se è vero, come attesta la cronachistica, che già nell'aprile 1193 una sollevazione portò all'elezione di nuovi consoli e alla cacciata del vescovo-podestà e del suo fiduciario Giacomo di Alberto d'Orso. Sembra tuttavia che G. venisse poco dopo reintegrato nelle sue funzioni, a fianco dei consoli stessi, forse sulla base di un patto di governo più favorevole agli organismi associativi di popolo. Ma il breve crepuscolo delle fortune di coloro che si erano ancora riconosciuti in lui sarebbe stato infine travolto dai sanguinosi tumulti del luglio 1194, conclusisi con una tregua onorevole che prevedeva un equo risarcimento delle parti, dopo un conflitto in cui molto dovettero pesare la logica di schieramenti trasversali alle fazioni in lotta e le rappresaglie interne ai singoli raggruppamenti magnatizi e consortili.
La fallita esperienza di governo comunale non sembra essersi riverberata troppo negativamente su G. il quale, stando alle fonti, fu molto impegnato in numerose attività a carattere sia religioso-pastorale, sia arbitrale e giudiziario.
Sin dai primi anni del suo mandato egli si era segnalato per iniziative di promozione e sostegno di enti ecclesiastici e ordini religiosi monastico-canonicali riformati e, più in generale, di movimenti variamente espressivi del fervore religioso che animava in quegli anni la società bolognese in tutte le sue componenti, tradottisi in vivaci esperienze di spiritualità caritativo-assistenziale e penitenziale e nella costituzione, sulle prime pendici collinari, di nuovi insediamenti eremitici femminili. Sono particolarmente significative di questa linea d'azione pastorale la conferma - e la concessione (1189) - di precedenti donazioni di beni e decime al monastero femminile di S. Cristina di Settefonti nonché la concessione (1191) di decime al priore e ai canonici di S. Maria di Reno. Sono degni di ricordo il suo intervento, nel maggio 1194, dietro sollecito di papa Celestino III, a favore di donna Angelica, promotrice con un suo lascito della fondazione di un eremo femminile dedicato alla Madonna, sul colle della Guardia, primo nucleo di quello che sarebbe diventato uno dei fulcri della religiosità civica bolognese, il santuario della Madonna di S. Luca; la consegna (dicembre 1195) della prima pietra per la fondazione dell'eremo camaldolese nella Selva de' Burrelli; la donazione, infine, all'abate del monastero di S. Procolo (giugno 1197), della chiesa di S. Pietro in Poggio Renatico, con relative decime e pertinenze. Nel quadro della crescita di peculiari sentimenti di patriottismo civico-religioso - che aveva forse trovato il suo momento emblematico nel rinvenimento delle reliquie petroniane nel 1141 e in altre occasioni quali la traslazione (1174) dalla basilica di S. Stefano alla cattedrale di S. Pietro delle reliquie dei protomartiri bolognesi Vitale e Agricola - si colloca anche l'episodio, che una tradizione epigrafica locale fa risalire al giugno 1192, del rinvenimento e della traslazione da parte di G., nella cappella della Croce d'Ognissanti, delle reliquie dei martiri Teodoro e Marcello e di altri santi.
Le testimonianze coeve lo vedono inoltre impegnato in attività giudiziarie: degno di nota è il suo intervento, nel 1195, a tutela dello studente Enrico che a lui si era appellato contro il Comune di Bologna, intervento probabilmente giustificato da una disposizione del celebre privilegio federiciano (l'autentico Habita) del 1158 (ovvero 1154). Le forti ingerenze clericali e papali sulla vita e il funzionamento dello Studium, anche sul piano strettamente logistico, si erano del resto già ampiamente avvertite negli anni precedenti, come attesta la richiesta di Clemente III a G. di rendere operativa la disposizione papale contro coloro che cercavano di affittare un'abitazione prima dello scadere del contratto di locazione, a danno degli studenti (il documento è databile tra il 1187 e il 1191). Nell'ottobre 1195 Celestino III lo nominò arbitro, con facoltà di far osservare e ratificare la sentenza, pronunciata dall'arcidiacono di Padova e dall'abate di S. Giustina, relativa al contrasto giudiziario tra i canonici della cattedrale di Ferrara e i parrocchiani della chiesa di S. Pietro "de Castro Curialium". Altri incarichi per dirimere controversie insorte nelle diocesi di Reggio Emilia e di Faenza gli furono affidati da Celestino III nel corso del 1196; nel maggio dell'anno successivo il papa conferì a G. la facoltà di scomunicare e di assolvere quanti avevano invaso o possedevano illecitamente beni della Chiesa bolognese. L'ultimo documento in cui appare indirettamente menzionato G. è una lettera di Innocenzo III del 22 apr. 1198, in cui il pontefice dirimeva una questione relativa ai diritti di procura da rifondersi al vescovo in occasione di una visita pastorale nelle parrocchie della pieve di S. Giovanni in Persiceto.
Il necrologio di S. Giovanni in Monte lo dice morto il 7 nov. 1198, come attestato altresì concordemente dalla cronachistica locale. Il suo successore Gerardo Riosti doveva già essere in carica perlomeno dai primi mesi del 1199.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Fondo demaniale, S. Giovanni in Monte, 2/1342, n. 40 (per "Gisla" moglie di Azzo di Alberto); 3/1343, n. 29 (per "Girardus de Gisla"); S. Pietro, 20/207, nn. 16, 28, 31-33, 39, 42 s.; Registro Grosso, 1, c. 59; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 1, vol. II, pp. 55-57, 60; M. de Griffonibus, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, ibid., XVIII, 2, pp. 6 s.; Chronicon Bononiense ex Lolliniana Belunensi Bibliotheca depromptum, a cura di C. Doglioni, in Nuova Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, a cura di A. Calogerà, IV, Venezia 1758, p. 122; L.V. Savioli, Annali bolognesi, I, 2, Bassano 1784, p. 232; II, 2, ibid. 1789, pp. 167-171, 178; G. Gozzadini, Studi archeologico-topografici sulla città di Bologna, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, VII (1868), p. 85; P.F. Kehr, Italia pontificia, V, Aemilia sive provincia Ravennas, Berolini 1911, pp. 253 s.; F. Lanzoni, Cronotassi dei vescovi di Bologna, Bologna 1932, pp. 89-96; J.F. Böhmer, Regesta Imperii, IV, 3, a cura di G. Baaken, Köln-Wien 1972, nn. 121-124, 366, 441; M. Fanti, Il necrologio della canonica di S. Vittore e S. Giovanni in Monte di Bologna (secoli XII-XV). Note su un testo recuperato, Bologna 1996, p. 80; Codice diplomatico della Chiesa di Bologna, a cura di M. Fanti - L. Paolini, Bologna, in corso di stampa, ad ind.; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, I, Bologna 1868, pp. 428-432; M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus a saeculo XI usque ad saeculum XIV, a cura di C. Albicini - C. Malagola, I, Bologna 1888-96, p. 460; G. Fasoli, Sui vescovi di Bologna fino al sec. XII. Possessi e rapporti con i cittadini, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 4, XXV (1935), pp. 26 s.; A. Hessel, Storia della città di Bologna dal 1116 al 1280, a cura di G. Fasoli, Bologna 1975, pp. 69-72, 74-77, 84, 168 s., 172-174, 192, 211; A. Vasina, Il mondo emiliano-romagnolo nel periodo delle signorie (secoli XIII-XIV), in Storia dell'Emilia-Romagna, a cura di A. Berselli, Bologna 1984, p. 685; Id., Comuni e signorie in Emilia-Romagna, Torino 1986, pp. 74, 77 (anche con il tit. L'area emiliana e romagnola, in Storia d'Italia, a cura di G. Galasso, VII, 1, Torino 1987, pp. 432, 435); N. Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas und ihre Rolle während der Ausbildung der Kommune (12. und 13. Jahrhundert), Frankfurt a. M. 1993, pp. 329 s.; A. Vasina, Chiesa e comunità di fedeli nella diocesi di Bologna dal XII al XV secolo, in Storia della Chiesa di Bologna, a cura di P. Prodi - L. Paolini, I, Bologna 1997, pp. 117-119, 195.