GENTILE da Foligno (Gentilis Fulginas, Fulgineus, de Fulgineo, de Gentilibus)
Nacque a Foligno nell'ultimo quarto del secolo XIII da Gentile di Bartolo, medico, nato forse a Foligno nel 1230, e morto intorno al 1310 a Bologna, dove si era trasferito con la famiglia; non si hanno invece notizie della madre. È comune convinzione che il giovane G. studiasse medicina a Bologna; mentre è improbabile che, come pure è stato ipotizzato, fosse allievo di Taddeo Alderotti e che studiasse a Padova presso Pietro d'Abano.
Nulla è noto sulla vita di G. fino al 1322; è certo che praticò la professione medica: le Recepte super primam fen quarti canonis Avicennae, tradite nel ms. Pal. lat. 1265 della Bibl. apost. Vaticana, cc. 1r-9r, e stampate a Venezia da Ottaviano Scoto intorno al 1498, insieme con i Consilia medica di Antonio Cermisone (Gesamtkatalog der Wiegendrucke [GW], 6515; Indice generale degli incunaboli [IGI], 2709), furono scritte da G. "post 34 annos mee practice et 10 lecture mee". Nel 1322 G. era sicuramente a Siena, dove insegnò dal 22 marzo 1322 al 30 giugno 1324: i pagamenti, testimoniati nel Chartularium Studii Senensis, riguardano il periodo fino all'ottobre del 1324 compreso, nonché il trasloco a Siena "librorum et arnesium". Nell'ottobre del 1325 fu invitato a insegnare a Perugia, ma il 23 dicembre non aveva ancora iniziato, tant'è che i Priori (la magistratura comunale che sovrintendeva allo Studio) dovettero inviare un messo a G. che si trovava ancora in Foligno. L'incarico presso lo Studio perugino era per due anni; che poi G. raggiungesse la sua cattedra è testimoniato anche dal dono di un'abitazione ricevuto dalla città. La casa si trovava presso la chiesa di S. Agostino, all'interno della quale sembra che G. facesse erigere un altare a S. Antonio Abate. Mancano poi testimonianze perugine fino al 1338, anno attestato nella Quaestio an calor in puero et in iuvene sit equalis in radice, presentata nel ms. Vat. lat. 2470, c. 223ra come Quaestio generaliter disputata Perusii anno Domini 1338 de mense octobri secundum magistrum Gentilem de Fulgineo.
Non possiamo escludere che tra il 1327 e il 1338 G. insegnasse in altre università. In una delle più complete raccolte manoscritte dei suoi Consilia, il ms. Vat. lat. 2482 della Bibl. apost. Vaticana (datato 1443), sono frequenti i riferimenti a Padova, a confortare l'opinione di alcuni studiosi, tra i quali Siraisi (1973), che ritengono G. presente presso lo Studio patavino nel periodo 1337-45; egli non è tuttavia menzionato nei documenti dell'università finora editi. Del resto tutti i biografi concordano sulla chiamata di G. a Padova intorno al 1340 come medico di Ubertino da Carrara (che governò la città dal 1338 fino alla morte, avvenuta nel 1345). L'ipotesi è sostenuta da alcuni scritti di G.: due Consilia ad egritudines uessice destinati allo stesso Ubertino, trascritti nel ms. Vat. lat. 2482, cc. 44-46 e stampati nell'edizione dei Consilia di G. concordemente attribuita all'editore Antonio Carcano, Pavia circa 1486, cc. e5va-f1ra (GW, 10618); e un Consilium ad catarrum pectoris per la sorella di Ubertino, presente nello stesso ms. (c. 24rb). A testimonianza del legame di G. con la città e lo Studio, Pier Paolo Vergerio racconta del consiglio dato da G. a Ubertino sulla opportunità di elevare il livello scientifico dello Studio patavino inviando e mantenendo a Parigi dodici tra i migliori studenti di medicina, e invitando dodici studenti parigini a Padova. Anche il medico Michele Savonarola testimoniò questo rapporto tra G. e Padova nel racconto dell'omaggio tributato a Pietro d'Abano quando, nell'aula dove questi aveva insegnato, G. entrando si inginocchiò, esclamando: "Ave templum sanctum", e con commozione distaccò dalla parete e ripose in seno alcune carte con autografi del maestro. G. ebbe una profonda influenza sulla medicina padovana e, in generale, sullo studio dei farmaci, come dimostrano i suoi rapporti con Niccolò Santasofia, della famiglia di medici padovani, autore di un ricettario conservato nel Pal. lat. 1211 della Bibl. apost. Vaticana, nel quale è palese l'influenza di G., il quale, a sua volta, raccolse ricette di Niccolò tra i propri Consilia.
Diversi studiosi hanno anche ipotizzato, ma senza addurre documenti, che G. insegnasse a Bologna, secondo alcuni prima che a Siena. Comunque, la sua docenza a Perugia, che gli aveva conferito la cittadinanza, è nuovamente attestata dalla "Matricola de' professori e degli scolari forestieri" (Ermini, p. 149), che lo registra tra i docenti il 25 ott. 1339, e dal Vat. lat. 2470, dove sono trascritti dieci sermones pronunciati da G. in occasione di cerimonie di laurea presso lo Studio perugino, tutti databili agli anni seguenti il 1339.
A questo punto, recuperando l'affermazione contenuta nelle Recepte, dove G. ricordava 34 anni di pratica e 10 di insegnamento, potremmo avanzare - dati con certezza i quattro anni d'insegnamento costituiti dal biennio senese (1322-24) e dal primo biennio perugino (1325-27) - due ipotesi: G. non insegnò fra il 1327 e il 1338, dunque le Recepte (scritte dopo 10 anni d'insegnamento) sono almeno del 1344, e la pratica medica di G. iniziò non prima del 1310; oppure G. insegnò fra il 1327 e il 1338, dunque la redazione delle Recepte si può collocare tra il 1333 e il 1343, e l'inizio della professione può risalire al 1299, confermando in ogni caso come G. difficilmente potesse aver seguito l'insegnamento dell'Alderotti, morto intorno al 1295. Non sappiamo se G., lungo questa movimentata esperienza accademica, fosse seguito dalla famiglia, composta dalla moglie Giacoma di Giovanni Bonimani, e da quattro figli (Giacomo, Francesco, Ugolino e Roberto); mantenne comunque una residenza in Foligno, almeno dal 1325 alla morte, come attesta un documento del 27 apr. 1325 (Faloci Pulignani, 1914, p. 18) rogato "Fulginei […] in contrada crucis, ante domum M. Gentilis M. Gentilis, coram M. Gentile M. Gentilis et Domino Iohanne M. Gentilis testibus". Il primo figlio, Giacomo, medico della Compagnia della Croce di Foligno, si sposò, ebbe una figlia e, secondo il Lugano, che lo pone a capostipite del ramo dei Gentili di Foligno, almeno un figlio; degli altri tre figli non sappiamo se erano sposati, ma comunque non ebbero figli.
G. morì a Foligno il 28 giugno 1348, curando le vittime della pestilenza.
Nel ms. della Bibl. Malatestiana di Cesena, D.XXIV.3, della seconda metà del sec. XIV, in calce al Consilium scritto da G. sulla peste che colpì Perugia nel 1348, c'è l'annotazione di un Francesco da Foligno, che l'Ermini identifica con Francesco di maestro Filippo di maestro Matteo da Foligno (tenne dal 1351 la cattedra di medicina dello Studio perugino, e non va identificato con l'omonimo figlio di G.) il quale scrive che "Post hoc magister gentilis infirmatus est ex nimia requisitione infirmorum et hoc fuit 22a die Junij 1348 et vixit vi diebus et mortuus est, cuius anima requiescat in pace. Et sepultus fuit in loco fratrum eremitarum sancti augustinj". Questa testimonianza, fornita da un allievo e tradita da un manoscritto pressoché coevo, è la più autorevole sulla data di morte di Gentile. Nel più tardo manoscritto CLM 77 (c. 118ra) della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, come pure nel Pal. lat. 1264 della Bibl. apost. Vaticana (c. 303r) e nella raccolta di Consilia (GW, 10618), viene trascritta un'altra data: "xii die Iunii m ccc xlviii°", ed è questo errore nella tradizione che indusse lo Jacobilli (e tutti gli studiosi posteriori, in primo luogo il Lugano) a scrivere che G. contrasse il morbo in Perugia il 12 giugno; venne comunque ricoverato - per sua volontà - in Foligno, nella chiesa di S. Giovanni Profiamma, e assistito da quattro medici. Qui, il giorno 14 (secondo lo Jacobilli, ma dovremmo ritenere il 24) G. fece apporre al suo testamento un codicillo che - ferma restando l'attribuzione dell'eredità ai figli Giacomo e Francesco - disponeva la costruzione di una cappella in mezzo alle sue vigne, che ne avrebbero costituito la dotazione. La sera stessa fu trasferito nella sua residenza "in contrada Crucis" dove morì il giorno 18 (ovvero, il 28). La salma venne tumulata nella chiesa degli eremitani di S. Agostino, dove il modesto sepolcro fu sigillato da una lastra marmorea, poi infranta e dispersa nel XVIII secolo durante il rifacimento del pavimento: nel 1725 l'ultimo testimone oculare, il Pagliarini, descriveva l'iscrizione in gotico ("Sepulcrum egregii medicinae Doctoris Magistri Gentilis de Fulgineo Civis Perusinus [sic]"), l'effigie di G. "in mezza figura", lo stemma della famiglia. L'ipotesi che G. trovasse morte e sepoltura in Bologna, presso il convento di S. Domenico, è stata smentita dal Pierro che ha constatato l'assenza del nome di G. nel registro delle sepolture di quel convento.
Il 2 ag. 1348 il figlio Francesco eseguì la disposizione emanata dal padre in punto di morte e concesse al sindaco del convento folignate di S. Nicolò "de Cippischis", il frate olivetano Benedetto di Francesco da Firenze, le vigne già possedute da G. presso Foligno, in "contrata Cisterne", affinché vi facesse edificare e officiare una cappella, intitolata a S. Maria Nova. Francesco, anch'egli medico, sembra essere stato allievo del padre: il già citato manoscritto CLM 77 contiene tra l'altro il trattato di G. De exeuntibus epaticis, nella cui sottoscrizione (c. 156va) è invocato il "Dulcissimi filii magister Francisce"; del resto Francesco, pur non essendo il figlio maggiore, risulta essere l'esecutore testamentario di G., con l'assenso della madre Giacoma, di un "Gentile domni Iohannis magistri Gentilis" (verosimilmente un suo cugino, figlio del fratello di G. - il Giovanni nominato nell'atto del 1325 - e dunque nipote di Gentile di Bartolo), e di "Petro Mannilli Bonfilgli", definito, con i primi due, "proximioribus consanguineis" (era forse il marito della figlia di Giacomo). Il Rossi aggiunge che Francesco, domiciliatosi a Perugia, il 5 apr. 1362 aveva dotato la cappella da lui eretta nella chiesa di S. Agostino (dove già il padre aveva fatto erigere un altare), donando al convento un terreno presso Monterone, e una casa vicino alla piazza (forse la casa che fu di G.); poi nel 1373 Francesco, unico figlio superstite, aveva riconfermato agli agostiniani di Foligno il legato paterno di erigere nella loro chiesa una cappella in onore di S. Niccolò qualora egli fosse morto senza prole: condizione che secondo il Rossi si avverò, avendo i frati, pochi anni dopo, fatto valere le loro ragioni. Questa circostanza indebolisce l'ipotesi - avanzata dal Lugano - sull'esistenza di un ramo perugino della famiglia. A lungo visse Giacoma, moglie di G., che ricevette, il 18 marzo 1373, 400 fiorini d'oro dal figlio Francesco; Giacomo, che fece testamento il 23 giugno 1348, morì forse nella stessa epidemia nella quale morì il padre, e comunque prima del 1373; Ugolino e Roberto morirono presumibilmente prima del 1348, non essendo nominati nel testamento di G., mentre della morte di Francesco non c'è notizia.
G. fu dunque un docente di prestigio, profondo conoscitore della medicina greca e araba (tra le sue fonti, spesso citate negli scritti, troviamo Ippocrate, Galeno, Avicenna, Averroè, Mesue, Rhasis, Ali Abbas, Avenzoar, Maimonide, e i moderni Pietro d'Abano, Dino Del Garbo, Bartolomeo da Varignana, Mondino Luzzi) e medico pratico stimato e ricercato: oltre al signore di Padova, beneficiarono dell'opera e dei consigli di G. - tra gli altri - Francesco conte di Urbino [sic], destinatario di un Consilium ad dissinteriam (ms. Vat. Ross. 974, c. 55ra); Cino da Pistoia; Francesco vescovo di Oleno, in Acaia, destinatario di un Consilium ad cerebri humiditatem che, secondo il ms. Ross. 974, fu scritto a Perugia nel marzo 1346 (c. 3vb); "Francisco de Florentia", cappellano del cardinale Giovanni Colonna, al quale è destinato un Consilium ad passiones oculorum scritto, sempre secondo il Ross. 974 (c. 7va), a Perugia nel marzo 1341, e un Consilium ad sibilum auris (ibid., c. 13va) scritto a Perugia nel maggio 1345; Giovanni da Vico, prefetto della città di Roma, al quale è destinato un Consilium ad egritudines stomaci nel Vat. lat. 2482, c. 29va. Secondo il Platina, G. avrebbe curato anche papa Giovanni XXII, ma ne dubitava fortemente già il Marini.
È stato sottolineato dal French il contributo di G. alla identificazione di una autonoma via medicorum, le cui linee G. ritrovava soprattutto nel libro III del Canone di Avicenna, nel quale, a suo parere, c'era tutto il necessario per l'educazione del medico. Esemplare, a questo proposito, è il breve scritto De temporibus partus (Vat. lat. 2470, cc. 209va-210rb, stampato dagli eredi di Ottaviano Scoto all'interno delle Quaestiones et tractatus extravagantes, Venezia 1520, cc. 95 s.) dove, a seguito della richiesta di un parere ricevuta dal giurista Cino da Pistoia circa un caso di dubbia attribuzione di paternità, G. affronta la questione della legittimità della prole nata nel matrimonio, allora definita sulla base dell'autorità d'Ippocrate, il quale riteneva perfetto il parto dopo sette mesi, e dunque legittimo il figlio nato dopo almeno sette mesi dal matrimonio. Dopo aver dottamente esposto le dottrine, anche astrologiche, allora conosciute sulla materia (come già nel breve scritto De actione planetarum, Vat. lat. 2470, c. 232vab), G. esprimeva la convinzione che, allo scopo di stabilire la data del concepimento, fosse opportuno giudicare in base alle condizioni di sviluppo del neonato. In altre parole, G. riteneva necessaria quella che oggi chiamiamo "perizia medico-legale", da condurre non tanto sulla scorta della dottrina delle auctoritates, quanto con il conforto della propria esperienza. Sullo stesso argomento G. scrisse un più ampio trattato, Anticipans natus vel partus decem diebus (conservato nel ms. Vat. lat. 2470, cc. 230-232), e la Quaestio an sit licitum provocare aborsum, (c. 240rb-vb dello stesso ms.), dove ugualmente sottolinea l'autonomia del medico, nel considerare che a lui solo spetta valutare l'opportunità dell'intervento, in relazione ai rischi eventuali per la salute materna, "cum mater sit corpus vivens completum et de conceptu non sumus certi quid erit". Troviamo altri Consilia et recepte ad egritudines et dispositiones matricis et prouocationem mestruorum et ad conceptionem nel ms. Vat. Ross. 974 (c. 56), datati 1348; e nel Vat. lat. 2482 (c. 50), datati 1345.
G. è noto anche come anatomista: il Sarton ha ipotizzato che sia stato lui a operare la prima dissezione pubblica a Padova, nel 1341 (e altre ne seguirono, con il ritrovamento di un calcolo biliare, che G. - sempre secondo il Sarton - fu tra i primi a descrivere); G. stesso, nel Consilium de peste, asserisce di aver condotto autopsie sulle vittime del morbo. In ogni caso, G. era ben consapevole dell'importanza che l'anatomia rivestiva per la formazione del medico: nel commento al libro I del Canone, G. accettava di conformarsi alla consuetudine di omettere la lettura dei capitoli relativi all'anatomia generale, ricordando però ai lettori che questo era il "comunem errorem", perché l'anatomia - come l'alfabeto - avrebbe dovuto costituire il primo insegnamento. Quando poi G. affrontò l'anatomia particolare nel libro III del Canone, la collocò correttamente all'inizio di ognuna delle parti del corpo delle quali esaminava le patologie, testimoniando così un progresso proprio di quella autonoma via medicorum, della quale l'esperienza acquisita attraverso l'anatomia non poteva che costituire elemento strutturale.
La non comune esperienza clinica di G. è testimoniata soprattutto dai suoi numerosi Consilia, trattazioni di un particolare caso clinico, ovvero di una specifica patologia, con la prescrizione del regime da adottare e dei rimedi farmacologici da seguire. G. è autore di ben 218 Consilia trascritti nel ms. VIII.D.40 della Bibl. naz. di Napoli (datato c. 1402), cc. 155r-223v; 110 Consilia sono stampati nella già ricordata edizione veneziana realizzata per Ottaviano Scoto intorno al 1498 (GW, 6515). La più antica testimonianza manoscritta di alcuni Consilia di G. è probabilmente il Vat. lat. 2418, databile alla seconda metà del XIV secolo; la prima edizione a stampa è del 1486 circa (GW, 10618), ma il Consilium contra pestilentiam era già stato stampato tra il 1472 e il 1475 a Padova, presso Lorenzo Canozio (GW, 10619).
La fama di G. rimane legata soprattutto al suo commento ai cinque libri del Canone di Avicenna, la grandiosa opera di sistematizzazione delle dottrine mediche e filosofiche di Ippocrate, Galeno, Dioscoride e Aristotele, che grande fortuna ebbe negli ambienti accademici fino al XVI secolo, in alcune università addirittura fino al XVIII. Il commento di G. fu il primo completo, dopo che Taddeo Alderotti, Dino Del Garbo e altri autori italiani e francesi ne avevano affrontato solo alcune parti, e fu considerato l'apparato privilegiato per lo studio del Canone. All'interno della vastissima tradizione manoscritta diversa fu l'importanza e la diffusione che ebbero alcune parti del commento rispetto alle altre: la sezione del commento più diffusa fu quella relativa al libro IV, fen I. Delle numerose edizioni a stampa, si ricordano la prima parziale, pubblicata a Padova da Nicolaus Petri nel 1476 (GW, 10613), e la prima completa, pubblicata a Venezia da Battista Torti, in tre tomi fra il 1490 e il 1495 (GW, 3124). Nella trascrizione del Vat. lat. 2475, il commento al libro III del Canone è datato (c. 414vb) "Perusii… 1340", confortando così il giudizio del Nardi, secondo il quale G. scrisse il commento ai libri I e III del Canone sicuramente in età matura, mentre i commenti ai libri II e V, relativi soprattutto alla farmacologia, risalgono al periodo senese. Il commento al libro IV fu redatto tra il 1345 e il 1346, secondo il Vat. lat. 2480, c. 150vb, e il ms. Lat. 5391 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, c. 154vb, dove nella sottoscrizione del commento alla prima fen veniamo informati che G. terminò questo scritto nel settembre 1345, mentre nello stesso anno, nonostante avversità non meglio specificate, teneva lezioni sui libri II e IV e su diversi testi di Ippocrate. La stessa data ritroviamo nella sottoscrizione del Vat. lat. 2474, c. 123va, mentre secondo il colophon delle edizioni del 1476 e del 1477 (Super prima fen quarti canonis. Quaestio de maioritate morbi, GW, 10613-10614) il commento alla prima fen è datato al gennaio 1346, concordando con il Vat. lat. 2490, c. 221vb; la medesima Quaestio è "Anno domini 1344 edita".
Tra gli altri numerosi scritti di G., vanno ricordati i commenti ai trattati De urinis e De pulsibus di Gilles de Corbeil, pubblicati per la prima volta a Padova da Matteo Cerdoni, rispettivamente nel 1483 (GW, 269) e nel 1484 (GW, 268), ed entrambi trascritti nel ms. della Vaticana Urb. lat. 1407, datato 1498 (il solo De urinis è tradito nel Vat. lat. 2453, del secolo XIV), e il trattato De balneis (che riguarda anche i famosi bagni senesi di Petriolo, da G. stesso frequentati), prima opera di G. a essere stampata: [Padova], Iohannes Renensis, 1473, (GW, 10617). Commentò l'Anathomia di Mondino (Mundinus de Leuciis): la prima edizione del commento è stampata a Lipsia nel 1493 (L. Hain, Repertorium bibliographicum, n. 11637); commentò la Tegni di Galeno (in Pietro Torrigiano Torrigiani, Commentum in Galeni…, Venezia 1526), e scrisse un De divisione librorum Galeni che venne pubblicato nell'Articella, a partire dall'edizione del 1483 (Venezia, Hermann Liechtenstein; GW, 2679). Molti scritti sono datati a Perugia, nel decennio tra la fine degli anni '30, e la fine degli anni '40, a confermare che fu questo il periodo di maggiore attività scientifica e accademica di G., e che questi - prima di allora - si era dedicato soprattutto alla professione. Infatti, il De conditionibus tyriacam è del marzo 1339 (Vat. lat. 2470, cc. 276-278), il Tractatus de hydropisi (ibid., cc. 248-251) è del 1340, come il Consilium de ptysi (ibid., c. 275) che però, secondo il Vat. lat. 4459, c. 136vb, sarebbe del 1342, mentre il Tractatus de resistencia membrorum, che ritroviamo alle cc. 233-240 del Vat. lat. 2470, fu scritto - secondo quanto tramanda il ms. della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco CLM 7609, c. 74va - nel febbraio 1341. La Quaestio de actuatione medicinarum (Thorndike - Kibre [TK], nn. 512, 1656), tradita nel Vat. lat. 2470 (del 1455), cc. 252ra-262vb, che la data al 17 apr. 1343 (mentre la prima edizione a stampa, Padova, Matteo Cerdoni, 1486, GW, 10625, la data a Perugia, 47 [sic] apr. 1342), altro non è che la Quaestio de reductione medicinarum (TK, 90.5, 90.4), che G. indirizza - ricordando un altro "breve tractatum de reductione medicinarum" del quale non abbiamo traccia - all'amico Tommaso d'Arezzo, anch'essa infatti datata al 17 apr. 1342 in due manoscritti del XIV secolo (CLM 7609, cc. 61va-70ra, descritto in Thorndike, 1955, e Marciano lat. VII.11 [Bibl. Marciana di Venezia], segnalato in TK, 90.5). Il Tractatus de temporibus morbi è datato, nel Vat. lat. 2470 (cc. 263-272), Perugia 5 [9?] apr. 1343; la Quaestio utrum complexio humana vel homo magis appropinquet è datata, sempre a Perugia, 9 ott. 1343 (Vat. lat. 2418, cc. 227va-232va). Particolare interesse ebbe G. nei confronti delle febbri, argomento che affrontò non solo nel commento alla prima fen del libro IV del Canone, e nelle già segnalate Recepte, ma anche in numerosi altri scritti, raccolti per la prima volta nell'edizione veneziana curata dagli eredi di Ottaviano Scoto (Quaestiones et tractatus extravagantes, 1520): tra questi ricordiamo la Quaestio de prolongatione febris (TK, 468, 1648.2, 1648.5, nel ms. Vat. lat. 2490, cc. 227ra-232rb), che nelle altre edizioni a stampa - prima fra tutte GW, 10624, [Piacenza, 1483] - è datata "Perusis 1339", e la già segnalata Quaestio de maioritate morbi (TK, 507 e 1648.4), del 1344, trascritta nel Vat. lat. 4445 alle cc. 222v-232r, ed edita per la prima volta a Padova, Hieronymus Turrianus, 1476 (GW, 10613).
Appena prima di morire G. aveva scritto il suo Consilium in epidemia magna dum accidit Perusii, che seguiva di poco il Consilium in pestilentia que accidit Ianue, dedicati entrambi alla peste del 1348, entrata in Italia appunto da Genova: sono trascritti nel ms. vaticano Pal. lat. 1264, datato 1450-1455, cc. 301r-303r, e pubblicati già nell'edizione del 1486 c. dei Consilia (GW, 10618). G. aveva già scritto un lungo Consilium contra pestilentiam (TK, 1276), tradito nel ms Pal. lat. 1147 (attribuito alla seconda metà del XV secolo), cc. 124r-136v, e che ebbe ben tre edizioni a stampa nell'ultimo quarto dello stesso secolo (GW, 10619-10621), oltre a un breve Sumarium de peste (Vat. lat. 8690, c. 152), e a un altro breve scritto che Thorndike (1959, p. 14) segnala dal ms. Lat. 2317 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, cc. 34v-35r; senza contare il commento alla sezione del Canone relativa alle febbri pestilenziali, ovvero il quarto trattato della fen prima del libro IV.
Nonostante la lunga attività clinica e accademica di G. e la fama che lo circondò, che gli valse i titoli di speculator (già nel 1385, Vat. lat. 2481, c. 16rb), divinus, e medicorum princeps, sono pochi i suoi discepoli dei quali troviamo testimonianza. Fra essi spicca, per la notorietà poi acquisita, Tommaso di Dino Del Garbo, il quale ricorda di aver seguito l'insegnamento di G. nella sua Summa medicinalis (Venezia, per le spese degli eredi di Ottaviano Scotto per Bonetum Locatellum 1506, c. 50va). Abbiamo poi quel Francesco da Foligno che assistette G. in punto di morte, insieme al quale, nel ms. CLM 77, sono ricordati Filippo da Foligno e Nicola Danieli da Rimini. Altri discepoli degni di nota furono Francesco Zanelli di Pietro da Bologna, che si laureò in medicina a Perugia nel 1347, dopo avere studiato e insegnato filosofia in quello stesso studio (Ermini, p. 151), per poi ritornare a Bologna, dove insegnò medicina fino alla morte nel 1365; e Giovanni dall'Aquila, il quale si laureò a Padova nel 1367, e vi insegnò, come testimonia il colophon dell'edizione padovana (1486) della Quaestio de actuatione medicinarum di G., da lui emendata.
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