FALLOPPIA, Geminiano
Non si conoscono gli estremi biografici del F., ma il fatto che nel 1519 fosse definito "maestro" dal cronista Andrea Todesco e nel 1528 "Inzegnere de la Comunità" dall'altro cronista Tommasino Lancillotti fa presumere che fosse nato a Modena - ove una famiglia Falloppia è testimoniata almeno dal XIV secolo - verso la fine del Quattrocento (non è comprovata una sua parentela con il pittore Giovanni di Pietro Faloppi).
La prima citazione dell'attività ingegneristica del F. risale al 1519, in occasione dei rifacimenti di alcuni settori della cinta muraria modenese, sovrintendente il nobile cavaliere Gianfilippo Cavallerini. Dal settembre di quell'anno il F. diresse la costruzione dalle fondamenta della porta di Cittanova, nel tratto orientale delle mura, poi decorata con pitture da Alberto Fontana e da Giovanni da Corte (distrutta); i lavori implicavano anche nozioni di idraulica, dovendosi pure realizzare la volta del canale che scorreva nel sottosuolo, presso la porta (Todesco, p. 24). Ancora nell'aprile del 1521 il F. attendeva alla realizzazione della porta di Baggiovara, nel versante meridionale delle mura (pure distrutta; ibid., p. 28).
Contribuì, poi, al riassetto e all'abbellimento della torre dell'orologio, già antico arengario del Popolo, emergenza monumentale nel prospetto del palazzo comunale sulla piazza Grande: nel novembre del 1520, dopo che Alberto Fontana, coadiuvato da Giovanni da Corte, aveva affrescato il quadrante dell'orologio, il F. erigeva la balaustrata marmorea di coronamento alla mole quadrangolare della torre, venendo così a recingere il cupolino d'impianto ottagonale eretto alla sommità sin dal 1508, su disegno di Bartolomeo Bonascia (Todesco, p. 27).
Nuovamente il F. era attivo presso il palazzo comunale, con il titolo di ingegnere della Comunità, quando, a partire dal gennaio del 1528, apriva il cantiere per la collocazione sulla facciata, nel lato destro rispetto alla torre dell'orologio, del gruppo in terracotta raffigurante la Madonna col Bambino e s. Giovannino, opera di Antonio Begarelli; al F. spetterebbe la realizzazione della nicchia in cui il gruppo fu posto, nicchia eliminata ai primi dell'800 (dopo la rimozione della statua nel 1799), la quale, come si apprende dalle fonti, era dipinta in cobalto con stelle dorate e ornata da rilievi in marmo (Soli, 1974).
Dal marzo al luglio del 1532 il F. diresse il cantiere per la costruzione della cappella Estense nel duomo, incarico che comprova il prestigio da lui raggiunto; la cappella, voluta dal duca Alfonso I d'Este sin dal 1528, quale ringraziamento per l'avvenuta riconquista di Modena (1527), venne ricavata nel fianco meridionale del tempio, tra la cappella del Giudizio e la porta dei Principi, e accolse poi la pala della Natività di Battista e Dosso Dossi (Dondi, 1896).
Demolita nel 1913, risulta documentata da una stampa fotografica (Studio Orlandini di Modena, 1913), che ne visualizza la struttura costituita da un maestoso arco a tutto sesto, sormontato da una trabeazione, con fregi in cotto, secondo una tipologia decorativa invalsa nell'area modenese e, più latamente, padana: un sobrio dettato di matrice ancora quattrocentesca, qualificato dagli affreschi di Girolamo da Vignola, di cui nel 1913 erano superstiti due Sibille nei pennacchi fra l'arcata e la trabeazione (cfr. C. Acidini Luchinat, Innovazioni e demolizioni, in I restauri del duomo di Modena [catal.], Modena 1984, pp. 198 s.).
L'attività dell'artista si esplicò anche nel settore dell'effimero: il F. figura infatti tra coloro che nel 1529 attesero agli archi trionfali eretti per l'ingresso in Modena di Carlo V, insieme con Cesare Cesi, egli pure architetto oltre che maestro lignario, e ai pittori Giovanni Taraschi e Gian Gherardo Dalle Catene (Manicardi, 1984).
Dalle rare testimonianze pervenute, oltre che sulla base delle fonti storiche, si può dedurre come la produzione del F. s'inserisse pienamente nell'esperienza architettonica modenese del tardo Rinascimento, anteriormente alla diffusione della corrente manieristica (in un processo dai tempi senz'altro più lenti rispetto al parallelo settore delle arti figurative). In particolare, la cappella Estense è esemplificativa per quel carattere di essenzialità, che costituisce una costante del lessico architettonico modenese; ne discende il ricorso frequentissimo agli ornati in terracotta, spesso dal repertorio ripetitivo, e alla componente pittorica, al fine di impreziosire o di enfatizzare un discorso costruttivo altrimenti scarno e laconico. A tale proposito andrà infine accennata l'ipotizzabile discrepanza fra i modi arcaizzanti del fraseggio architettonico del F. e l'evoluzione nel senso della maniera della pittura espressa dalle personalità che con lui collaborarono, come Alberto Fontana, Girolamo da Vignola, Gian Gherardo Dalle Catene.
Fonti e Bibl.: A. Todesco, Annali della città di Modena (1501-1547), a cura di R. Bussi-R. Montagnani, Modena 1979, pp. 24, 27 s.; T. Lancellotti, Cronaca modenese, II, Parma 1862, p. 330; III, ibid. 1865, p. 440; A. Dondi, Notizie stor. ed artistiche del duomo di Modena, Modena 1896, pp. 165 s.; G. Soli, Chiese di Modena, a cura di G. Bertuzzi, Modena 1974, III, p. 423; A. Manicardi, I trionfi modenesi dei duchi d'Este. 1452-1584, in Atti e mem. d. Deput. di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, VI (1984), p. 123.