CERATI, Gaspare
Nacque a Parma il 21 genn. 1690, dal conte Valerio e da Fulvia del conte Carlo Agosto Anguissola, del patriziato piacentino, ed ebbe quale padrino di battesimo, nel 1695, il duca Francesco Farnese. Studiò a Modena nel collegio dei gesuiti e a quindici anni prese la decisione di entrare nella Compagnia di Gesù, ma in seguito alla contrarietà paterna vi rinunciò. Consolidatasi in lui la vocazione religiosa, nel 1708 entrò nella Congregazione dell'Oratorio della Chiesa Nuova a Roma, dove studiò teologia e filosofia, allontanandosi dagli insegnamenti dei gesuiti, e dove, nel 1714, venne ordinato sacerdote. Ben presto la sua pietà e la sua vasta cultura gli guadagnarono larga stima sia tra i confratelli, che gli affidarono la direzione della biblioteca della Chiesa Nuova, sia nei circoli dotti romani; nel 1726 fu destinato a far parte del gruppo di eruditi che curavano la continuazione degli Annali ecclesiastici del Baronio, sotto la direzione dell'oratoriano G. Laderchi. A Roma il C. strinse amicizia con A. Niccolini (col quale rimase sempre legatissimo), con F. Martini, con A. Leprotti, con G. Bottari (durante il soggiorno di questo a Roma nel 1725-26), col Lambertini, con Celestino Galiani, con i cardinali M. Conti (poi Innocenzo XIII) e G. Davia, e con il card. Melchior de Polignac, incaricato d'affari francese presso la S. Sede e abile conciliatore delle vertenze connesse alla bolla Unigenitus: il Polignac ricorse ai suoi consigli per la stesura del suo Anti-Lucretius sive de Deo et Natura, lasciato incompiuto e pubblicato postumo (Parisiis 1747), e fu probabilmente nel suo palazzo che il C., più tardi, nel gennaio-febbraio del 1729 (e non nel luglio, come afferma P. Berselli Ambri, p. 17), conobbe il Montesquieu, di cui divenne intimo amico e corrispondente (Montesquieu, Viaggio inItalia, p. 183).
Fin da questi anni romani, dunque, il C. si legò agli ambienti ecclesiastici culturalmente più aperti e meno conformisti in cui si discuteva con grande interesse della nuova cultura scientifico-sperimentale e antiscolastica, di orientamento lockiano e newtoniano, e dell'applicazione di un rigoroso metodo critico agli studi di antiquaria, di storia ecclesiastica e di teologia. Dai comuni interessi sorgeva anche un altro notevole motivo di coesione tra questi uomini, cioè l'antigesuitismo, che ebbe in alcuni di essi motivazioni prevalentemente scientifiche, antiscolastiche, sulla scia di una persistente tradizione galileiana, e che in altri, fra cui il C., assunse, invece, sfumature prevalentemente teologiche e morali, in senso agostiniano-rigoristico.
Nel 1730 venne nominato tra i confessori del conclave che portò alla elezione di Clemente XII (Lorenzo Corsini), zio del card. Neri Corsini, il quale fu il protettore di questo gruppo romano. Per conto di questo il C. iniziò a stendere una relazione sul conclave che non portò mai a termine (un Frammento dell'introduzione alla relazione del conclave in cui il sig. card.e Lorenzo Corsini fu eletto Sommo Pontefice col nome di Clemente XII è conservato nella Bibl. Corsiniana di Roma, cod. 1617, cc. 171-176). Lasciò Roma nel luglio 1732, forse anche in seguito al mancato conferimento del vescovato di Piacenza, cui aspirava, e tornò a Parma dove fu subito chiamato ad assumere l'incarico di bibliotecario di corte e di precettore dell'infante don Carlos, nuovo duca di Parma. Ma, scoppiata nell'aprile del 1733 la guerra di successione polacca, dopo un breve soggiorno a Roma, il C. si trasferì a Pisa, dove già in quello stesso anno era stato chiamato dal granduca di Toscana Gian Gastone de' Medici, dietro raccomandazione dello stesso don Carlos (A. Fabroni, III, p. 31), a ricoprire la carica di provveditore generale dello Studio pisano e quella, alla prima tradizionalmente connessa, di priore della chiesa conventuale dell'Ordine di S. Stefano. Rimase, tuttavia, sempre in relazione stretta con gli amici romani - cui spesso procurava, attraverso il porto di Livorno, libri difficili da reperire (N. Carranza, Monsignor G. C.,1974, p. 148) - e soprattutto col Bottari, con cui intratteneva una assidua corrispondenza (conservata nei cod. Cors. 1589 e 1590); nel 1749, durante una delle sue visite a Roma, si legò d'amicizia anche col card. D. Passionei che lo annoverò fra gli amici più intimi che frequentavano la sua villa presso Frascati. Il C. entrò così a far parte di quel circolo dell'Archetto che, proprio verso il 1749, incominciò a riunirsi a palazzo Corsini intorno al Bottari con l'intento di opporsi al gesuitismo.
Dal punto di vista della dottrina teologica, infatti, è indubbia la formazione agostiniana e rigoristica del C. (scrisse anche un inedito Metodo sul modo di leggere le opere di s. Agostino) e la sua profonda conoscenza ed ammirazione dei classici della letteratura giansenistica francese, che non si possono far risalire soltanto all'epoca del soggiorno francese del 1742-44 (E. Dammig, p. 124). Già nel 1724 forniva informazioni al Bottari sulle opere di Gerberon, Tillemont e Fleury; pur apprezzando la Theologia christiana dogmatico-moralis del rigorista domenicano D. Concina, per le dottrine antiprobabiliste in essa espresse, ne criticava il rifiuto di utilizzare ed apprezzare le opere morali dei maggiori giansenisti francesi (a Bottari, da Pisa il 24 apr. 1752, in Dammig, p. 126). Considerava "uno de' migliori trattati di religione" il catechismo dell'appellante Mésenguy e ne deplorò la proibizione della traduzione italiana, pubblicata a Napoli per interessamento dello stesso Bottari (Dammig, p. 125). Durante il pontificato dell'amico Lambertini (Benedetto XIV) inoltre, il C., insieme al Bottari, cercò di ottenere dal papa la cancellazione dagli atti del concilio provinciale romano del 1725 del passo in cui la bolla Unigenitus veniva definita quale "regula fidei", aderendo alla diffusa opinione che tale passo vi fosse stato dolosamente inserito dal segretario del concilio su pressione dei gesuiti; d'altra parte, uno dei principali obbiettivi del gruppo filogiansenista era quello di ottenere dal pontefice la revisione della stessa Unigenitus: anche il C., in molte sue lettere e in numerose scritture (si veda, ad esempio, fra le sue Scritture sopra i gesuiti e i giansenisti, ilcapitolo: Risposta alle considerazioni sopra le spiegazioni domandate per gli appellanti della Bolla Unigenitus, cod. Cors. 1617. cc. 41 s.), sosteneva, l'impossibilità di considerare eretici gli appellanti e la necessità, per porre fine alla persecuzione scatenata in Francia contro di loro, di un intervento pontificio di spiegazione della bolla che ne impedisse gli abusi d'interpretazione da parte dei gesuiti (si veda anche la lettera-memoria al Nicolini, sulle dispute di Francia, conservata in cod. Cors. 1617, ff. 131-167). Tuttavia, come il Bottan, il Foggini e l'amico Lami, anche il C. si mostra sostanzialmente legato soprattutto alla tradizione di Port-Royal e del primo giansenismo francese, e lontano da ogni atteggiamento d'intransigenza anticuriale; respinse sempre ogni eccessiva asprezza nei confronti della corte romana e criticò alcuni atteggiamenti di fanatismo degli appellanti francesi e olandesi: la sua preoccupazione rimane costantemente la salvaguardia dell'unità e del prestigio della Chiesa e la difesa della sua struttura gerarchica, il desiderio non di distaccarsi da Roma, bensì di restaurarne l'autorità, intaccata dall'appoggio concesso ai gesuiti e alle persecuzioni della corte francese contro gli appellanti (E. Passerin d'Entrèves, La riforma, pp. 217-231).
La nominaa provveditore - carica vacante dal 1717 - pose il C. di fronte ai problemi della decadenza dello Studio pisano, benché, anche prima del suo arrivo, vi avessero insegnato molte personalità di prestigio - G. Grandi, A. Marchetti, G. Averani, C. Taglini, E. Noris, G. Capassi, Pompeo Neri, B. Tanucci, G. Rucellai -, alcune delle quali egli trovò, giungendo, ancora al loro posto, e benché l'università pisana continuasse pur sempre a costituire in Italia uno dei punti di riferimento della nuova cultura critica, scientifico-sperimentale. La sua attività volta alla riorganizzazione dell'ateneo sul piano delle strutture, della disciplina e della cultura lo portò spesso a scontrarsi con la reggenza, e soprattutto con l'onnipotente Richecourt, sia a causa della rigida economia nelle spese, imposta da Vienna alla reggenza, che rallentava ogni concreta iniziativa di miglioramento, sia, soprattutto, a causa del sospetto che nutriva il giurisdizionalista Richecourt nei confronti di una università di cui stimava eccessivo il numero dei professori ecclesiastici, e di un provveditore, il C. appunto, che egli giudicava "troppo Pretaio", perché sostanzialmente ortodosso e fedele a Roma.(cod. Cors. 1589. c. 131: a Bottari, da Firenze il 13 ott. 1739). Da parte sua il C., aderendo all'opposizione antilorenese del patriziato e dei dotti toscani, accusò sempre il Richecourt di comandare "dispoticamente" e di voler essere "l'arbitro assolutissimo della Toscana" (cod. Cors. 1589, c. 133: a Bottari, da Firenze l'8 nov. 1739),e cercò di opporsi alle idee del ministro lorenese in merito alle riforme da portarsi all'ateneo, per il quale egli proponeva "di non alterare punto l'antica Costituzione dell'Università, ma bensì di richiamarla a poco a poco all'antico splendore, rimediando gli abusi e risanando i languori" (N. Carranza, 1974, p. 236, lettera a Niccolini, da Pisa il 18 dic. 1738). Significativo di questo contrasto ideale, oltre che politico, è la disapprovazione del C. nei confronti della protezione accordata dal Richecourt all'opuscolo del professore pisano G. A. de Soria intitolato Della esistenza e degli attributi di Dio (Lucca 1745), che egli giudicava come "puro pensiero deistico (N. Carranza, 1974, pp. 278 s.).
Nell'estate del 1742il C. riuscì a realizzare il viaggio in Francia cui da qualche anno pensava e si recò a Parigi anche per farsi curare un'oftalmia da da cui era affetto. A Parigi conobbe Mairan, Trudaine, Réamur, Fontenelle, Falconet e Voltaire (altri suoi amici e corrispondenti francesi saranno Clairaut, Duhamel, Brosses, La Condamine, Maupertuis, l'abate di Saint-Pierre) e alcuni fra i maggiori rappresentanti del giansenismo francese, come il Mésenguy, il Caylus, il Boursier e il Fitz-James, vescovo di Soissons. Ma più di tutti frequentò il Montesquieu, con cui entrò in grande intimità e che gli permise di leggere alcune parti de L'Esprit des lois che allora stava scrivendo (R. Shackleton, Montesquieu, p. 101). Il Montesquieu, che indirizzò sempre al C. espressioni di grande stima - "vous êtes toute l'Italie pour moi", gli scrisse da Bordeaux il 1° dic. 1754 (Oeuvres complètes de Montesquieu, III, p. 1521) -, gli annunciò personalmente la prossima pubblicazione del suo libro il 28 marzo 1748. Di rimando il C., scrivendo all'amico il 18 febbr. 1749, dichiarava che la lettura dell'opera aveva prodotto in lui "une espèce d'extase d'admiration" (ibid., p. 1183), ma accanto alle espressioni del suo entusiasmo esponeva anche il timore di violente reazioni contro di essa. Lo stesso C., durante le polemiche che fiorirono intorno al libro e alla sua condanna da parte della Congregazione dell'Indice, ammise che esso non poteva "assolutamente sottrarsi da qualche censura teologica relativamente a diverse osservazioni" (P. Berselli Ambri, p. 38, lettera a Bottari, da Pisa il 31 genn. 1751), benché poi il suo atteggiamento tollerante ed ironico, oltre alla sua amicizia per l'autore, gli impedisse di approvarne la condanna, e di condividere il giudizio negativo espresso sull'opera dai giansenisti francesi.
D'altra parte, nell'ammirazione del C. per Montesquieu era presente anche una componente politica che si manifestava chiaramente nella sua opposizione al "despotismo" e nell'adesione alla ostilità del patriziato e dei dotti toscani, raccolti intorno alla famiglia Corsini, nei confronti della reggezza lorenese e dei suoi tentativi di trasformazione dello Stato toscano in senso assolutistico (il 25 ag. 1749 il C. scriveva a Montesquieu che il suo libro conteneva molte verità utili al genere umano "que le gouvernement militaire et despotique avoit presque partout fait disparoître. Ce sera toujours le plus beau projet du monde d'avoir tenté avec une noble hardiesse de sauver les débris de notre espèce des ravages de la puissance arbitraire": Oeuvres complètes deMontesquieu, III, p. 1252).La stessa motivazione antidispotica si ritrova nei giudizi favorevoli da lui espressi sull'opposizione del Parlamento di Parigi alle decisioni reali nella questione del rifiuto dei sacramenti agli appellanti contro la bolla Unigenitus, e sulle "grandes remontrances" indirizzate al re (1753), che egli definiva "degne di Demostene". Il C. riteneva che l'azione del Parlamento, al di là dell'appoggio che esso dava alla causa giansenista, dimostrasse che vi era ormai in Francia "la sazietà del despotismo asiatico" di una monarchia filogesuitica e vedeva in questo comportamento un motivo di libertà, sul piano politico, che egli condivideva e che lo induceva ad identificare nel Parlamento quei pouvoirsintermédiaires di cui il Montesquietu aveva costruito il sistema (E. Passerin d'Entrèves, La riforma "giansenista", pp. 218-220). Infatti il 16 marzo 1755scriveva a F. Galiani che gli effetti dell'Espritdes lois si scorgevano "nel modo di pensare de' Parlamentari" (P. Berselli Ambri, p. 153). Tuttavia occorre sottolineare come l'"antidespotismo" del C., così come degli altri dotti toscani, quale il Niccolini, abbia un carattere aristocratico e spesso conservatore nel suo porre oggettivamente freno all'opera razionalizzatrice e alla volontà di riforma dell'assolutismo, di cui il Richecourt era espressione (F. Venturi, pp. 303 s.; si veda anche M. Rosa, Dispotismo e libertà, pp. 14-16).
Le amicizie contratte tra i filosofi parigini non attutirono la vivace ostilità del C. per il deismo ("sistema infame"), per la massoneria e per "le libertinage d'une fausse et téméraire philosophie" che, dirà più tardi, aveva prodotto infiniti danni nella capitale francese (Parigi, Bibliothèque de l'Arsenal, ms. 4987, p. 120: ad A. Clément, da Pisa il 18 marzo 1759). Si mantenne in corrispondenza con Voltaire, che si rivolse a lui per conoscere la vera posizione della Chiesa cattolica nei confronti delle rappresentazioni teatrali. Anche su questo punto il C. manifestò l'apertura e la tolleranza delle sue convinzioni mostrando, nella sua risposta, di aderire, contro le affermazioni del rigorista Concina, all'opinione del Maffei, secondo cui mai la Chiesa aveva totalmente condannato il teatro. Nel 1742 scrisse un inedito Parere intorno alla quistione se sia contrario ai principii della religione cattolica l'assistere alle oneste rappresentazioni teatrali. Nell'estate del 1743 lasciò la Francia per l'Inghilterra: ammirava la cultura inglese e soprattutto Locke, che definì "l'Archimede della migliore metafisica", secondo un apprezzamento comune a tutto il gruppo riformatore che, tra Firenze, Roma e Napoli, cercava di imporre all'interno del cattolicesimo la nuova cultura scientifica (F. Venturi, pp. 22 s.). A Londra frequentò il mondo scientifico e gli ambienti della Royal Society: Bradley, Stormont e M. Folkes, presidente della Royal Society e amico di Montesquieu, col quale era in corrispondenza. Passato in Olanda, incontrò i maggiori rappresentanti del giansenismo francese in esilio e quelli della Chiesa dissidente di Utrecht, il cui contrasto con Roma egli riteneva componibile poiché non gli appariva di natura teologica ma solamente disciplinare: fu corrispondente di A. Clément, uno dei più importanti sostenitori della causa della Chiesa di Utrecht, che egli stesso mise in contatto, nel 1754, col Bottari. Ammalatosi, venne curato dal Van Swieten e assistito dal marchese G. Sforza Fogliani, ambasciatore napoletano in Olanda. Nell'autunno del 1743 rientrò a Parigi e vi si trattenne, a causa di una indisposizione, fino alla primavera del 1744, epoca in cui si rimise in viaggio. Passò prima a Lipsia, dove conobbe il Leich e il Mascov, poi a Berlino, dove incontrò Federico II e il Maupertuis, che lo fece ascrivere alla Accademia reale di scienze e lettere di Prussia; quindi, fermatosi a Vienna, discusse col ministro barone di Pfutschner i problemi della riforma dell'università pisana. Dopo una sosta a Padova rientrò a Pisa e da qui si mosse ancora solo per brevi viaggi: a Roma e a Napoli, nel 1749, per visitarne gli scavi archeologici e incontrare l'amico Celestino Galiani, con cui era rimasto sempre in contatto, tanto più che questi, in qualità di cappellano maggiore del Regno e quindi di prefetto degli studi, aveva presentato già nel 1732 una proposta di riforma dell'università di Napoli a cui si ispirò certamente il C. (N. Carranza, 1974, pp. 242 s.). Oltre a un viaggio, intorno al 1750, sul lago di Garda e a Torino (relativamente al quale redasse alcune note inedite: Relazione de' viaggi di Garda e di Torino), e un secondo a Milano e sul lago Maggiore, intorno al quale scrisse un Racconto di un viaggio fatto nel 1755 da Parma a Milano e di là al Lago Maggiore per vedere le Isole Borromee, disposto in due lezioni da recitarsi alla Accademia della Crusca che venne pubblicato postumo, nel 1776, nel Magazzino toscano (XXVIII), non si mosse quasi più dalla Toscana, dedito alle sue incombenze e agli studi e, fra questi, soprattutto a quelli di agraria e di botanica. L'interesse per l'agricoltura, oltre a dettargli l'opuscolo Della maniera di coltivare gli alberi fruttiferi (postumo, Firenze 1769), lo avviò verso gli studi di economia: accolse con ammirazione l'opera di B. Intieri, Della perfetta conservazione del grano e fu in corrispondenza col Genovesi e con Ferdinando Galiani, che spronò a scrivere un trattato De re tributaria e col quale, pur rimproverandogli il suo atteggiamento antimontesquieuiano, discuteva per lettera dell'"importante materia del commercio" (a F. Galiani, da Pisa il 17 febbr. 1755, cit. in F. Venturi, p. 568 n.) e delle opere di Forbonnois, di Plumard de Dangeul, di Tull, di Uztariz e di Ulloa, e dell'amico Duhamel. Già vecchio e malato, partecipò attivamente ai lavori della deputazione per la riforma dello Studio pisano costituita nel 1767 da Pietro Leopoldo e contribuì con le numerose memorie e relazioni stese durante il suo provveditorato al riordinamento dell'università che venne attuato solamente dopo la sua morte. Ancora nel 1767 preparò, su richiesta del ministro Du Tillot, un progetto per una università a Parma, che però non ebbe mai corso.
Il C. morì a Firenze il 19 giugno del 1769 e venne sepolto nella chiesa delle monache dell'Ordine di S. Stefano, a Firenze. Prima di morire dispose che fosse distrutto gran parte del suo ricchissimo epistolario e che il suo corpo venisse sezionato per studiarne la malattia.
Benché poco numerosi siano i suoi scritti (oltre a quelli già citati esistono dei frammenti di Discorsi sacri e un abbozzo di Questioni teologiche), data la riluttanza del C. a scrivere ed a stampare, importante fu l'attività e il ruolo concreto da lui svolti per il rifiorire dell'università pisana: sensibile alle esigenze del rinnovamento culturale, le sue iniziative, benché spesso contrastanti con le intenzioni della reggenza a causa della diversità delle loro prospettive ideali, contribuirono a confermare lo Studio pisano nel suo ruolo di vivace centro culturale del Settecento italiano e di formatore di molti fra i maggiori rappresentanti della classe dirigente, toscana e non, del periodo delle riforme. Durante il provveditorato del C., che riorganizzò l'ateneo anche sul piano amministrativo e disciplinare, incoraggiò l'insegnamento di materie scientifiche e sperimentali e di una teologia rigoristica (chiamando a Pisa i padri G. L. Berti e T. V. Moniglia), fu costruito l'osservatorio astronomico, venne riordinato il museo di storia naturale, si istituì un laboratorio di chimica, si aprì la biblioteca universitaria, furono soppresse cattedre inutili e ne vennero istituite di nuove, quali quelle di astronomia, affidata nel 1739 a T. Perelli, di fisica sperimentale, storia naturale ed elementi di chimica, affidata nel 1748 a C. A. Guadagni.
Fonti e Bibl.: Indicazioni sugli scritti e sui carteggi del C. - conservati oltre che nella Bibl. Corsiniana di Roma, anche nell'arch. privato dei marchesi Niccolini di Camugliano, a Firenze, nella Bibl. della Soc. napoletana di storia patria e, relativamente alle sue memorie e relazioni sullo Studio pisano, nella Bibl. e nell'Arch. dell'università di Pisa e nell'Arch. di Stato di Firenze - si trovano a p. 116 n. e a p. 132 n. della monogr. di N. Carranza, Monsignor G. C. provveditore della università di Pisa (1733-1769), in Boll. stor. pisano, XXX (1961), pp. 103-290, ora ampliato e aggiornato in volume: Monsignor G. C. provveditore dell'Università di Pisa nel Settecento delle riforme, Pisa 1974. Fra le fonti parigine, tuttavia, il Carranza non ricorda, oltre alle lettere del C. conservate presso la Bibliothèque de l'Arsenal, quelle, numerose, che si trovano nella Bibl. du Séminaire de Saint-Sulpice (Lettres italiennes à M. La Motte du Coudray, t. V). Per la biografia del C. sono stati utilizzati anche: A. Cerati, Elogio di monsignor G. C. patrizio parmigiano, Parma 1778; A. Fabroni, Historia Academiae Pisanae, Pisis 1795, III, pp. 30-35; I. Affò-A. Pezzana, Continuazione delle Mem. degli scrittori e letterati parmigiani, VII,Parma 1833, pp. 127-145, 317, 335, 385, 394; E. De Tipaldo, Biogr. d. Italiani illustri, VIII,Venezia 1841, pp. 412-416; G. Bianchi, La vita e i tempi di mons. Greg. Cerati …, Piacenza 1893, pp. 255-256 n. Per le idee religiose e i rapporti del C. con l'ambiente romano: R. Palozzi, Monsignor G. Bottari e il circolo dei giansenisti romani, in Annali della R. Scuola normale sup. di Pisa, s. 2, X (1941), pp. 70-90, 199-220; E. Dammig, Il movim. giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, pp. 122-130 e ad Indicem; E. Codignola, Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947, pp. 60 ss., 199, 203; F. Nicolini, Un grande educatore italiano. C. Galiani, Napoli 1951, pp. 30, 53, 68, 106, 126, 134, 143, 188, 203; E. Passerin d'Entrèves, L'ambiente culturale pisano nell'ultimo Settecento...,in Boll. stor. pisano, XXII-XXIII(1953-1954), p. 55; M. Rosa, Atteggiamenti culturali e religiosi di Giovanni Lami nelle "Novelle letterarie",in Annali della Scuola norm. super. di Pisa, s. 2, XXV(1956), pp. 295, 330; E. Passerin d'Entrèves, La riforma "giansenista" della Chiesa e la lotta anticuriale in Italia nella seconda metà del Settecento, in Riv. stor. ital., LXXI (1959), pp. 209-234; E.Appolis, Entre jansénistes et zelanti. Le "tiers parti" catholiaue au XVIIIe siècle, Paris 1960, pp. 131 ss. e ad Indicem; A.Vecchi, Correnti religiose nel Sei-Settecento veneto, Venezia-Roma 1962, pp. 193, 379, 380, 437; G. Ricuperati, rec. a C. Pighetti, Per la storia del newtonianesimo in Italia, in Riv. critica di storia della filos., XVI (1961), pp. 425-434; in Riv. stor. ital.,LXXIV (1962), p. 644; P. Stella, Il giansenismo in Italia, I, Piemonte, Zürich 1966, pp. 175, 221, 225; M. Caffiero, Lettere da Roma alla Chiesa di Utrecht, Roma 1971, pp. 22, 31, 53 s., 61 s.; V. E. Giuntella, Roma nel Settecento, Bologna 1971, p. 126; M. Caffiero, Cultura e religione nel Settecento italiano: G. C. Amaduzzi e Scipione de' Ricci, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXVIII(1974), pp. 97-104. Per i rapporti con la cultura europea e con il Montesquieu: Oeuvres complètes de Voltaire, L,Kehl 1785, pp. 483 s.; Di alcune lett. ined. di Voltaire, in Antol.,VII (1822), pp. 348-351; Oeuvres complètes de Montesquieu, a cura di A. Masson, III, Paria 1955, pp. 1183, 1252 e ad Indicem; R. Shackleton, Montesquie's Correspondance: additions and corrections, in French Studies, XII (1958), pp. 330 ss., 344; C. de Secondat de Montesquieu, Viaggio in Italia, a cura di G. Macchia-M. Colesanti, Bari 1971, pp. XIII, 183, 201, 277 s., 289, 303, 326 s.; P. Berselli Ambri, L'op. di Montesquieu nel Settec. italiano, Firenze 1960, pp. 16-22 e ad Indicem; R. Shackleton, Montesquieu. A critical biography, Oxford 1961, pp. 101, 177 s. e ad Indicem; M. Rosa, Dispotismo e libertà nel Settecento. Interpretazioni "repubblicane" di Machiavelli, Bari 1964, pp. 11, 14 ss., 20; F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 22 s., 303, 304 n. e ad Indicem; M. Rosa, Riformatori e ribelli nel '700 religioso ital., Bari 1969, pp. 82, 88, 90, 116, 265 s.