COLLER, Gaspare Andrea
Discendente da una famiglia d'origine tedesca (Koller) e di modeste condizioni stabilitasi nel Cuneese attorno alla metà del XVIII sec., il C. nacque a Moretta (Cuneo) il 5 apr. 1776 da Domenico e Antonietta Grassi. Compiuti i primi studi nel paese natale, seguì i corsi superiori presso le scuole di Savigliano, terminati i quali si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Torino. Laureatosi poco più che diciannovenne al termine di una brillante carriera di studi, ritornò in famiglia nel momento in cui il Piemonte, sotto la spinta delle idee rivoluzionarie provenienti dalla Francia, stava vivendo una gravissima crisi politica. Il C. non tardò ad infiammarsi per le idee-libertarie ed egualitarie che nel cosiddetto triennio giacobino scossero la vecchia struttura del regno sardo: ed anch'egli, preso da velleità politiche, fu visto arringare la folla nelle piazze del paese natale. Ben presto però dovette abbandonare questa attività per dedicarsi esclusivamente al lavoro, intraprendendo la carriera nella magistratura. Compiuto il tirocinio previsto dalle leggi allora vigenti, il 5 luglio 1799 il C. venne nominato giudice del mandamento di Almese, nel circondario di Susa; meno d'un anno dopo ottenne la prima promozione passando a Vigevano in qualità di avvocato fiscale a quindi, col medesimo incarico, a Pinerolo. L'attaccamento e la fedeltà alla Francia, dimostrati dal C. nel periodo dell'occupazione austro-russa, fecero sì che poco dopo il ritorno dei Francesi in Piemonte la sua fedeltà venisse premiata con la nomina a commissario governativo presso il Tribunale di Mondovì. Egli mantenne questa carica dal 1801 al 1808, quando venne promosso presidente del Tribunale di prima istanza di Torino: poco dopo, nel 1810, diventava procuratore generale presso la corte d'appello di Torino e, dopo pochi mesi, un nuovo avanzamento lo portava, in quello stesso Tribunale, all'incarico di procuratore imperiale. Magistrato assai dotto e di vastissima dottrina, la sua fama di esperto giureconsulto e di validissimo magistrato, conquistata proprio in quegli anni, è soprattutto legata ad un'opera di giurisprudenza in sei volumi, Annales de procédure civile: recueil analytique et raisonné des plus importantes questions du nouveau Code de procédure civile, pubblicata a Torino tra il 1807 e il 1809 in collaborazione con un altro magistrato, Carlo Rocca, relativa ai problemi di interpretazione del codice di procedura civile napoleonico.
Nel 1814, al ritorno della monarchia sabauda in Piemonte, col conseguente ripristino degli antichi ordinamenti e delle precedenti strutture giudiziarie, e col richiamo dei vecchi magistrati, il C. fu costretto ad abbandonare la magistratura, dedicandosi per qualche tempo all'esercizio della libera professione di avvocato. Tuttavia già nel 1816 egli fu richiamato in servizio ed inviato a Chambéry col grado di senatore presso il Senato di Savoia. Richiamato a Torino due anni dopo per ricoprire l'incarico di sostituto procuratore generale presso la Camera dei conti, passò rapidamente di grado in grado (collaterale presso la Camera dei conti, poi conservatore generale del Tabellione, poi senatore presso il Senato di Torino con la reggenza dell'avvocatura generale, e quindi reggente il Consiglio di giustizia di Alessandria) fino ad ottenere, con regie patenti del 26 ag. 1823, la nomina ad avvocato fiscale presso il Supremo Consiglio di Sardegna. In Sardegna il C. si pose in grande evidenza per la profonda competenza con cui collaborò alla discussione ed alla formazione della raccolta delle leggi civili e criminali isolane. Il contributo fornito in tale occasione gli valse la promozione, nel 1827, a reggente la Reale Cancelleria e la Regia Udienza di Cagliari. Trascorsi cinque anni in Sardegna, adducendo seri motivi di salute riuscì ad ottenere nel '28 il richiamo a Torino e a venir destinato alla Camera dei conti col titolo di procuratore generale e presidente della Commissione di cancelleria. Promosso, dopo lunghi anni di servizio, primo presidente della Camera dei conti nel 1841, nel volger di soli tre anni otteneva il ben più prestigioso incarico di primo presidente del Senato di Torino.
Di pari passo colla scalata ai sommi gradi della magistratura il C. raccolse significative ed ambite onorificenze: cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro nel 1820, nell'aprile del 1842 era gia arrivato, nello stesso Ordine, al grado di gran cordone; inoltre nel '44 ebbe il titolo di conte, ottenendo che, mancandogli figli maschi, esso fosse trasmissibile al genero. Da questo momento, gli ultimi cinque anni del regno di Carlo Alberto cioè, il C. riuscì veramente a pervenire ai massimi vertici della magistratura: consigliere di Stato dal 30 sett. 1847, a poco più d'un mese di distanza fu nominato dal re primo presidente della Corte di cassazione, benché durante i lavori preparatori egli si fosse dimostrato ostile a questo nuovo istituto, giudicandolo lesivo delle tradizionali prerogative giurisdizionali e politiche dei Senati, oltreché alquanto imperfetto dal punto di vista organizzativo. Obiezioni che mantenne nonostante la carica da lui ricoperta e che addirittura manifestò nel discorso di inaugurazione della Corte stessa.
In qualità di consigliere di Stato il C. partecipò alla storica seduta del Consiglio di conferenza del 7 febbr. 1848, nel corso della quale Carlo Alberto decise la concessione dello statuto.
In quell'occasione egli si espresse fin dall'inizio in modo favorevole a tale concessione, opinando che le condizioni interne del regno sardo e gli stimoli provocati dal movimento riformatore all'estero rendessero assolutamente indilazionabile un mutamento della forma di governo in direzione costituzionale. Tuttavia la posizione dei C. nasceva non tanto da uno spirito liberale quanto dall'esigenza di rispondere alle pressioni emergenti dal paese senza modificarne la struttura istituzionale e la gestione del potere. E in effetti le preoccupazioni sostanzialmente conservatrici del C. emersero quando, in quella seduta, si trattò di ipotizzare un coordinamento fra le leggi in vigore e la nuova costituzione: egli richiese allora una più rigida applicazione delle leggi e dei regolamenti di polizia e quindi, scontrandosi soprattutto con Federico Sclopis, si produsse in un durissimo attacco alla libertà di stampa (da lui definita assai pericolosa per il controllo sul paese e sull'esercito) affermando che gli pareva comunque "possibile l'attivare ... un sistema di governo rappresentativo senza libertà di stampa, soggetta soltanto a legge repressiva".
Promulgato lo statuto albertino, il C. venne nominato, il 3 apr. 1848, fra i primi cinquantanove senatori del Regno venendo poi eletto, a causa del persistente rifiuto di Cesare Alfieri di Sostegno ad assumere la carica, presidente del Senato. Si dimostrò impari all'ufficio: magistrato senza dubbio esperto, ma unius negotii, com'ebbe a definirlo il Manno, di modi per giunta piuttosto burberi, egli non seppe staccarsi dalla propria rigida intransigenza per adeguarsi alle sottili arti diplomatiche e per sviluppare quell'intuito politico che la carica di presidente del Senato, in quella prima legislatura più che mai, richiedeva. Perciò, essendosi reso conto, oltretutto, che tali funzioni politiche interferivano pesantemente coi suoi doveri di magistrato, se ne dimise spontaneamente, dedicando i suoi ultimi anni di vita alla Corte di cassazione, della quale rimase primo presidente fino alla morte. Dal '53, dopo la perdita della moglie (Rosa Richelmi, che aveva sposato nel 1810 e dalla quale aveva avuto una figlia, Irene, sposata al generale F. Prat), l'attaccamento al lavoro assunse una forma quasi maniacale, al punto da fiaccarne in poco tempo la pur forte fibra. Si spense in Moretta il 14 sett. 1855.
Bibl.: Torino, Biblioteca reale: A. Manno. Il patriziato subalpino (dattil.), VII, pp. 198 ss.; G. C., Torino 1955 (necrologio); C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, II, pp. 148, 461 s.; A. Manno, La concessione dello Statuto. Notizie di fatto documentate, Pisa 1885, pp. XII-XIX, 1-15, 21 ss.; G. Craveri, Biografie di morettesi illustri, Torino 1893, pp. 34-44; A. Moscati, I ministri del '48, Napoli 1948, pp. 62 ss.