LEVANTO, Galvano da
Nacque, probabilmente a Genova, nella seconda metà del XIII secolo.
La vita del L. è nota solo dalle sue opere, assai scarne di dati biografici come di elementi che possano facilitarne la datazione; per questo si è spesso fatto vivere il L. in epoche differenti in seguito a letture difettose dei suoi manoscritti. Alcuni hanno ritenuto, senza fondamento, che il L. fosse prete, o monaco benedettino o, ancora, francescano. Dalle ricerche di Kohler e, soprattutto, di Petti Balbi si trae un ristretto gruppo di dati e di ipotesi verosimili.
La famiglia da Levanto, originaria dell'omonima località ligure, è nota per numerosi suoi esponenti, attivi nella vita genovese, dei quali è però impossibile precisare i legami con il Levanto. Un certo Oberto compare tra il 1250 e il 1280 come speciarius stabilitosi nei pressi della cattedrale di Genova. Un Federico e un Ranuccio, entrambi medici, sono attestati a Genova e Pera negli anni 1267, 1280 e 1281. Si è particolarmente tentati quindi d'immaginare diretti legami di parentela fra costoro e il L. il quale, nelle sue opere, si nomina in diverse occasioni come "umbra medici": "Galvanus Ianuensis de Levanto umbra medici" (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 3181, c. 9); "per me umbram medici" (ibid., c. 28v). Questa espressione, talvolta letta in modo erroneo come "umbr[i]ae medicus", è stata diversamente interpretata. Un'origine umbra è da scartare, al pari dell'opinione che vuole che il L. non avrebbe mai praticato la sua arte, diventando così un "medico nell'ombra" (Marini, p. 62). In tale affermazione deve essere vista, come sostenuto da Leclerq, una formula d'umiltà, non giudicandosi il L. altro che "l'ombra di un medico" (1966, p. 404).
Non è noto dove egli abbia ricevuto la sua formazione che si rivela particolarmente vasta sia in campo biblico sia in quello propriamente scientifico: probabilmente essa avvenne in uno dei due Studia mendicanti di Genova, all'epoca il cuore della vita intellettuale cittadina. Nel Liber anniversarium del convento francescano di Genova il L. è menzionato come "magister Galvanus, medicus, devotus amicus et fidelis" (cfr. ed. Promis); la maggior parte delle sue opere sono dedicate a esponenti francescani, in particolare al suo maestro Benedetto d'Alba, ma i loro rapporti, forse di natura esclusivamente spirituale, non sono precisati.
Il L. visse dunque in stretta relazione con gli ambienti degli ordini mendicanti, ma, al contrario di quanto sostenuto ancora di recente, non ne rivestì mai l'abito. In un documento datato 4 apr. 1312, infatti, compare una Iacopina che si qualifica vedova del "magister Galvanus" (cfr. Petti Balbi). Inoltre il L. ebbe almeno due figli: in una miniatura di un manoscritto contenente le sue opere (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 3181, c. 24), egli è ritratto in abito laico mentre viene sottratto da un angelo dalle grinfie di un diavolo; a fianco è il busto di una donna tra due uomini con l'iscrizione "uxor, filius, filius". Si può quindi supporre, tuttalpiù, che il L. sia appartenuto al Terz'Ordine.
Si ritiene che il L. abbia avuto, nel corso della sua vita, un periodo particolarmente problematico, forse a causa di una malattia; agli inizi della sua Ars navigativa spiritualis evoca il ristabilimento delle sue forze indebolite, forse a causa di una malattia, grazie all'intervento divino che gli ha permesso di raggiungere il porto della salvezza (c. 28 a). D'altra parte, nell'introduzione del suo Liber sancti passagii, composto tra il 1291 e il 1295, egli si dichiara oppresso da difficoltà di ordine economico. Questa situazione indusse il L. a cercare il sostegno di protettori altolocati: si rivolse dapprima ai reali di Francia, che diversi membri della sua famiglia avevano forse servito (Iacopo da Levanto fu ammiraglio di Luigi IX), dedicando perciò il suo Liber sancti passagii a Filippo IV il Bello. È proprio in seguito, sembra, all'insuccesso di questo primo tentativo che il L. cercò il favore di altri ambienti presso i quali sperava di avere maggiore fortuna e dedicò perciò altre opere a Bonifacio VIII e ad alti esponenti della Curia romana. È probabile quindi che egli abbia soggiornato a Roma, intorno al giubileo del 1300, data che è possibile anticipare con qualche cautela sulla scorta dei dati biografici di alcuni dei destinatari delle sue opere. Senza alcun fondamento, invece, il L. è stato ritenuto un archiatra pontificio.
Il L. poté contare sulla protezione di autorevoli membri della famiglia Fieschi con la quale i da Levanto erano senz'altro in rapporti di clientela, famiglia il cui ruolo si era affermato dopo Innocenzo IV e Adriano V: fra questi ricordiamo Albertino Fieschi, arcidiacono di Reims dal 1280 al 1307, e il cardinale Luca Fieschi morto nel 1336. Quest'ultimo, insieme con il cardinale Pietro Valeriano Duraguerra, è indicato in una dedica come principale benefattore del L. (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 3181, c. 9).
Non è nota la data di morte del L.: il già ricordato documento datato 4 apr. 1312 offre al riguardo un preciso terminus ante quem: la sua morte dovette avvenire poco tempo prima, probabilmente a Genova.
Il L. ha lasciato una quindicina di trattati, generalmente molto brevi, che hanno avuto una limitata diffusione, la maggior parte essendo conservati in un solo manoscritto (altri sono menzionati soltanto negli inventari delle biblioteche pontificie nel 1295, 1311, 1399: cfr. Ehrle, 1890, e Pelzer, 1947). La sua produzione è essenzialmente compresa in tre collezioni manoscritte, dove i testi di contenuto medico possono essere ben differenziati dai trattati di edificazione e dottrina.
In un manoscritto conservato presso la Biblioteca apostolica Vaticana (Vat. lat., 2643), sono contenuti tre trattati di medicina a uso degli uomini di Chiesa: Thesaurus corporalis prelatorum Ecclesie Dei et magnatum fidelium… contra nocumentum digestionis stomaci; Remedium salutare contra catarum… ad prelatos Ecclesie Dei et principes terre; Liber Paleofilon curationis langoris articulorum multiplicis dolorum. Un altro testo, dedicato a Bonifacio VIII, sembra scomparso: il L. menziona infatti un Liber manu Dei contra calculosum languorem sanctissimo pape Bonifatii VIII intitulato. Il manoscritto vaticano è senz'altro l'esemplare stesso di presentazione: in una delle miniature compare l'autore stesso mentre offre la sua opera a un pontefice assiso contornato da dodici prelati. Un altro codice, successivo (XV secolo) e conservato a Berlino (Staatsbibliothek - Preussischer Kulturbesitz, Lat. qu., 773) contiene oltre al succitato Thesaurus altri due trattati di medicina, il Liber salvatoris e il Liber doctrine curative languoris leprosis. Le competenze mediche del L. non sembra che possano essere messe in dubbio. In altre opere a carattere prevalentemente edificatorio il L. cita Ippocrate, Galeno o l'Antidotarium dello Pseudo Mesue.
Un'altra raccolta è rappresentata dal manoscritto parigino Bibliothèque nationale, Fonds lat., 3181, forse autografo a giudicare dalle rasure e dalle additiones disseminate nel testo. Il codice contiene dieci trattati, alcuni dei quali relativi a diversi aspetti dottrinali: il Liber fabrice corporis mistici et regiminis eius relati ad caput quod est Christus Dominus a quo totum corpus misticum quod est Ecclesia recipit motum et sensum, dedicato a Bonifacio VIII, è favorevole a una larga estensione delle prerogative pontificie e fa quindi del L. uno degli scrittori sostenitori delle tesi curialiste diffuse sotto il pontificato di papa Caetani. Il Liber neophytus spiritualis thesauri indulgentiarum sanctissimi papae Bonifatii VIII, che affronta il valore delle indulgenze, è stato senz'altro composto in occasione del giubileo del 1300. Il Neophyta doctrina de inferno, purgatorio et paradiso, rivolto ai principi albanesi convertitisi, si oppone agli errori dottrinali degli ortodossi, qualificati come eretici, e si colloca verosimilmente nello stesso periodo.
Gli aspetti devozionali della produzione del L. sono testimoniati dal Liber de amando Deum, dal Liber doctrine agni immaculati Iehsu Christi, dal Tractatus alphabeti Christiphere Marie e dal Thesaurus religiose paupertatis che ha per scopo di condurre il cristiano all'imitazione di s. Francesco d'Assisi e di s. Domenico. Infine la Contemplatio de gratia Dei neophyta gradiens super corpus humanum et eius regimen conservativum et curativum, al pari della Tyriaca mortis spiritualis gradiens super tyriacam medicorum, scritti forse agli inizi della carriera del L., sviluppano, a partire dalle sue conoscenze mediche, una serie di metafore e di allegorie. La Tyriaca, in particolare, è stata considerata come una delle più antiche ars moriendi (benché datata a torto da Tenenti alla metà del XIV secolo).
Un ultimo manoscritto (Parigi, Bibliothèque nationale, Nouv. acq. lat., 669, sec. XV) contiene il Liber sancti passagii christicolarum contra Sarracenos pro recuperatione Terre Sancte, la sua opera più nota sfortunatamente mutila alla fine. Proprio al Liber sancti passagii, scoperto da Ch. Kohler alla fine dell'Ottocento, si deve principalmente l'attenzione intorno al L. e alla sua figura. Il titolo dell'opera può trarre in inganno: infatti, anche se la composizione è stata sollecitata dall'emozione suscitata dopo la presa di San Giovanni d'Acri (1291), non si tratta di un vero progetto di crociata, analogo a quelli di Fidenzio da Padova o di Pierre Dubois, ma dell'unione assai poco coerente di due trattati a scopo principalmente morale. Il primo trae dalla simbologia del gioco degli scacchi materia per un'opera sul buon governo a uso del principe, che non raggiunge però la profondità analitica presente in uno Iacopo da Cessole. Il secondo, mutilo, ha come oggetto d'indagine le cause e le modalità della crociata propriamente detta, vista da un punto di vista esclusivamente spirituale. Il solo elemento concreto sembra essere stata una cartina del Regno di Gerusalemme, che costituiva il sedicesimo e ultimo capitolo, ma che è scomparsa. In un esemplare facente parte un tempo della biblioteca di Bonifacio VIII, questa mappa era dipinta su una pergamena caprina cucita con il codice; probabilmente analoga alle numerose carte ispirate dalla tradizione della Descriptio Terrae Sanctae di Burcardo del Monte Sion, ripresa in seguito anche da Marino Sanuto, doveva raffigurare la Palestina ripartita nelle dieci tribù d'Israele. Contrariamente alle affermazioni di Golubovich, è però evidente che il L. non si sia mai recato in Oriente.
In tutta la sua produzione il L. ricorre spesso alle interpretazioni allegoriche. A titolo di esempio può essere presentata la sua Ars navigativa spiritualis, dove egli espone le proprietà della calamita e come l'ago magnetico indichi al marinaio il Nord anche nell'oscurità: immediata è in questo caso la similitudine del marinaio con il fedele che cerca la sua strada nel mondo secolare, mentre la calamita è identificata con il Cristo.
Tuttavia il L. è lungi dall'essere il "témoin honnête et sans génie, homme de bonnes intentions, mais de peu de doctrine" (Leclerq, 1965, p. 532) come ci si è compiaciuti a descriverlo, con una condiscendenza senz'altro eccessiva. Le sue conoscenze patristiche e tecniche sono infatti vaste e riguardano un gran numero di questioni dibattute alla sua epoca (quali il purgatorio, le indulgenze, il buon governo dei principi e della Chiesa, la conversione degli eretici), nonché infine la pratica della medicina. Le sue opere costituiscono la testimonianza della cultura di un laico del suo tempo.
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