TARSIA, Galeazzo
di. – La memoria di Galeazzo di Tarsia, barone di Belmonte in Calabria, è legata a un corpus poetico edito per la prima volta per le cure di Giovan Battista Basile nel 1617 (Napoli, Domenico Roncagliolo) e varie volte ristampato tra Seicento e Settecento, fino a che nel 1758 non fu incrementato da trentasei a cinquanta componimenti dalla nuova edizione di Salvatore Spiriti (Napoli, Stamperia Simoniana) sulla scorta di un ritrovato, e subito dopo l’edizione perduto, manoscritto appartenuto ad Antonio Cavalcanti (morto nel 1748). L’autore dei versi fu identificato, in carenza di precise coordinate biografiche, in Galeazzo II
A partire dall’edizione curata da Francesco Bartelli (Cosenza 1888) prevalse l’identificazione, ricevuta senza troppe riserve dalla filologia novecentesca, a favore di un omonimo nipote ex patre, Galeazzo III, morto nel 1553, la cui data di nascita, stabilita congetturalmente da Bartelli tra il 1476 e il 1477, una volta fissata su basi documentali al 1520 (De’ Geremei, 1888) rese di fatto irricevibile buona parte della sua ricostruzione. Le edizioni correnti (Rime, 1951 e 1980) ripropongono l’ordinamento e il testo (con qualche variante) dell’edizione del 1758, fondandosi sull’identificazione proposta da Bartelli, senza tuttavia fornire convincenti proposte interpretative per i componimenti la cui cronologia è evidentemente riferibile, compreso il sofferto amore per Vittoria Colonna (nata nel 1490), a fatti accaduti qualche decennio prima della nascita di Galeazzo III. Sulla base di una più rigorosa taratura degli sparsi riferimenti cronologici desumibili dalle rime, confrontati con la documentazione disponibile, è stato proposto di leggere il corpus, fin qui ritenuto unitario, come una raccolta a due voci, in cui convivono rime del nonno e del nipote (Toscano, 2004), avvalorando un’ipotesi formulata da Angelo Broccoli (1884) troppo frettolosamente archiviata dagli studiosi successivi.
La genealogia dei Tarsia di Belmonte nel corso del XV secolo registra un primo Galeazzo (Galasso) tra i baroni presenti al Parlamento del 1443, in cui fu prestato giuramento di omaggio a Ferrante, duca di Calabria, quale legittimo erede del re Alfonso (cfr. Scarton-Senatore, 2018, p. 246). Dopo i torbidi della guerra contro Giovanni d’Angiò, il 23 giugno 1468 il re concesse di nuovo l’investitura a Iacopo di Tarsia (cfr. l’edizione delle Rime a cura di S. Spiriti, cit., p. XVIII), sposato con Giovanna Cavalcanti, e padre di Galeazzo II e Sigismonda.
Galeazzo II, di cui si ignora la data di nascita, successe al padre nel 1491 nel possesso del feudo di Belmonte e della terra di Tenga, cui si aggiunse anche il possesso della terra di Santa Barbara (Archivio di Stato di Napoli, Petizioni 8, c. 184; Delle Donne, 2012, p. 474). Da un documento del 13 dicembre 1487 risulta investito della carica di capitano a guerra di Cosenza (Archivio di Stato di Napoli, Partium 27, c. 270: De Frede, 1991, p. 134), ancora vivente il padre, che era stato nominato con privilegio del 20 giugno 1486 registrato nel Repertorium alphabeticum solutionum fiscalium Regni Siciliae (Delle Donne, 2012, p. 164). In un memoriale del 1505 Galeazzo II rivendicò la carica di capitano a guerra di Cosenza, esercitata da membri della sua famiglia fin dai tempi del regno di Alfonso I (1442-58), chiedendone la conferma e la trasmissibilità, che fu concessa da Ferdinando il Cattolico con privilegio del settembre 1505 con l’estensione «al figlio primogenito del predicto Galaxo, post mortem ipsius» (De Frede, 1991, p. 135). Documenti citati da Ferrante della Marra (1641) confermano il lealismo aragonese di Galeazzo in occasione dell’invasione di Carlo VIII, allorché recuperò a Ferrante II il castello di Cosenza, entrando poi nella cerchia dei confidenti di re Federico; quindi si schierò a favore del Cattolico nella guerra franco-spagnola per la conquista del Regno, impiegando i propri beni in difesa e sostentamento della popolazione «perloché meritò anche Galasso dal medesimo Re Cattolico d’esser finalmente creato l’anno 1510 Regente della Vicaria carico supremo e di molta confidenza» (p. 412). Fu anche nominato luogotenente del maestro giustiziere. Il 4 luglio 1512 testimoniò a Cosenza al processo di canonizzazione di san Francesco di Paola sulla guarigione del padre Iacopo operata dal santo tra il 1478 e il 1479 (De’ Geremei, 1889, pp. 10 s.; Broccoli, 1884, p. LXII). Da una deposizione di altro testimone del giorno successivo risulta che anche Galeazzo, «qui per quinque dies loquelam amiserit», fu miracolosamente guarito dal santo nel 1475 (Rime, a cura di F. Bartelli, cit., p. LIX).
Morì prima del 9 maggio 1513, data del privilegio con il quale Ferdinando il Cattolico confermò a Vincenzo di Tarsia «filio primogenito dicti Galassi» la provvisione annua concessa nel 1505 (De Frede, 1991, p. 136).
Da Vincenzo, che ebbe relazioni con Aulo Giano Parrasio, e da Caterina Persico, nacque a Napoli nel 1520 Galeazzo III. Dal documento di successione del 15 febbraio 1536 (Archivio di Stato di Napoli, Originalium releviorum, vol. 347, ff. 120-137; De Frede, 1991, pp. 142 s.) risulta che Vincenzo di Tarsia morì di febbre nel 1530, lasciando il primogenito «in pupillari etate». Il carattere autoritario del giovane feudatario si manifestò abbastanza presto con l’opposizione al trasferimento della sorella Diana in casa della nonna Giovannella a Cosenza, rispondendo alle proteste del tutore Giovan Berardino di Tarsia, formalizzate in un atto notarile del 18 settembre 1536, «che lo predicto reverendo sig. abbate fa bene a contradire; però ipso [Galeazzo] fa quello che li piace» (De Frede, 1991, p. 36). In un documento del 3 marzo 1541 viene ricordato come «regio capitanio ad guerra deli casali de Cosenza» (Archivio di Stato di Napoli, Partium 220, f. 58; De Frede, 1991, p. 145). Il 28 gennaio 1544 il viceré don Pedro de Toledo gli intima di presentarsi a Napoli dovendogli esporre non meglio precisate «cose concernenteno lo servitio dela Cesarea Maestà [...] et de non partirve da qua senza nostra expressa licentia» (Archivio di Stato di Napoli, Partium 16, f. 294; De Frede, 1991, p. 145). Il 17 luglio 1545 era già sposato con Camilla Carafa, appartenente al ramo dei conti di Mondragone e principi di Stigliano, che in quella data sottoscrisse una procura per la riscossione di una quota residua dell’eredità dell’abate Giovan Francesco Carafa, zio paterno, allora nella disponibilità del cugino Luigi, avendo nei giorni precedenti il marito Galeazzo riscosso dal medesimo a Napoli gli altri 900 ducati (Archivio di Stato di Napoli, Pergamene di Castel Capuano, 318; De Frede, 1991, p. 147). Camilla era figlia di Giovan Vincenzo Carafa, e quindi nipote del conte di Mondragone, non sorella come asserì Basile nella prefazione del 1617 (De’ Geremei, 1889, p. 6).
Gli anni 1543-47 furono un periodo abbastanza oscuro della biografia di Galeazzo III, soprattutto se posti in relazione alla condanna per violenze in danno dei vassalli confermatagli dal Sacro Regio Consiglio e pubblicata nel maggio del 1547 nelle Decisiones novissimae di Tommaso Grammatico (Venezia, eredi di Lucantonio Giunta, cc. 164r-165v), da cui risulta «eius vita durante in insulam Liparis deportatus: et sua iurisditione civili ac criminali, pariter eius vita durante in homines Castri prefati privatus». Questa sentenza (confino a vita e perdita dei diritti feudali), che di necessità va riferita a reati di qualche anno prima, per motivi non documentabili non fu eseguita, perché il 18 luglio 1547 Galeazzo intervenne come testimone all’atto di consegna dei capitoli matrimoniali tra Artemisia Gaeta, nipote di Bernardino Martirano, e Giovanni Giacomo Cavallo (Bartelli, 1906, p. 168).
Che Galeazzo fosse libero e nel godimento delle sue prerogative feudali anche negli anni successivi al 1547, si rileva dall’ordine che il 7 marzo 1549 il viceré Toledo inviò a Leonardo Pandone, «deputato commissario sopra li insulti violentie et homicidii commissi li iorni passati contra la città dela Mantea et particulari de quella per Galeazo de Tarsia barone de Belmonte et Cola Francesco suo frate et altri complici», ordinandogli di procedere con il massimo rigore nella repressione (Archivio di Stato di Napoli, Collat. Cur. 11, f. 132; De Frede, 1991, p. 147). Grazie a una comunicazione a Pandone inviata dallo stesso viceré il 22 agosto seguente è possibile ricostruire in parte gli sviluppi della vicenda: Galeazzo aveva inoltrato un memoriale nel quale asseriva di essere stato accusato senza prove da Pandone quale complice di «certi pretensi delitti» commessi dal fratello Cola Francesco; per discolparsi si era spontaneamente presentato, insieme al fratello Tiberio, alla Gran Corte della Vicaria che gli aveva comminato l’obbligo di dimora a Napoli, con garanzia di 2000 ducati; avendo avuto notizia che la moglie Camilla, «per causa del sopradetto Ioan Leonardo Pandone, [...] era morta, et che una soa figliola, che nce era remasta, stava senza alcuno recapito» e constatato che gli abusi del commissario, nonostante le proteste, continuavano, «constretto de necessità, se partìo da Napoli et andao per mare in Belmonte», tornando dopo otto giorni e presentandosi «spontaneamente in la Gran Corte, dove restò carcerato», quindi chiedendo il dimezzamento della garanzia, che don Pedro ridusse a un quarto (Archivio di Stato di Napoli, Partium 19, f. 193; De Frede, 1991, pp. 151 s.).
Dalle carceri della Vicaria, il 23 luglio 1549 Galeazzo scrisse una lettera a Nicolò Franco (conservata nel manoscritto Vat. lat. 5642, c. 326; cfr. Toscano, 1998). A questa detenzione, unica certificabile al momento, si deve riferire l’aneddoto, che Bartelli (1906, p. 172) recuperò dall’inedita (e allo stato perduta) Cosenza di Sertorio Quattromani, del litigio con Girolamo Ruscelli nelle carceri della Vicaria, quando, a motivo di un diverbio, Galeazzo «gli ruppe un querciuolo sul dosso con le percosse». Ruscelli lasciò Napoli nell’estate del 1549. Nel 1551 Girolamo Parabosco dedicò la prima edizione di L’oracolo (Venezia, Giovanni Griffio) a Galeazzo di Tarsia, le cui «rarissime virtù» erano state preconizzate in laguna da Ruscelli e da Anton Giacomo Corso.
Il 5 novembre 1551 dettò un primo testamento a Lipari (De Chiara, 1888), dove si trovava ancora nel 1552, in quanto l’11 gennaio don Pedro de Toledo fece convocare a Napoli, sotto pena di 2000 ducati, il fratello Tiberio, reo «de varii delicti et extorsiuni», ricordandosi che a lui Galeazzo, relegato a Lipari ‘in vita’, aveva delegato le funzioni di capitano a guerra dei casali di Cosenza (De Frede, 1991, p. 154). La condanna al confino non durò a lungo: il 28 marzo 1552 Galeazzo risulta in un elenco di baroni convocati a Napoli dal viceré su disposizione di Carlo V per il successivo 25 aprile per «intendere, tractare et concludere quello si proponerà per dicto servicio et universal beneficio de questo preditto Regno» (Archivio di Stato di Napoli, Collat. Cur. 14, f. 78; De Frede, 1991, p. 158). Da un successivo avviso del viceré del 6 giugno 1552, notificato anche a Galeazzo di Tarsia, si deduce essersi trattato di un «parlamento generale» e che, oltre lo sforzo del donativo già deliberato, era necessario che i baroni «per lo suspecto si tiene che l’armata torchesca, con intelligencia et requesta del Re de Franza, habbia da venire ali danni de questo Regno, è necessario ponerve in ordine con quella gente che porrite movere» in modo da poter accorrere in qualunque momento in caso di attacco (Archivio di Stato di Napoli, Collat. Cur. 14, f. 156; De Frede, 1991, pp. 158 s.).
In assenza di documenti si può presumere che nella fase di acuta tensione politico-militare innescata dalla ribellione di Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, le esigenze di difesa del Regno determinarono un generale indulto di cui beneficiò anche Galeazzo, che il 30 luglio 1552 rilasciò una procura giurisdizionale a Francesco di Tarsia, suo zio, dovendo egli «esser in Napoli per servitio di sua Maesta a chiamata di sua Eccellenza» (Bartelli, 1906, p. 178). Ma già il 13 agosto seguente il viceré chiese all’uditore e al governatore della Calabria di mettere le mani su Cola Francesco di Tarsia, che «non tene dove receptarse si non in Bellomonte con Galeazo de Tarsia suo fratello», in quanto sospettato di volersi mettere «con altri delinquenti» al servizio del Principe di Salerno (Archivio di Stato di Napoli, Collat. Cur. 14, f. 216; De Frede, 1991, p. 159).
Il 24 settembre 1552, nel castello di Belmonte, Galeazzo consegnò al notaio un nuovo testamento (Fiorentino, 1882), che modificava il precedente dettato a Lipari, in cui nominò erede universale l’unica figlia Iuliella e lasciò, tra l’altro, 1000 ducati a Claudiella de Tarsia «sua figliola naturale» e altre somme per il maritaggio di una Mirabella de Nicastro e una Rosella figlia de Rogier (Bartelli, 1906, pp. 179-181). Il 19 novembre 1552 don Pedro convalidò la nomina a capitano a guerra dei casali di Cosenza proposta da Galeazzo a beneficio di Giovan Pietro di Tarsia, figlio di Francesco, riconoscendone la fedeltà (Archivio di Stato di Napoli, Collat. Cur. 14, f. 265; De Frede, 1991, p. 161). Sono i mesi in cui si preparava la spedizione di Siena cui prese parte Galeazzo, del quale in una relazione del 31 marzo 1553 di Luis de Toledo, luogotenente del Regno per la morte del padre Pedro, si dice che «al presente no está en el Reyno» (Coniglio, 1984, p. 709).
Il 5 giugno 1553 Lucrezia Toraldo, moglie e procuratrice di Tiberio di Tarsia, chiese l’apertura del testamento di Galeazzo, morto qualche giorno prima. Sulle circostanze della morte getta una luce sinistra una procura conferita il 2 novembre 1559 dalle sorelle Diana, Lucrezia e Livia a un tal Giovanni Monaco, residente in Napoli, per esporre nella Gran Corte della Vicaria «quascumque querelas contra et adversus Joannem baptista alagni et Joannem antonium de alagni de homicidio commisso in persona dicti quondam magnifici galeatii» (documenti in Bartelli, 1906, pp. 184 e 203 s.). Si ignora se l’assassinio di Galeazzo III sia avvenuto a Napoli o in Calabria.
Fonti e Bibl.: Per le Rime di Galeazzo di Tarsia, oltre all’edizione a cura di D. Ponchiroli, con prefazione di G. Contini (Paris 1951), si dispone dell’edizione critica a cura di C. Bozzetti (Milano 1980), che nell’Introduzione esamina la tradizione manoscritta e a stampa, cui vanno aggiunte le poche tessere recuperate da M. Danzi, Storia e fortuna senesi di un sonetto di Galeazzo di Tarsia, in Italique, I (1998), pp. 61-78 e T.R. Toscano, Due sonetti di Galeazzo di Tarsia in una rara stampa del 1558 e una sua lettera a Niccolò Franco, ibid., pp. 47-59.
Un dettagliato resoconto della bibliografia tarsiana, sovente dispersa in opuscoli stampati in sedi molto periferiche, fu offerto da G. Pizzuti, La fortuna critica di G. di T., in Civiltà di Calabria. Studi in memoria di Filippo De Nobili, a cura di A. Placanica, Chiaravalle Centrale 1977, pp. 5-33. Di seguito, la bibliografia citata in forma breve: F. della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, forastiere o non comprese ne’ Seggi di Napoli, imparentate colla Casa della Marra, Napoli 1641; F. Fiorentino, Il testamento di G. di T., in Giornale napoletano della domenica, I (1882), 18; A. Broccoli, Di Vittoria Colonna e dei due Galeazzi di Tarsia suoi contemporanei, Napoli 1884; S. De Chiara, Un altro testamento di G. III di T., Campobasso 1888; L.G. De’ Geremei, G. di T. cosentino o napolitano?, Napoli 1888; L.G. De’ Geremei, G. di T. Poeta e reggente!, Napoli 1889; F. Bartelli, Note biografiche (Bernardino Telesio-G. di T.), Cosenza 1906; G. Coniglio, Il viceregno di don Pietro di Toledo (1532-1553), Napoli 1984; C. De Frede, G. di T. Poesia e violenza nella Calabria del Cinquecento, Napoli 1991; T.R. Toscano, G. di T.: indizi per la riapertura di una pratica archiviata, in Id., L’enigma di G. di T. Altri studi sulla letteratura a Napoli nel Cinquecento, Napoli 2004, pp. 11-66; R. Delle Donne, Burocrazia e fisco a Napoli tra XV e XVI secolo. La Camera della Sommaria e il Repertorium alphabeticum solutionum fiscalium Regni Siciliae Cisfretanae, Firenze 2012; E. Scarton - F. Senatore, Parlamenti generali a Napoli in età aragonese, Napoli 2018.
di. – La memoria di Galeazzo di Tarsia, barone di Belmonte in Calabria, è legata a un <ItalicRule:Begin>corpus<ItalicRule:End> poetico edito per la prima volta per le cure di Giovan Battista Basile nel 1617 (Napoli, Domenico Roncagliolo) e varie volte ristampato tra Seicento e Settecento, fino a che nel 1758 non fu incrementato da trentasei a cinquanta componimenti dalla nuova edizione di Salvatore Spiriti (Napoli, Stamperia Simoniana) sulla scorta di un ritrovato, e subito dopo l’edizione perduto, manoscritto appartenuto ad Antonio Cavalcanti (morto nel 1748). L’autore dei versi fu identificato, in carenza di precise coordinate biografiche, in
Galeazzo II