LUCILIO, Gaio (C. Lucilius)
Poeta latino. Nacque a Sessa Aurunca nell'anno 180 a. C. da famiglia equestre molto facoltosa. Militò nella guerra numantina (134-33 a. C.) sotto Scipione. La sua vita si svolse in gran parte a Roma ove possedeva una casa grandiosa, quella edificata a spese dello stato per ospitare il figlio di Antioco III re di Siria, tenuto in ostaggio dai Romani. L. ebbe familiarità con molti uomini illustri e in specie con Lelio e Scipione. Morì nel 102 a Napoli dove s'era ritirato forse per curare la malferma salute. Pare non abbia avuto moglie. Una sua nipote fu madre di Pompeo Magno. Politicamente L. era partigiano della nobiltà e avverso quindi al movimento graccano. Le sue satire gli fruttarono fedeli amicizie e fiere inimicizie. Un attore una volta osò offenderlo dalla scena e, nel processo che L. gl'intentò, fu assolto.
S. Gerolamo nella sua Cronaca ha registrato, sotto l'anno 148 o (secondo un manoscritto) 147, la nascita di L., confondendo probabilmente i eonsoli del 148 (Sp. Postumio Albino e L. Calpurnio Pisone) con quelli del 180 (A. Postumio Albino e C. Calpurnio Pisone) che, come si vede, non differivano che nel prenome. Che L. sia stato in Atene, si volle dedurre dal fatto che Clitomaco, scolarco dell'Accademia, gli dedicò un libro. Semplice ipotesi è che il poeta, in seguito alla lex Iunia de peregrinis (anno 126), abbia dovuto star lontano da Roma sinché la legge fu abrogata.
Le Satire di L. constavano di trenta libri di cui, salvo per i libri XXI e XXIV, possediamo frammenti più o meno notevoli. All'ordinamento del corpus delle Satire ha presieduto un criterio metrico. Infatti i primi venti libri sono in esametri, col libro XXII cominciano i distici, con il libro XXVII i metri varî (settenarî trocaici, senarî giambici ed esametri dattilici), nel libro XXXX si ha unicamente il verso eroico. Le satire traevano la loro ragione di essere dagli avvenimenti del giorno, ed è probabile quindi siano state pubblicate successivamente. Dell'esistenza di una silloge minore di XXI libri fa fede la testimonianza di Varrone (De lingua latina, V, 17). Ch'essa fosse dovuta all'autore, non si può dire con precisione. Il corpus completo fu raccolto da uno di quei grammatici studiosi di L., come Lelio Archelao, Vezzio Filocomo, Valerio Catone. Anche nell'età imperiale L. ebbe fervidi ammiratori.
Lo stato frammentario delle Satire non permette di determinare con precisione il contenuto dei singoli libri. Nel libro XXVI, il primo in ordine di tempo, il poeta espone gl'ideali a cui si propone d'ispirare la sua attività d'uomo e di scrittore. Egli non vuol mutar stato, non vuol essere un pubblicano; vuol essere soltanto Lucilio. E desidera anche non addossarsi il peso della famiglia: moglie e figli sono eonsiderati da lui come causa di molestie e dolori. Con le parole che gli escono dal profondo del cuore, egli si sforza di cattivarsi l'animo dei concittadini. Il libro XXVIII pare fosse in tutto o in parte dedicato a Scipione e contiene un cenno generoso alla fine di Tiberio Gracco. Nel libro XXX, dall'andamento più nobile e sostenuto, la morte dell'amico Scipione gli ispira accenti di commozione sincera. Nel libro I egli rappresentava gli dei riuniti in concilio per deliberare sulla corruzione dei Romani. L. Cornelio Lentulo Lupo, uomo viziosissimo, pagherà per tutti. Nel II libro era inscenato il processo di Q. Muzio Scevola e del grecomane T. Albucio. Il III libro conteneva la descrizione d'un viaggio, che sarà ripresa da Orazio (Sat., I, 5). Nel libro IV era svolto il tema circa il lusso e i vizî dei ricchi, un tema che verrà trattato da Persio (Sat., 3). Il V libro comprendeva tra l'altro una lettera a un amico che l'aveva trascurato durante una grave malattia. Nel libro IX si hanno tracce d'un'epistola letteraria e di spunti polemici contro la riforma ortografica di Accio. Attacchi contro scrittori che aderivano alle tendenze di Accio, si trovavano nel libro X ch'ebbe un influsso decisivo su Persio (Sat.,1). Il libro XVI fu intitolato Collyra dal nome dell'amica del poeta, non indifferente dunque alle lusinghe dell'amore.
L. alla violenza sarcastica congiunge la serietà del moralista che, spinto da nobili ideali, flagella i vizî degli uomini. L'intima connessione che, secondo Orazio (Sat., I, 4), intercedeva tra Eupoli, Cratino, Aristofane e L., esiste non nel senso che il poeta latino abbia tratto motivi e forme dai commediografi greci, ma in una congenialità di spirito con essi. Diverso da quasi tutti gli scrittori che lo precedettero, Lucilio possedeva l'indipendenza che dà il largo censo e la libertà solo concessa in quei tempi a colui che, di nobili natali, potesse contare sulla protezione di uomini autorevoli. Egli non espone solo precetti di virtù o regole di vita; non biasima solo i malvagi o loda i buoni; ma con impeto generoso snuda la spada, come dice Giovenale (Sat., I, 165), mettendo il gelo del terrore nel cuore di chi si sente colpevole. Dal contrasto tra gli alti ideali e la meschina realtà, nasce la poesia luciliana. Non vincolato alle leggi d'un genere letterario già costituito con limiti netti e precisi, il poeta tende l'orecchio alle voci del mondo così vario e nuovo che lo circonda, fissando gli aspetti più singolari degli uomini, quasi dovesse rappresentarli sulla scena. E propriamente scenici sono da principio i suoi versi, mentre più tardi la scelta di metri narrativi, come il distico elegiaco e l'esametro, imprimerà un carattere proprio alle sue satire e le individuerà con contorni inconfondibili. L. parla ai suoi personaggi, li ammonisce, li aggredisce, come pare s'usasse nella satura drammatica e nel fescennino. Nei suoi quadri è il movimento e la vivacità di Plauto. Poeta facile e fecondo, non andava tanto per il sottile e spesso, così su due piedi, dettava in un'ora duecento versi. Perciò, dichiara Orazio (Sat., I, 4, 9 segg.), scorreva limaccioso e molto v'era da gettar via nelle cose da lui composte; troppo loquace, L. mal sopportava il tormento faticoso di scrivere bene. Ma in quella vena abbondantissima, sebbene un po' torbida, in quella mancanza di studio e di lima, in quella semplicità di mezzi forse si nasconde il segreto dell'arte di Lucilio. Egli, disdegnoso dell'imitazione che comprime la naturalezza dei sentimenti e intristisce l'ingegno, affidava ai suoi versi - lo dice ancora Orazio (Sat., II,1, 30 segg.) - i segreti del cuore e nei suoi libri lasciò dipinta fedelmente, quasi come in quadro votivo, la vita di Roma e la sua vita. Non a torto Quintiliano (X, I, 93), pensando a L., scriveva satira tota nostra est. Orazio, Persio e Giovenale, così diversi tra loro, possono considerarsi suoi figli spirituali.
Edizione principe di Francesco Dousa, Leida 1597. Fra le edizioni moderne eccellono quella di L. Müller, Lipsia 1872, e di F. Marx, I, Lipsia 1904, II, 1905. Traduzione italiana di tutti i frammenti di E. Bolisani, Lucilio ed i suoi frammenti, Padova 1932.
Bibl.: Oltre alle storie letterarie più estese, cfr. C. Cichorius, Untersuchungen zu Lucilius, Berlinho 1908; G. C. Fiske, Lucilius and Horace, Madison 1920; N. Terzaghi, Per la storia della satira, Torino 1921.