MORONI, Gaetano
MORONI, Gaetano. – Nacque a Roma il 17 ottobre 1802 da Rocco, barbiere, e da Caterina Bencerini, in una famiglia umile ma non sfornita di mezzi economici e in seguito proprietaria di due botteghe al centro della città.
Negli studi intrapresi in una scuola di S. Salvatore in Lauro gestita dai fratelli delle scuole cristiane, dimostrò notevole attitudine all’apprendimento, facilitata da una memoria straordinaria e orientata sin dall’inizio verso un nozionismo erudito e curioso di tutto: al punto che, approfittando della possibilità di accompagnare uno zio chirurgo nelle visite all’ospedale di S. Spirito, si appassionò alla pratica della medicina e cercò di coltivarla aggiungendo al lavoro di barbiere anche qualche incursione nella flebotomia. Uno fra i clienti più assidui della bottega era l’abate Bartolomeo Alberto Cappellari, procuratore generale dei camaldolesi, residente nel vicino convento di S. Romualdo: conosciuto Moroni intorno al 1816, venne colpito dal suo amore per lo studio e ne seguì la crescita. Quando fu certo che il giovane possedeva doti non comuni di intelligenza, non solo lo esortò a perseverare ma gli fece conoscere nel tempo alcuni celebri eruditi romani, quali Francesco Cancellieri, Antonio Nibby, Pietro Fea (più tardi anche Antonio Rosmini Serbati): da Cancellieri, in particolare, Moroni ricevette importanti consigli metodologici sull’utilità della classificazione e sulla compilazione delle schede come base per ogni tipo di ricerca storica. Inoltre, per placare la sua fame di cultura, Cappellari non esitò a mettergli a disposizione la sua biblioteca privata e quella del convento di S. Gregorio al Celio.
Di là da quanto imparò sul rispetto di un metodo di lavoro molto scrupoloso e sulla precisione a esso connessa (e col tempo pretesa da Cappellari), Moroni fu e restò sempre un autodidatta: forse dipese appunto da questa formazione sostanzialmente libera la presenza, in alcuni dei resoconti tracciati per Cappellari e un po’ in tutti i suoi lavori, di una nota di colore e di quel tocco di fantasia che gli consentirono di esprimere in modo meno convenzionale la propria personalità, condendola con l’ironia che di tanto in tanto la contraddistingue. Va detto, tra l’altro, che Moroni, pur sempre un onesto lavoratore abituato a star chino sui libri, non tardò a sviluppare nei confronti di sé stesso un’ammirazione sconfinata, tanto da perdere il senso della misura e da considerarsi poco meno di un genio. Tra le cose di cui gli piacque lasciar traccia non mancò mai la registrazione di taluni momenti privati della sua vita che, sopravvalutandosi, ritenne di grande importanza storica. Del resto, in una cultura erudita come quella romana del tempo, l’accumulo delle nozioni era considerato di per sé una scienza; e Moroni, accurato fino alla pignoleria, non tardò a farsi nell’ambiente ecclesiastico la fama di uomo dotto, addirittura «un oracolo vivente» da consultare su qualsiasi questione avesse avuto a che fare con il passato, specialmente su quello della Chiesa (Carusi, 1933, p. 63).
Fornì le prime prove della sua serietà quando Cappellari, subito dopo la promozione a cardinale (1826), lo volle con sé, impiegandolo come servitore, uomo per le pulizie, e, via via che la fiducia in lui cresceva, come documentarista, minutante, segretario e, in occasione delle malattie, perfino come infermiere. Moroni, che il 17 maggio 1824 aveva sposato Clementina Verdesi, accolse con qualche esitazione l’offerta di lavoro pensando che come barbiere sarebbe stato meglio in grado di mantenere la famiglia ma, una volta che l’ebbe accettata, corrispose nel modo più soddisfacente e con una dedizione totale alle esigenze di Cappellari che se lo tenne a fianco come conclavista nel 1829, quando fu eletto papa Pio VIII: nell’occasione Moroni vergò un Giornale storico politico cerimoniale della sede vacante e conclave (conservato in Roma, Bibl. Casanatense, ms. 5330) nel quale già erano evidenziati, assieme all’abbondanza delle rivelazioni sul dietro le quinte dell’evento, alcuni riflessi della chiusa mentalità di cui Cappellari avrebbe dato prova una volta eletto papa. Moroni ne fu certamente condizionato e non esitò a fare sue le posizioni espresse anni prima da Cappellari nel Trionfo della Santa Sede, un testo nel quale in risposta alle tesi dei giansenisti, aveva ribadito il carattere monocratico e dunque infallibile del potere papale. Da quel momento Cappellari lo guidò in tutte le sue scelte suggerendogli anzitutto di occuparsi di storia della Chiesa, spingendolo a raccogliere materiale d’ogni genere sulle vite dei papi (sulla scia della Introduzione alle vite de’ sommi pontefici del portoghese Giuseppe de Novaes, pubblicato a Roma nel 1822) e preparando un indice manoscritto dell’archivio di Propaganda Fide. Lavorando fino a 14 ore al giorno, Moroni lesse libri, consultò repertori antichi e moderni, e scavò nel passato della cristianità raccogliendo una mole sterminata di notizie. Quale uso farne glielo suggerì proprio Cappellari una volta divenuto papa nel 1831 col nome di Gregorio XVI.
Moroni, confermato come conclavista anche in tale circostanza, fu il primo a baciare i «sacri piedi» del nuovo papa che in cambio non esitò a nominarlo suo aiutante di camera e spenditore segreto. Ciò comportò la sua ammissione a corte e l’uso dell’abito talare, ma – come ebbe a sostenere nelle sue Memorie – scatenò anche le prime invidie e gelosie, nonché molte maldicenze sulla confidenza che sin dall’inizio caratterizzò il suo rapporto col capo della Chiesa.
Il portavoce più ascoltato di queste dicerie si sarebbe poi rivelato nei suoi Sonetti Giuseppe Gioachino Belli addirittura feroce nel prendere di mira il barbiere «Gaetanino», la sua famiglia paterna di ubriaconi, la moglie Clementina e quella che secondo Belli era una eccessiva familiarità di costei con la persona del papa. Superando i confini dello Stato, tali dicerie sarebbero state utilizzate dai liberali nella polemica contro Gregorio XVI, prima da parte del piemontese Aurelio Bianchi Giovini che vi alluse pesantemente in uno scritto intitolato I ricordi di un carabiniere pubblicati in appendice al giornale torinese L’Unione nel 1858, poi da parte di un giornale belga del 1877, La Flandre libérale: in questa seconda occasione Moroni e la moglie sporsero querela, ma il tribunale di Gand, considerando che il foglio belga si era limitato a riprendere notizie già note e mai smentite, diede loro torto e li condannò al pagamento delle spese processuali.
Si può dire che, nei 15 anni del pontificato di Gregorio XVI, Moroni non si staccò mai da lui, nemmeno al tempo della villeggiatura nella residenza di Castelgandolfo, ma va anche precisato che egli cercò sempre di restare defilato e di non sottolineare più del dovuto l’importanza del proprio ruolo, che era soprattutto quello di stazionare nell’anticamera, introdurre i visitatori, scrivere lettere, tenere a bada i parenti del papa, filtrare suppliche, distribuire elemosine, servire messa. «Depositario di tutte le sue confidenze amichevoli e domestiche», come si definì lui stesso (Memorie…, 1973, 3, p. 7), coi suoi modi talora untuosi, talaltra timidi e fintamente ingenui, ma sempre onesti perché paghi del rango ottenuto e delle retribuzioni che ne erano la sostanziosa ricompensa materiale, Moroni finì presto per identificarsi completamente con la figura del papa e con la sua concezione del mondo cristiano. Messo da lui in contatto con l’editore veneziano Giuseppe Battaggia, titolare della Tipografia Emiliana, al quale in seguito avrebbe dato da stampare tutti i suoi lavori, lo persuase a ripubblicare nel 1832 il Trionfo della Santa Sede; poi gli affidò i Cenni cronologici sul sommo pontefice Gregorio XVI (Venezia 1837); quindi, malgrado una certa ritrosia a comparire in pubblico, cominciò a farsi vedere anche nelle accademie. Finalmente fu il papa stesso a spingerlo a mettere mano all’opera alla quale sarebbe rimasto legato per sempre il suo nome.
Programmato in 30 volumi, poi estesi a 60, e arrivato alla fine a contarne 103, il Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, specialmente intorno ai principali santi, beati, martiri, padri… fu compiuto in 21 anni, dal 1840 al 1861 (peraltro con sospensioni del lavoro tra il 1848 e il 1851 e poi nel 1859, ma bisogna considerare che già verso il 1839 parte del lavoro era stata inviata in tipografia). Moroni non aveva certamente il dono della sintesi né quello della scorrevolezza; i suoi lemmi (o, come li definiva lui, gli «articoli»: in tutto 12.472 per un totale di più di 32.000 pagine), pur essendo prodighi di informazioni erudite, affastellavano nozioni su nozioni, preziose per lo studioso che però doveva estrarle dalla massa di divagazioni e dal tortuoso sistema di rinvii in cui erano immerse. Stampati su due colonne e privi di qualunque indice, i volumi non facilitavano la consultazione e trasmettevano a prima vista un’impressione di aridità che la lettura spesso avrebbe confermata; altra impressione era (e rimane) quella di smarrirsi nella struttura labirintica dell’opera, inseguendo notizie comunque preziose, provenienti da una sterminata bibliografia non più accessibile con facilità.
Di alcuni lemmi era tale l’ampiezza che Moroni, nella sua ossessione scrittoria, poté farne pubblicazioni a parte, come avvenne con Le cappelle pontificie cardinalizie e prelatizie (ibid. 1841), Delle pontificie funzioni della settimana santa e del solenne pontificale di Pasqua. Descrizione (ibid. 1842), Cenni istorici sull’Egitto tratti dal Dizionario di erudizione (ibid. 1843), Cenni storici sulla città di Fermo e sulla Marca fermana (ibid. 1844).
Quel che più conta, però, è che il Dizionario, concepito come «un’opera a onore, gloria e difesa di Dio, della S. Sede, della gerarchia ecclesiastica, di Roma e d’Italia, non che della buona morale» (Croci, 1948, p. 145), organizzava lo scibile in funzione della centralità e del primato del vescovo di Roma, facendo da lui discendere e dipendere tutti gli altri poteri. Quella di Moroni non era una erudizione neutra né tanto meno fine a sé stessa: esaminate attentamente e descritte con una minuzia e una precisione spinte sino alla pignoleria, la storia e la struttura della Chiesa, la vita delle diocesi, le istituzioni di culto, carità e beneficenza, le cerimonie religiose, la gerarchia cattolica e tutti gli altri argomenti affrontati convergevano su un solo obiettivo, ben più importante di quello della conoscenza: ribaltare l’Encyclopedie, neutralizzare la cultura dei philosophes e fare del Dizionario un veicolo di propagazione della fede, il migliore strumento di esaltazione del carattere immutabilmente monocratico del potere papale. Una volta fissato il rapporto di subordinazione della potestà civile rispetto a quella spirituale, ad assicurare la stabilità di entrambe e la durata dell’ordine sociale sul quale si reggevano sarebbe stata l’alleanza tra il trono e l’altare, realizzabile soltanto a partire da una totale ricristianizzazione del mondo. E mentre conventi, case di religiosi, seminari si riempivano di volumi del Dizionario e tra il 1846 e il 1856 se ne progettava vanamente la traduzione in francese, ogni proposito di rinnovamento religioso sulla base di un rafforzamento filosofico della cultura cattolica – sul tipo per esempio di quello proposto da Rosmini o da Gioberti – veniva messo da parte nel rifiuto preconcetto di qualsiasi incontro con la modernità.
Alla scomparsa di Gregorio XVI (1° giugno 1846) Moroni, che nel testamento aveva ricevuto un trattamento di grande favore ereditando oltre a una forte somma di danaro anche un’edizione in 21 volumi in folio delle incisioni romane di Giovanni Battista Piranesi, capì subito che il clima era cambiato; si può dire anzi che una delle prime misure con cui Pio IX dimostrò l’intenzione di mutare rotta rispetto al predecessore fu proprio l’emarginazione che riservò a Moroni al quale confermò, come da tradizione, il titolo di secondo aiutante di camera per privarlo in realtà di qualunque funzione: per consentirgli di studiare meglio fu la giustificazione non priva di sarcasmo che Pio IX diede di un provvedimento che, esteso successivamente fino a privare il destinatario di quasi tutti i suoi compensi, lo escludeva anche fisicamente dalla vita di corte.
Benché continuasse a dirsi sereno in coscienza, in verità Moroni risentì profondamente della ferita inflitta alla sua dignità, scrisse memoriali che nessuno lesse, si rassegnò all’idea che anche al suo lavoro di erudito fossero frapposti dalla corte vari ostacoli e per di più dovette mandar giù l’insinuazione, fatta da un giornale veneziano, sulla non paternità del Dizionario (che, pubblicato quasi completamente a sue spese, subì una riduzione della tiratura da 3000 a 2500 copie per ogni volume, più 50 in carta India). Nemmeno il rovesciamento della politica liberale di Pio IX dopo il 1849 valse a ripagarlo delle delusioni sofferte, tanto che ancora nel 1879 consegnava a Leone XIII una lunga memoria sui torti ricevuti e sui circa 9000 scudi che gli erano costati.
La questione ha appassionato storici e biografi: qualcuno ha attribuito buona parte dei lemmi a Gregorio XVI, altri, come per esempio Filippo Meda, hanno sostenuto che l’opera ebbe numerosi collaboratori, utilizzati e mai menzionati dal compilatore voglioso di figurare come una specie di portento. Sembra certo che Moroni si servisse di una ricchissima bibliografia e della consulenza di alcuni esperti dei cui pareri si sarebbe appropriato senza ammetterlo dichiaratamente; certo è anche che lo stesso editore fece intervenire una schiera di correttori che lo affiancò nella revisione delle bozze e nella correzione dei testi. Sta di fatto, però, che lo stile complessivo del Dizionario, nella sua compatta farraginosità, non può che appartenere a Moroni e che d’altra parte è coerentemente sua la visione della Chiesa che vi è sottesa, destinata a resistere nel tempo.
Nella nuova condizione di emarginato Moroni incrementò l’attività di studio e si dedicò alla famiglia: nel primo caso lavorò ai sei volumi dell’Indice generale alfabetico delle materie del Dizionario di erudizione di storia ecclesiastica (ibid. 1878) che, affrontati con la stessa maniacale puntigliosità, lo occuparono per una quindicina di anni; provvide inoltre alla stesura delle proprie Memorie, e paradossalmente, per fare l’apologia di sé stesso, non si accorse di presentare molto negativamente uomini e istituzioni del papato che nel Dizionario aveva esaltato; come padre, persi i tre figli maschi – il primo dei quali era stato chiamato Gregorio – quando erano bambini, riversò affetto e cure sulle sei figlie femmine, a ognuna delle quali riservò una dote cospicua (circa 5000, scudi di cui 1000 in corredo). In effetti, benché non perdesse occasione per dirsi tanto disinteressato da non possedere alcuna proprietà immobiliare, i servizi prestati a Gregorio XVI gli avevano dato una certa agiatezza, confermata dalle lunghe e costose vacanze estive in varie località dei Castelli. Tutto centrato su sé stesso, non parve nemmeno accorgersi dei mutamenti intervenuti nella Penisola tra il 1860 e il 1870.
Nel 1880 gli venne a mancare la moglie. Moroni la seguì tre anni dopo, colpito a Roma da morte improvvisa il 3 novembre 1883 e sepolto al suo fianco nel cimitero del Verano.
Nel 1884 apparve a Roma il Catalogo della ricca biblioteca appartenuta alla chiara e illustre memoria del Commendator G. M., con cui si annunziava la vendita all’asta del suo patrimonio librario. I 21 volumi di incisioni piranesiane si conservano nella Georgetown University, la più antica università cattolica degli Stati Uniti.
Fonti e Bibl.: Un imponente fondo di Carte Moroni, riguardante per lo più materiale di studio per la compilazione del Dizionario, è conservato nella Biblioteca apostolica Vaticana: Vat. Lat., 13757-13929; documenti sull’eredità lasciatagli da Gregorio XVI in Roma, Biblioteca nazionale, Autografi, scatola 182, nn. 52-55. Una scelta di ricordi, tratta da un manoscritto autografo (conservato Ibid., Biblioteca Casanatense, ms. 5328: «Cenni storici […] scritti per le mie sei figlie»), con titolo Memorie dell’aiutante di Camera è stata pubblicata in dieci puntate da N. Vian e G. Di Gregorio nella rivista L’Urbe, XXXVI (1973), nn. 3-6; XXXVII (1974), nn. 1-4, XXXVIII (1975), nn. 2-4. Si vedano, inoltre: F. Meda, Un uomo singolare: G. M. e il suo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, in Vita e pensiero, XVI (1930), pp. 357-368; E. Carusi, Nei margini dell’arch. Moroni, in Aevum, VII (1933), pp. 58-64; Id., Nuovi documenti sul Dizionario di G. M. tratti dal suo archivio privato, ibid., pp. 245-278; D. Federici, Gregorio XVI tra favola e realtà, Rovigo 1948, ad ind.; Id., Gregorio XVI papa umanista, in Gregorio XVI. Miscellanea commemorativa, I, Roma 1948, pp. 170-183; E. Croci, G. M. e il suo Dizionario, ibid., pp. 135-152; M.H. Laurent, La traduction française du ‘Dizionario’ de G. M. (1844-1862), in Studi e ricerche nella Biblioteca e negli Archivi Vaticani in memoria del card. Giovanni Mercati (1866-1957), a cura di L. Donati, Firenze 1959, pp. 180-205; R. Colapietra, G. M. nel conclave del 1829, inRass. di politica e di storia, CVIII (1963), pp. 13-17; G.G. Belli, I Sonetti, a cura di M.T. Lanza, I-IV, Milano 1965, ad ind.; D. Silvagni, La corte e la società romana nei secc. XVIII e XIX, III, Napoli 1967, pp. 354-362; N. Roncalli, Cronaca di Roma, I (1844-1848), a cura di M.L. Trebiliani, Roma 1972, ad ind.; N. Vian, Villeggiature di Gaetanino, in Strenna dei Romanisti, XXXIV (1973), pp. 418-427; Id., La bibliofilia di G. M., in Almanacco dei bibliotecari italiani, XXII (1973), pp. 69-78; G. Monsagrati, Il peccato dell’erudizione. G. M. e la cultura romana della Restaurazione, in Roma fra la Restaurazione e l’elezione di Pio IX: amministrazione, economia, società e cultura, Atti del convegno di studi, Roma … 1995, a cura di A.L. Bonella - A. Pompeo - M.I. Venzo, Roma-Freiburg-Wien 1997, pp. 649-663.