GROSSATESTA (Grossa Testa, Testagrossa, Testa Grossa, Teste Grosse), Gaetano
Nacque a Modena (Goldoni, pp. 165 s.) intorno al 1700. Ballerino, maestro, coreografo e impresario, è ricordato dal Metastasio come fratello dell'abate modenese Antonio Grossatesta o Testagrossa (Metastasio, pp. 789 s.: lettera n. 616 alla contessa di Sangro, Vienna 29 genn. 1753).
Quest'ultimo, "una curiosa figura di agente politico" (Prota-Giurleo, 1951, p. 11) impegnato in missioni diplomatiche affidategli dal duca di Modena, fu poeta e anche impresario a Venezia del teatro Tron di S. Cassiano nel 1729, anno in cui fu affidato al G. l'allestimento dei balli per l'Adelaide di G. Orlandini e per il Gianguir di G. Giacomelli.
Nulla è dato di sapere riguardo alla formazione del G.: non è da escludere che abbia interpretato ruoli nelle composizioni di altri coreografi quali F. Aquilanti, M. Benedetti e G. Gallo, attivi all'epoca nei teatri della Serenissima; di ciò, tuttavia, non si può essere certi, giacché la consuetudine di indicare nei libretti per musica i nomi dei danzatori risale solo alla metà del secolo.
Il G. debuttò a Venezia come "inventore e direttore dei balli" nel 1720 in uno dei teatri della famiglia Grimani, il S. Samuele, nell'allestimento del dramma per musica Griselda di Orlandini. In questo teatro, operante nella prima metà del secolo quasi esclusivamente per la fiera dell'Ascensione, il G. tornerà circa una dozzina di volte negli anni successivi (1720-44). Nell'agosto 1723 si recò a Milano per l'allestimento al Regio Ducal Teatro del dramma pastorale L'Arianna nell'isola di Nasso di G. Porta, soggiornandovi fino all'estate del 1724, allorché si trasferì a Genova con la Compagnia di virtuosi di Venezia da lui diretta. Impegnato solo per la stagione autunnale presso il teatro S. Agostino, compose i balli per Il Ricimero e L'Arrenione (entrambe su musica di P.V. Ciocchetti). Dopo un breve intervallo milanese per la stagione di Carnevale seguente, con gli intermezzi al Regio Ducal Teatro per l'Elena di A. Fiorè e il Nerone di G. Vignati, il G. ripartì per Venezia (20 febbr. 1725) insieme con gli altri ballerini, "con i loro servitori, armi e bagagli" (Arch. di Stato di Milano, Registro dei passaporti, n. 730), e vi dimorò stabilmente fino al 1730. La città lagunare offrì al G. i palcoscenici più prestigiosi dove si rappresentavano quasi esclusivamente opere in musica: oltre al S. Giovanni Grisostomo, che programmava soltanto l'opera seria, vi erano il S. Cassiano, il S. Moisè, il S. Samuele e il S. Angelo. Le indubbie doti artistiche e organizzative valsero al G., durante tutta la sua carriera, importanti incarichi in occasione di feste aristocratiche: il 6 maggio 1726 curò le coreografie dei Balletti per le nozze di Loredana Duodo e Antonio Grimani.
Nuovamente a Milano alla fine del 1730, il G. continuò la sua collaborazione con il Regio Ducal Teatro per circa cinque anni, con una breve interruzione nel 1731, quando, con un'esperienza ormai decennale come coreografo e direttore di compagnia, si volle misurare come impresario del teatro Falcone di Genova. Il periodo milanese fu fecondo di incontri per il G. e per la moglie Maria Guizzetti, "graziosissima giovane veneziana" (Paglicci Brozzi, p. 40), prima ballerina nella sua città e nella compagnia del marito (morì a Napoli il 15 luglio 1769).
A lei fu particolarmente grato C. Goldoni quando a Milano (1733) fu invitato nel salotto di casa Grossatesta, frequentato dagli artisti più acclamati (tra i più assidui il sopranista G. Majorano detto Caffariello). Qui il Goldoni conobbe il conte Francesco Prata, al tempo responsabile teatrale, al quale sottopose il manoscritto del dramma per musica Amalasunta, che bruciò la sera stessa per le critiche negative ricevute (Goldoni, pp. 165 s.).
In quegli anni il G. fu impegnato in una feconda attività coreografica, oltre che a Venezia e Milano, nelle più importanti città dell'Italia settentrionale. Nell'aprile 1737 fu al teatro Malvezzi di Bologna per la prima del Siface di L. Leo, e nel maggio dello stesso anno a Verona (Accademia filarmonica) per un'altra prima assoluta, il Catone in Utica di A. Vivaldi; nella primavera del '38 fu al teatro Obizzi di Padova (Artaserse di G.F. Brivio), quindi nell'autunno del '39 al teatro Solerio di Alessandria (Demofoonte di G. Rejna) e a Vicenza nel '40, al Nuovo Teatro delle Grazie (Adriano in Siria, di G.B. Lampugnani). Per la stagione di Carnevale del 1743 si recò a Torino, dove venivano allestite al teatro Regio le prime del Cajo Fabricio di P. Auletta e del Tito Manlio di N. Jommelli, nei cui libretti viene eccezionalmente menzionato anche l'autore della musica dei balli, A. Rasetti.
Dopo una breve permanenza veneziana, il 4 nov. 1745 il G. intraprese ufficialmente la sua collaborazione con il teatro S. Carlo di Napoli con la rappresentazione del Tigrane di J.A. Hasse e A. Palella. L'ingaggio del G. avvenne (secondo quanto afferma egli stesso in una supplica al re del 1769) per esplicita richiesta della corte borbonica, presso la quale fu anche "Maestro di ballo delle Serenissime Regali Infante" (cfr. libretto dell'Ezio di N. Jommelli, Napoli 1748).
Il S. Carlo, "il più grande teatro d'Europa", si rivelò per Carlo di Borbone un ottimo investimento; pur essendo egli amante della musica, ne fece uno strumento di propaganda politica, tanto da richiamare l'attenzione di viaggiatori e intellettuali che inserivano Napoli come meta obbligata dei loro itinerari. Per espresso desiderio del monarca, gli intermezzi comici furono sostituiti dai balli, iniziativa particolarmente gradita anche al pubblico napoletano, che sembra andasse "a vedere e non a sentire l'opera", infatti: "subito dopo il tremendo fracasso che fa l'auditorio durante la rappresentazione dell'opera incomincia il ballo: ecco che il silenzio si fa generale e dura quanto quello dura" (Sharp, p. 32).
Per il teatro partenopeo il G. lavorò ininterrottamente fino al 1752 come coreografo, allestendo, tra prime assolute e riprese, i balli per circa venti opere (fra cui l'Ipermestra di J.A. Hasse, 1746; Il sogno d'Olimpia di G. De Majo, 1747; Farnace di T. Traetta, 1751). Dalla primavera 1753 il G. successe come impresario al suo acerrimo rivale D. Tufarelli. Nella prima fase del suo incarico avrebbe goduto dei 3200 ducati dell'"aiuto di costa" (contributo governativo ripristinato dal re per garantire una continuità nella produzione teatrale e per esercitare un controllo sulla gestione) e di un premio di 1000 ducati per l'allestimento di un'opera nella stagione di primavera. Quando Carlo salì al trono di Spagna (1759) il G., ipotizzando le sorti negative del teatro, tentò di trasferirsi a Madrid al seguito del sovrano, ma questi rispose alla sua supplica invitandolo "a servire il re mio figlio" (Croce, p. 489); il G. acconsentì quindi a riprendere l'impresa, con la sola promessa di un "regalo", se gli spettacoli avessero riscosso il gradimento del re. Tuttavia, per affrontare le spese di scene e costumi, dovette ricorrere più volte a quei risparmi che avrebbero dovuto essere "il sostegno della di lui avanzata età", essendo stata sospesa l'erogazione dell'"aiuto di costa" (ibid., p. 531).
Il suo impresariato si protrasse tra gli applausi del pubblico (con interruzioni nel 1754 e dal '64 al '67) sino al 1769. Nell'agosto di quell'anno, ormai anziano e rimasto vedovo, si rivolse senza esito al re con una supplica, chiedendo una pensione per sé e per suo figlio Carlo. Cominciano a scarseggiare le notizie sul suo conto sul finire del 1769, allo scadere del contratto di appalto.
Il Croce pone la sua morte intorno al 1775.
Il percorso artistico del G. si ricostruisce, in parte, attraverso le autorevoli testimonianze dei suoi contemporanei, ma è soprattutto ampiamente documentato in più di cento libretti, fra drammi per musica e favole pastorali. Lasciata Venezia quando l'attività melodrammatica cominciava a ridursi in favore della commedia, si trasferì a Napoli, dove per più di un ventennio rimase legato al massimo teatro della città, che connotava il suo elevato status sociale attraverso la sfarzosità di grandiosi allestimenti di opere serie.
Quanto alle indicazioni fornite dai libretti, esse variano a seconda del periodo e del luogo di edizione: mentre compare con regolarità il nome del G. come autore dei balli, solo in rarissimi casi risultano quelli dei ballerini delle compagnie da lui dirette. Riguardo alle annotazioni sugli intermezzi danzati tra gli atti dell'opera, inizialmente si tratta di un semplice elenco dei titoli (per es.: Ballo di Mori e Tartare, Quattro nazioni orientali, Seguaci d'Imeneoin Argeno, musica di L. Leo; Venezia, teatro S. Giovanni Grisostomo, 1728), mentre, verso la metà del secolo vengono riportate più spesso indicazioni coreografiche (cfr. il libretto de L'Artaserse, Napoli 1749).
Tuttavia la fonte principale per attingere alla concezione coreografica del G. è rappresentata dal manoscritto veneziano (Biblioteca del Civico Museo Correr, Archivio Morosini Grimani, ms. 157) dei menzionati Balletti ideati per le nozze Duodo - Grimani. L'importanza dei Balletti (una suite di tre balli composti di 24 figure, con relativa partitura musicale nei tempi: grave, bourrée, passepied) risiede nel fatto che precedono di due anni il testo di G. Dufort (Trattato del ballo nobile, Napoli 1728), ritenuto l'unica testimonianza scritta della diffusione dell'estetica barocca francese in Italia. Adeguandosi alla prassi predominante all'epoca anche in Italia, il G. concepì i Balletti nello stile francese, e si avvalse della collaborazione di Sebastiano Gobbis (suo collega a Venezia), che annotò le coreografie utilizzando il sistema di notazione Beauchamps-Feuillet, diffuso dalla pubblicazione di quest'ultimo (Choréographie, Paris 1700).
Durante il suo impresariato napoletano, basandosi sulle direttive adottate dal teatro di corte, il G. ingaggiò anche compositori stranieri in seguito ai riconoscimenti riportati sulle scene europee: è il caso di J.Ch. Bach (che esordì al S. Carlo nel 1761 con il Catone in Utica e coronò il successo con l'Alessandro nelle Indie nel 1762) e di J. Mysliveček (Farnace, 1767). Se in veste di autore il G. si rivelò un rappresentante dello stile accademico francese, in quella di impresario fu attento alle nuove tendenze in ambito coreico, che avrebbero condotto alla riappropriazione, nella seconda metà del XVIII secolo, dei valori drammatici attraverso il gesto espressivo. In tale ottica ospitò, tra gli altri, uno dei promotori dell'arte pantomimica dell'epoca: Onorato Viganò.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca del Palazzo Guicciardini, L.C. degli Albizzi, Lettere 1732-37, A770, A771; Arch. di Stato di Napoli, Dipendenze della Sommaria, I 464 - I 466; S. Sharp, Lettere dall'Italia 1765-66 a descrizione di quelli usi e costumi in quelli anni. Napoli, a cura di S. Di Giacomo, Lanciano 1911, p. 32; P. Metastasio, Tutte le opere, a cura di B. Brunelli, Milano 1943-54, III, pp. 789 s., 1255 s.; C. Goldoni, Memorie, a cura di P. Bosisio, Milano 1993, pp. 164-168, 852, 967, 1172 (Mémoires, I, 28); B. Croce, I teatri di Napoli. Secoli XV-XVIII, Napoli 1891, pp. 310, 426, 429, 431 s., 434, 440, 478, 480, 486, 488 s., 531, 554, 753; A. Paglicci Brozzi, Il Regio Ducal Teatro di Milano nel secolo XVIII, Milano 1893-94, pp. 32, 40 s.; T. Wiel, I teatri musicali veneziani del Settecento, Venezia 1897, ad indicem; U. Prota-Giurleo, La grande orchestra del R. Teatro S. Carlo nel Settecento, Napoli 1927, p. 16; F. De Filippis - G. Pannain, Il teatro di S. Carlo, Napoli 1951, pp. 9-11; U. Prota-Giurleo, La stagione lirica al teatro di S. Carlo del 1750-1751, in Napoli, 1951, pp. 10 s.; F. De Filippis - R. Arnese, Cronache del teatro S. Carlo 1737-1960, II, Napoli 1963, p. 259; N. Mangini, I teatri di Venezia, Milano 1974, pp. 124, 134, 141; Storia del teatro Regio di Torino, a cura di A. Basso, Torino 1976-88, I, M.-T. Bouquet, Il teatro di corte. Dalle origini al 1788, pp. 268, 272; V, Cronologie, A. Testa, Cronologia dei balli 1740-1936, p. 316; J. Rosselli, Artisti e impresari, in Il teatro di S. Carlo, I, Napoli 1987, p. 41; F. Piperno, Teatro di Stato e teatro di città, ibid., pp. 70, 76, 85, 89; F.C. Greco, Libretto e messa in scena, ibid., p. 355; J. Sasportes, La danza 1737-1900, ibid., pp. 369 s., 376; F. Mancini, Il teatro di S. Carlo 1737-1987, I, Napoli 1987, pp. 10, 12 s., 20 n.; J. Sasportes, Introduzione alla danza a Venezia nel Settecento, in La danza italiana, 1987, nn. 5-6, p. 7; G. Giordano, Balli veneziani in notazione coreografica, ibid., 1989, n. 7, pp. 31-49; B. Sparti, Un francese "napoletano" e il ballo nobile, ibid., p. 11; G. Giordano, A Venetian festa in feuillet notation, in Dance Research, n.s., XV (1997), 2, pp. 126-141; Id., G. G., an eighteenth-century Italian choreographer and impresario, I, The dancer-choreographer in Northern Italy, in Dance Chronicle, n.s., XXIII (2000), 1, pp. 1-28; II, The choreographer-impresario in Naples. A chronology of the ballets of G. G., ibid., 2, pp. 133-191; C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Indici, I, pp. 477, 507; The New Grove Dict. of opera, II, p. 551.