FARNESE, Gabriele Francesco
Figlio primogenito di Ranuccio di Pietro e di Agnese Monaldeschi, nacque probabilmente tra il secondo e il terzo decennio del XV secolo. In gioventù fu testimone dell'ascesa della famiglia sul piano politico e patrimoniale di cui fu artefice il padre, e della quale fu chiamato egli stesso a essere parziale strumento attraverso il matrimonio, nel 1442, con Isabella di Aldobrandino Orsini conte di Pitigliano. Questo matrimonio non solo suggellò l'appianamento dei conflitti che per secoli avevano visto rivali e spesso nemiche le due casate, ma soprattutto segnò l'inizio dell'effettivo e diretto inserimento della famiglia nei ranghi dell'aristocrazia romana di più antica tradizione.
I nuovi legami parentali furono presto sollecitati in occasione degli scontri armati che nel 1454 si produssero tra Siena e il conte di Pitigliano. Il F. allora non esitò a dare aperto aiuto al padre della consorte, incrinando temporaneamente i buoni rapporti che i Farnese intrattenevano ormai dal principio del secolo con la Repubblica senese, e dei quali era stato egli stesso protagonista nel 1450 militando come condottiero sotto le insegne senesi.
In quegli anni il F. aveva intrapreso il mestiere delle armi, seguendo le secolari consuetudini della famiglia, e oltre che a Siena aveva ottenuto condotte nell'esercito pontificio per azioni armate in ambito locale. Ben presto però si dedicò appieno, insieme coi fratelli Pierluigi e Angelo, a proseguire l'opera paterna di costituzione di un saldo nucleo di dominio territoriale e di accrescimento del prestigio politico. della famiglia. 1 tre fratelli seppero consolidare e sviluppare il patrimonio materiale e di rapporti ereditato, rispettando le preoccupazioni paterne di assicurarne l'indivisibilità della gestione, con obblighi di mutuo aiuto, consiglio e favore e di reciproca legazione, come avvenne all'inizio degli anni Sessanta. alla morte senza figli maschi di Angelo. Questi infatti lasciò al fratello maggiore, cioè al F., i diritti ereditari evitandone la frantumazione. Essi diventarono la base di ricchezza e di potere che fece le fortune delle successive generazioni della famiglia.
Col testamento del 2 luglio 1450, Ranuccio di Pietro aveva trasmesso ai figli i difitti sulle terre e sui castelli di Ischia, Tessennano, Cellere, Pianano, Valentano, Capodimonte, Piansano, Marta, delle isole Martana e Bisentina, Canino, Gradoli, Badia al Ponte e Musignano, su altre tenute fondiarie, bestiame, possessi immobiliari vari e investimenti mobiliari. La prima preoccupazione del F. come primogenito fu quella di farsi riconoscere da ogni nuovo pontefice diritti e prerogative giurisdizionali: a lui e ai fratelli Callisto III confermò così la metà dei diritti derivanti dal vicariato dei castelli di Canino, Gradoli e di Badia al Ponte che gli stessi acquisirono poi totalmente nel 1464 rilevandone per 5.000 fiorini la metà residua da Antonio Piccolomini, nipote di Pio II, e che nel novembre dello stesso anno il neoeletto pontefice Paolo II riconfermò loro, e al cugino Pier Bertoldo, figlio di Bartolomeo fratello di Ranuccio, in forma pressoché perpetua (fino alla terza generazione) insieme con quelli di più antica origine sulle terre e i castelli di Valentano, Latera, Tessennano e Piansano.
Continuando l'abile politica attraverso la quale il padre, sfruttando la strutturale debolezza finanziaria dell'amministrazione pontificia, aveva saputo garantirsi di fatto senza alcuna azione militare l'annessione di nuovi possessi, il F. ottenne da Pio II, insieme con Pierluigi, nel maggio 1461, i diritti vicariali sul castello di Marta in cambio di un credito di 6.000 fiorini vantato nei confronti della Camera apostolica. In virtù del medesimo tipo di transazione lo stesso castello, già controllato in precedenza dalla famiglia, aveva dovuto in effetti essere restituito dall'altro fratello Angelo nell'agosto 1452 a Niccolò V, fautore di una svolta nell'amministrazione dello Stato della Chiesa intesa a riaffermare la sovranità pontificia riducendo il ricorso al vicariato apostolico come strumento di legittimazione di vecchie e nuove forme di potere locale, e procedendo, ove possibile, al rimborso dei debiti per recuperare i feudi non ancora definitivamente alienati. Ripropostesi però, coi papati successivi, le condizioni per rinnovate acquisizioni, il F. fu abile ad approfittarne e a rafforzare il dominio territoriale della stirpe, di cui poi, per tutti gli anni Sessanta e fino alla metà del successivo decennio (data presumibile della sua morte), badò a mantenere la titolarità. Insieme coi fratelli, coi figli e con gli eredi, egli compare regolarmente nelle ricognizioni censuarie pontificie dei diritti e delle prerogative signorili nello Stato della Chiesa.
Per il prestigio personale acquisito nella regione si offrì anche, nel 1473, come paciere in alcune questioni e contenziosi insorti tra gli Orvietani e i loro "comitatini", e, l'anno successivo, per sedare con i propri buoni uffici un tumulto interno alla città: operato che gli valse l'immunità dalle contribuzioni al Comune di Orvieto. Ebbe rapporti stretti con il Comune di Viterbo, dove risiedette nel palazzo di famiglia; quando era sul punto di morire, alla fine del 1475, le autorità comunali decisero di partecipare in forma solenne ai suoi funerali.
Insieme con il fratello Pierluigi, il F. seppe anche incrementare e coltivare la rete di rapporti e di alleanze che la famiglia aveva ormai acquisito a metà del XV secolo e attraverso la quale egli attuò un'attenta politica di qualificazione matrimoniale che per la prima volta travalicava gli ambiti locali e romani. Gli eccellenti rapporti con i Piccolomini - sanciti dall'acquisto di diritti compiuto nel 1464, e soprattutto dalle visite e dai soggiorni che Pio II fece più volte e con diletto tra il 1460 e il 1462 nei possessi farnesiani di Capodimonte e dell'isola Bisentina - furono rafforzati nello stesso periodo dal matrimonio della figlia Agnese che andò sposa ad Andrea di Nanni Piccolomini Todeschini, fratello dei futuro Pio III; due anni prima il F. aveva maritato la figlia del defunto fratello Angelo, Francesca, al conte Guido di Buoso Attendolo Sforza, con una dote di 3.000 fiorini inaugurando così una linea acquisitiva di parentele padane cui destinò anche il figlio Ranuccio che sposò Ippolita di Federico Pallavicino. Coi Medici e con Firenze il legame era invece cementato dagli ingenti investimenti (circa 11.000 fiorini) nel debito pubblico fiorentino compiuti dal padre Ranuccio, dei quali i figli godettero a lungo gli interessi, e che offrirono un valido supporto al F. per raccomandare a Lorenzo il Magnifico il giovane figlio Ranuccio quando questi, alla metà degli anni Settanta, si stava a sua volta avviando alla carriera militare.
Da Isabella Orsini il F. ebbe - oltre ad Agnese e Ranuccio - probabilmente anche un'altra figlia, della quale non è noto il nome, che andò sposa nel 1480 a Sigismondo Castellottieri, e un altro maschio, Paolo, che fu protonotario apostolico. Il F. è attestato l'ultima volta in vita alla fine del 1475, ed è probabile che egli sia morto non molto tempo dopo.
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