Mirabeau, Gabriel-Honore de Riqueti conte di
Scrittore e politico francese (Bignon, Provenza, 1749-Parigi 1791). Figlio di Victor, entrato nell’esercito (1767), si distinse nella spedizione di Corsica (1769). Lasciato nel 1770 l’esercito, nel 1772 sposò la figlia del marchese di Marignano, una ricca ereditiera dalla quale non tardò a separarsi; in breve egli aveva contratto tali debiti che il padre per sottrarlo alle persecuzioni dei creditori lo fece rinchiudere nel castello di Mirabeau (1773). Uscitone l’anno seguente, si trovò nuovamente al centro di numerosi scandali; relegato per questo nel castello d’If, vi scrisse l’Essai sur le dispotisme (1775), primo abbozzo della sua concezione costituzionale. Fuggito in Olanda con Sophie de Ruffey, moglie del marchese de Monnier, fu arrestato e ricondotto in Francia nel 1777; rinchiuso a Vincennes, vi rimase fino al dic. 1780. Appartengono a questo periodo le Lettres à Sophie (postumo, 1792), epistolario ricco di osservazioni letterarie, storiche e filosofiche. Nel 1782 M. pubblicò il suo credo politico, il saggio Des lettres de cachet et des prisons d’État, nel quale, riecheggiando in parte le dottrine di Montesquieu e di Rousseau, formulò la teoria dei «contrappesi politici nello Stato» quali garanzia di libertà e affermò risiedere il diritto di sovranità «unicamente e inalienabilmente nel popolo». Tra il 1784 e il 1786 M. si segnalò come vivace panflettista, pubblicando alcuni opuscoli violenti, dei quali uno contro Giuseppe II, per il suo proposito di estendere i liberi ordinamenti della Schelda ai sudditi del Brabante, e altri di sapore scandalistico contro alcuni istituti finanziari ed economici dell’epoca. Dal luglio 1786 al genn. 1787 fu mandato in missione in Prussia da C. de Vergennes. Le note inviate da M. al governo francese, originali e sconcertanti, benché non destinate alla pubblicità, videro la luce tra la fine del 1788 e i primi del 1789, come opera anonima, sotto il titolo di Histoire secrète de la Cour de Berlin. Apparso il decreto di convocazione degli Stati generali, M. cercò di ottenere un mandato come rappresentante della nobiltà in Provenza. Rifiutato dai nobili, decise di presentarsi per il Terzo stato. Il 23 dic. 1788 consegnò al ministro A.-M. de Montmorin il piano di «una Costituzione che avrebbe salvato il Paese dai complotti dell’aristocrazia e dagli eccessi della democrazia», offrendosi al re fin da allora come «difensore del trono e della cosa pubblica», ma non ottenne risposta. Il 3 febbr. 1789, M. pubblicò un opuscolo in cui fissava alcuni principi dai quali non si allontanò più: troppi gli abusi dell’assolutismo e degli ordini privilegiati; l’organismo dello Stato era corroso; insopportabile l’ingiustizia sociale e la disuguaglianza civile; riforme profonde erano da praticare nello stesso istituto della monarchia. Eletto per il Terzo stato a Marsiglia e ad Aix, scelse di rappresentare quest’ultima; nelle settimane che videro la trasformazione degli Stati generali in Assemblea nazionale costituente, di fronte a un corpo legislativo esaltato e inesperto, egli sostenne la necessità di una condotta «legale e graduata», la sola in grado di ottenere l’assenso del re, a suo giudizio indispensabile. Durante le appassionate lotte del 1789 e del 1790, si mantenne sostanzialmente fedele al suo programma comportante l’abolizione del regime feudale e del privilegio e l’istituzione di un sistema rappresentativo, fondato sull’uguaglianza civile. La monarchia stessa doveva mettersi alla testa della rivoluzione, nulla tentando contro l’Assemblea. M. mirava essenzialmente ad affermare la libertà attraverso la divisione dei poteri (da una parte l’Assemblea, ossia il legislativo, dall’altra il re, ossia l’esecutivo), onde impedire la tirannia dell’uno sull’altro. Per questo, pur attaccando la corte e il governo, reclamò per il re il diritto di veto assoluto (ma l’Assemblea accordò solo quello sospensivo) e, durante il dibattito sul diritto di pace e di guerra (maggio 1790), convinse l’Assemblea a riconoscere il re come capo dell’esecutivo. Oratore di straordinaria potenza, sapeva esercitare un fascino irresistibile sull’Assemblea e sulla folla. Entrato in rapporto col sovrano nella primavera del 1790, M. ne divenne il consigliere segreto; il re, per assicurargli l’indipendenza economica, gli pagò i debiti e gli assegnò 6000 franchi al mese. Oggetto di critiche da sinistra, M. incontrò sempre maggiori difficoltà nel condurre la sua politica; eletto alla presidenza dell’Assemblea (febbr. 1791), si oppose risolutamente a una proposta di legge contro gli emigrati; ciò gli valse nuove accuse di tradimento da parte dei giacobini A.-P. Barnave e A.-T.-V. Lameth. Sofferente, estenuato dalle fatiche politiche e dal male, M. si spense il 2 apr. 1791.