FUCITI (Facitto, Facittus, Focitta) Domenico
Nato a Napoli nel 1623, entrò il 10 nov. 1638 nel collegio che la Compagnia di Gesù aveva in quella città. Dopo esser stato ordinato sacerdote e aver insegnato per quattro anni discipline umanistiche, nel 1653 venne destinato alle missioni in Asia. Il 4 ott. 1654 s'imbarcò a Vannes diretto in Portogallo, dove giunse il mese successivo, e il 23 marzo 1655 partì da Lisbona sul galeone "San Francisco" insieme con numerosi altri religiosi. Giunse così a Goa il 2 ag. 1655 e, dopo una sosta in quella città, a Macao nel luglio 1656. Nel 1657 venne destinato in Cocincina insieme con il francese Ignace Baudet nel quadro del programma di evangelizzazione della penisola indocinese, che la Compagnia di Gesù aveva iniziato, soprattutto grazie all'opera di Francesco Buzomi e di Alexandre de Rhodes.
La situazione nella penisola era caratterizzata dai contrasti fra i vari regni in cui essa si divideva: il Tonchino a Nord, con capitale Hanoi, la Cocincina, vale a dire l'Annam, con capitale Hue, il Champa a Sud corrispondevano grosso modo al territorio dell'odierno Vietnam. C'erano poi il Siam e la Cambogia. Al momento dell'arrivo del F. in Estremo Oriente, la Cambogia era sconvolta da una ribellione, mentre tra Tonchino e Cocincina esisteva uno stato di perenne ostilità, dovuto al proposito dei sovrani del primo di riportare sotto il proprio dominio le regioni meridionali dell'Annam. A complicare vieppiù la situazione concorrevano le rivalità tra Portoghesi e Olandesi, che, forti delle rispettive basi di Macao e di Formosa, intrattenevano rapporti con l'uno o con l'altro degli Stati contendenti.
Il F. e Baudet si imbarcarono su una nave del re della Cambogia che riportava in patria un ambasciatore reduce da una missione diplomatica in Cina. Sbarcarono così in Cambogia, dove furono costretti a nascondersi per non esser coinvolti nella guerra civile e poi a separarsi. Baudet fece infatti ritorno a Macao, intenzionato a ripartire da lì in direzione della Cocincina; il F. invece preferì rimanere in attesa di una nave che lo portasse direttamente nel paese dove era stato destinato. L'occasione gli si presentò di lì a poco, quando poté imbarcarsi insieme con alcuni mercanti cocincinesi che facevano ritorno a casa, ma che si rivelarono dei pericolosi malfattori pronti a ucciderlo per impadronirsi delle poche cose che portava con sé. Si salvò con la fuga non appena la nave dovette toccar terra; fu imprigionato dalle locali autorità e rimandato al porto di partenza, finché dopo varie peripezie poté finalmente reimbarcarsi su una nave cinese, che nel 1658 lo portò in Cocincina e lì nel 1659 fu raggiunto da Baudet. Insieme con un terzo gesuita, Pedro Marquez, il F. rimase in Cocincina per sette anni, conoscendo periodi di maggiore o minore successo nell'opera di evangelizzazione a seconda dei vantaggi che il sovrano del paese, impegnato in guerre contro Cambogiani e Tonchinesi, riteneva di poter derivare dall'intrattenere buoni rapporti con i Portoghesi di Macao e con i gesuiti, che a quest'ultima città facevano capo. Tuttavia a partire dal novembre 1663 l'atteggiamento del sovrano nei confronti del cristianesimo cambiò e per tutto il 1664 i fedeli vennero perseguitati, finché il 3 febbr. 1665 i tre gesuiti vennero espulsi dalla Cocincina e fatti imbarcare su una nave diretta in Siam. Inutile fu il tentativo compiuto dal F., nonostante il contrario avviso dei suoi stessi confratelli, di far ritorno clandestinamente in Cocincina, profittando di una sosta in un porto del Regno di Champa: fu infatti catturato e rimandato a bordo. Arrivato in aprile in Siam, due mesi dopo s'imbarcò nuovamente per Macao, dove venne vivamente sconsigliato dai suoi superiori dal tentare nuovamente di far ritorno in Cocincina come clandestino per non creare difficoltà ai mercanti portoghesi. Analoga sorte era già toccata ai gesuiti che operavano in Tonchino: il 12 nov. 1663 O. Borgès, P. Albier e J. Tissanier, tutti e tre francesi, erano stati espulsi da quel paese.
In realtà la situazione nella penisola indocinese si andava evolvendo in maniera non del tutto favorevole agli interessi del Portogallo e alle attività missionarie della Compagnia di Gesù. Il Portogallo, forte delle sue basi di Goa, di Malacca e di Macao e delle concessioni fattegli nel 1493 da papa Alessandro VI, aveva per lungo tempo preteso di affermare in tutto l'Estremo Oriente il suo patronato sulle missioni, che dipendevano anche dal suo tramite per i necessari finanziamenti; ma con il sec. XVII era iniziata la decadenza del suo impero estremo-orientale, specie dopo la caduta di Malacca nel 1643 a opera degli Olandesi. Era sempre meno in grado di appoggiare efficacemente l'azione missionaria specie nelle regioni su cui non esercitava una effettiva sovranità. Resasi conto di questi suoi limiti, la congregazione di Propaganda Fide mirava ad affrancare l'azione delle missioni dalla sua pesante e sempre meno valida tutela, nominando a tal fine, senza chiedere autorizzazioni a Lisbona, vicari apostolici per le missioni estremo-orientali, indipendenti da qualsiasi controllo del potere civile. I gesuiti, che avevano operato per parecchio tempo pressoché da soli, senza interferenze di altri ordini religiosi, nelle regioni che il Portogallo considerava come soggette al proprio patronato, avevano accettato quest'ultimo, facendo dei loro collegi di Goa e di Macao le principali basi per la loro opera di evangelizzazione dell'Asia meridionale ed estremo-orientale. In cambio ne avevano derivato una posizione di privilegio e libertà di azione in campo missionario. La nuova politica della congregazione di Propaganda li pose fra due fuochi: tra i nuovi vicari apostolici da un lato, portavoce della volontà di Propaganda, di nazionalità diversa dalla portoghese, tratti da altri ordini religiosi e della cui nomina spesso non erano stati preavvertiti, e le autorità portoghesi di Goa e di Macao dall'altro. Allorché nel 1658 vennero designati da papa Alessandro VII come vicari apostolici per la Cina meridionale e i paesi dell'Indocina i francesi F. Pallu e P. Lambert de la Motte, ambedue della Société des missions étrangères di Parigi, i contrasti esplosero, acuiti dalle rivalità nazionaliste e dalle divergenti interpretazioni della questione dei riti date dai differenti Ordini.
Il vuoto determinatosi a seguito delle espulsioni dei gesuiti dal Tonchino e dalla Cocincina venne presto colmato dai vicari apostolici o dai loro provicari inviati dalla Propaganda, tutti di nazionalità francese e appartenenti alle Missions étrangères. In Cocincina giunse A. Hainques nell'agosto 1665, in Tonchino F. Deydier il 30 luglio 1666. Se con l'atteggiamento da essi assunto nei confronti dei convertiti e di quanto era stato fatto dai loro predecessori gesuiti provocarono non poco scompiglio nelle menti dei fedeli, con quanto poco vantaggio per l'opera di evangelizzazione è facile immaginare, ancor peggio avvenne allorché i gesuiti cercarono di ritornare nei paesi dai quali erano stati scacciati. Nel 1668 il F. fece ritorno ufficialmente in Cocincina con patenti di vicario generale della diocesi di Malacca, portando doni per il sovrano, ma non riuscì a ottenere il permesso di restare. Dopo alcuni giorni trascorsi agli arresti domiciliari (ma di notte usciva di nascosto per visitare i cristiani) egli fu costretto a ripartire con la stessa nave con cui era arrivato da Macao. Riuscì comunque a incontrare Hainques, col quale cercò di far valere le lettere che lo accreditavano come vicario generale per la Cocincina. L'anno seguente ripartì da Macao, questa volta con destinazione il Tonchino. Vi arrivò il 19 apr. 1669 a bordo di una nave su cui erano imbarcati altri due gesuiti, Balthasar de Rocha e Filippo Fieschi, i quali recavano doni per il sovrano tonchinese Trinh Tac al fine di convincerlo a permettere nuovamente le attività missionarie della Compagnia nel suo Regno. Trinh Tac non volle neppure riceverli e diede ordine che lasciassero il paese con la stessa nave. Non così però fece il F., il quale, travestitosi da mercante, riuscì a sbarcare con l'aiuto dei cristiani locali. Rimase così in Tonchino per sedici anni, spostandosi da provincia in provincia, superando difficoltà e subendo vessazioni d'ogni genere: fra l'altro venendo condannato a lungo alla prigione o a portare la canga, uno strumento di tortura che rendeva impossibile riposare o cibarsi da soli. Ciononostante non mancò neppure di entrare in violentissime polemiche con F. Deydier e un altro religioso della Société des missions étrangères, J. De Bourges, specie dopo che a dargli man forte era arrivato nel 1671 un altro gesuita, Giovanni Filippo De Marini.
Per non incorrere nelle misure persecutorie disposte dalle autorità del Tonchino anche i due francesi avevano adottato vesti da mercanti, comportandosi praticamente come tali, pur continuando a svolgere opera di evangelizzazione e ordinando addirittura alcuni sacerdoti indigeni. Lo scontro tra il F. e il De Marini da un lato e i due francesi non tardò a verificarsi soprattutto per quanto riguardava il clero indigeno, creato dai francesi forse con troppa fretta, senza che ne fosse stata completata la preparazione culturale. I due gesuiti assunsero nei confronti dei francesi un atteggiamento decisamente ostile, provocandone la reazione, che si estrinsecò in una serie di esposti alla congregazione di Propaganda. Il contrasto si risolse a favore dei francesi e quindi della Société des missions étrangères grazie anche all'aiuto dato loro dal clero indigeno, da essi stessi creato. Nel marzo 1673 il De Marini venne arrestato dalle autorità tonchinesi e nel mese di settembre espulso dal Tonchino. Il F. invece riuscì a restare fino al 29 ott. 1684, benché fin dal 1678 fosse stato deciso dallo stesso papa Innocenzo XI e dalla congregazione di Propaganda il suo richiamo.
La nave che doveva portare il F. nel Siam fu invece costretta, a causa di una tempesta, a raggiungere Batavia (23 dicembre), dove il gesuita fu accolto come un martire. Passato poi in Siam, il F. morì a Macao il 9 ott. 1696.
Opere: A differenza di G.F. De Marini, il F. ha scritto poco. Restano di lui manoscritti una Relatione della missione… nel Tunchino, e nella Cocincina (Archivum Romanum Societatis Iesu, Iap. Sin. 85, ff. 248-291); una Risposta… alle accuse dategli nella Congregatione di Propaganda Fide da' vicari apostolici da lui inviata dalla nuova Batavia al p. assistente di Portogallo con una lettera, nella quale viene citata questa risposta, sotto il 2 febr.ro 1685… (ibid. 92, ff. 223-240); alcuni documenti in cui egli si discolpa dalle accuse rivoltegli dai provicari francesi (ibid. 91, ff. 10-14v; Parigi, Bibliothèque nationale, F. fr. 9773, ff. 35-40v), nonché varie lettere, fra cui, numerose, quelle conservate in Archives de la Société des missions étrangères a Parigi.
Fonti e Bibl.: Arch. Romanum Societatis Iesu, Catalogus triennalis, I Neapol. 83, f. 31v n. 6, 1642 (per la data di nascita); Iap. Sin. 91, ff. 6-14: Accusationes Romae habitae apud Sacram Congregationem contra p. D. F. e Societate Iesu ab missionariis et vicariis apostolicis Cochinchinae, et Tunkin… (idem anche a Parigi, Bibliothèque nationale, F. fr. 9773, ff. 32-35); ibid. 91, ff. 78-86v: Sommario de gl'eccessi de pp. della Compagnia ne' Regni soggetti alli vicarii apostolici; Parigi, Archives de la Société des missions étrangères, V, 652, ff. 449 s.: Des excès du p. Dominique F. jésuite en 1676, fait en 1701. Acte d'instruction canonique sur sa conduite; G. Tachard, Voyage au Siam des pères jésuites, envoyés par le roi aux Indes et à la Chine, Amsterdam 1687, pp. 133-135; J. Tissanier, Mission de la Cochinchine et du Tonkin, Paris 1858, pp. 66 s.; A. Launay, Histoire de la mission du Tonkin, Paris 1927, pp. 54-67, 78 s.; E. Chappoulie, Aux origines d'une Église. Rome et les missions d'Indochine au XVII siècle, Paris 1943-48, passim; A. Bournay, Notes chronologiques sur les missions jésuites du Siam au XVII siècle, in Arch. historicum Societatis Iesu, XXIII (1953), pp. 170-202; G. Taboulet, La Geste française en Indochine, Paris 1955, I, pp. 23-29; Ch. Sommervogel, Bibl. de la Compagnie de Jésus, IX, col. 381; E.M. Rivière, Suppl.…, col. 469; R. Streit, Bibliotheca missionum, V, Freiburg 1929, passim; L. Pfister, Notices biograph. et bibliograph. sur les jésuites de l'ancienne mission de Chine 1552-1773, Changhai 1932, pp. 294, 423; J. Wicki, Liste der Jesuiten Indienfahrer 1541-1758, in Aufsätze für Portugiesischen Kulturgeschichte, Münster 1967, p. 300; J. Dehergne, Répertoire des jésuites de Chine de 1552 à 1800, Roma-Paris 1973, p. 103 n. 341.