Frode in processo penale e depistaggio
La l. 11.7.2016, n. 133, modificando il testo dell’art. 375 c.p., ha introdotto il nuovo reato di «frode in processo penale e depistaggio», che incrimina condotte consistenti in artificiose immutazioni della realtà e in dichiarazioni false o reticenti, poste in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, al fine di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale. La nuova fattispecie, che nasce dall’esigenza di punire con sanzioni più severe i fatti di inquinamento processuale posti in essere da soggetti aventi una qualifica pubblicistica, ha portata generale, in quanto è applicabile a prescindere dal tipo di reato oggetto dell’indagine o del processo, e carattere sussidiario, in quanto è applicabile sempre che il fatto non costituisca più grave reato.
La l. n. 133/2016, attraverso la modifica dell’art. 375 c.p. (che nel testo previgente disciplinava circostanze aggravanti dei reati di cui agli artt. da 371 bis a 374 c.p., per il caso di condanna derivante dal reato), ha introdotto il reato di «frode in processo penale e depistaggio». Il primo comma punisce con la reclusione da tre a otto anni, «salvo che il fatto costituisca più grave reato», «il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, al fine di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale: a) immuta artificiosamente il corpo del reato ovvero lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato; b) richiesto dall’autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria di fornire informazioni in un procedimento penale, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito»1. Ai sensi del sesto comma la condanna alla reclusione superiore a tre anni comporta la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Le accertate condotte di ostacolo o sviamento delle indagini su gravi fatti di attentato e strage verificatisi in Italia fin dal 1993 spiegano la decisione del legislatore di introdurre una fattispecie idonea a reprimere comportamenti di inquinamento processuale in modo più adeguato rispetto alle fattispecie incriminatrici già presenti nell’ordinamento. Nel testo originario l’incriminazione era limitata alle condotte di falso dichiarativo del pubblico ufficiale relative ad indagini e processi per reati di particolare gravità2, mentre con il testo approvato in via definitiva il legislatore ha optato per l’introduzione di una norma di portata generale in quanto non limitata a particolari categorie di reati, la quale incrimina condotte tra loro molto eterogenee, ma accomunate dal medesimo dolo specifico. Sempre rispetto al testo originario, è invece rimasta invariata la scelta di delimitare soggettivamente la fattispecie incriminatrice attraverso la previsione di un reato proprio, che può essere commesso solo da chi riveste la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. La particolare gravità del reato oggetto dell’indagine o del processo, sulla quale si inserisce la condotta di depistaggio, assume tuttavia rilevanza ai fini della circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 375, co. 3, che prevede la pena della reclusione da sei a dodici anni, se il fatto è commesso in relazione a procedimenti concernenti i delitti di cui agli artt. 270, 270 bis, 276, 280, 280 bis, 283, 284, 285, 289 bis, 304, 305, 306, 416 bis, 416 ter e 422 c.p. o i reati previsti dall’art. 2 della l. 25.1.1982, n. 17, ovvero i reati concernenti il traffico illegale di armi o di materiale nucleare, chimico o biologico e comunque tutti i reati di cui all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. Quanto alle condotte incriminate (depistaggio manipolativo e depistaggio dichiarativo), sono tipizzate sia condotte prima non punibili (perché ad esempio non rientranti nella ristretta tipologia dei comportamenti integranti il reato di frode processuale di cui all’art. 374 c.p.), sia condotte già punibili in base ad altre norme incriminatrici, rispetto alle quali l’art. 375 si pone in rapporto di sussidiarietà in forza della clausola di riserva «salvo che il fatto costituisca più grave reato». Il nuovo reato di depistaggio è reato di pericolo, poiché non si richiede che la corretta amministrazione della giustizia sia effettivamente compromessa. La scelta del legislatore di reprimere le condotte finalizzate ad impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale è stata completata dall’introduzione di una sorta di aggravante speciale di depistaggio – complementare al reato di depistaggio aggravato di cui all’art. 375, co. 3 – applicabile ai reati di cui agli artt. 371 bis, 371 ter, 372, 374 e 378 c.p.: il nuovo art. 384 ter (Circostanze speciali) al primo comma prevede infatti per detti reati un aumento della pena dalla metà a due terzi, se «commessi al fine di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale», ma solo se relativi ai gravi delitti richiamati nel già citato art. 375, co. 3, aggiungendo che in tal caso non opera la sospensione del procedimento di cui agli artt. 371 bis e 371 ter. A completamento di questa sorta di sottosistema concernente i reati connotati da finalità di depistaggio, per i reati aggravati ai sensi dell’art. 384 ter, co. 1, lo stesso articolo prevede al co. 2 un’attenuante ad effetto speciale di natura premiale3, identica a quella prevista dall’art. 375, co. 4, (sulla quale v. par. 2.4)4.
Numerosi sono i requisiti previsti dal legislatore per la sussistenza del reato, che si articola in realtà in due distinte fattispecie, corredate da un articolato sistema di aggravanti.
L’art. 375 delinea, come detto, un reato proprio, che nel caso di depistaggio dichiarativo assume la natura di reato di mano propria, in quando la condotta tipica può essere commessa solo dal soggetto qualificato. L’art. 375, co. 7, precisa che «la pena di cui ai commi precedenti si applica anche quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio siano cessati dal loro ufficio o servizio»: tale disposizione va interpretata alla luce dell’art. 360 c.p., che nel dettare i principi generali in tema di reati contro la pubblica amministrazione, chiarisce che la cessazione della qualità di pubblico ufficiale o esercente un pubblico servizio, ove tale qualità realizzi un elemento costitutivo del reato, non esclude quest’ultimo se il fatto si riferisce all’ufficio o al servizio esercitato. La necessità di tale interpretazione sistematica è stata riconosciuta dal Supremo Collegio nella sentenza 17.5.2017, n. 24557, la prima sentenza avente ad oggetto il nuovo art. 375 c.p.: la Corte ha evidenziato che, pur a fronte della minore ampiezza del testo dell’art. 375, co. 7, rispetto a quello dell’art. 360 c.p., anche nel caso di sopravvenuta cessazione dal servizio devono persistere gli elementi costitutivi del reato e in particolare il rapporto funzionale del fatto con la qualifica pubblicistica precedentemente rivestita dal soggetto attivo5. La qualifica pubblicistica del soggetto attivo deve preesistere alla realizzazione della condotta costitutiva del reato6. Si tratta di precisazione utile innanzitutto per i casi in cui la condotta tipica in quanto tale presuppone la qualifica pubblicistica del soggetto attivo, come ad esempio nel depistaggio dichiarativo realizzato mediante deposizione testimoniale, posto che il testimone acquista la qualifica di pubblico ufficiale fin dal momento della citazione7 o del provvedimento di ammissione della relativa prova8. Non basta tuttavia la preesistenza della qualifica pubblicistica del soggetto: essa deve essere in stretta connessione con la condotta incriminata e con l’oggetto dell’indagine e del processo che vengono “inquinati”, come affermato dalla già citata sentenza del Supremo Collegio9: «L’articolo 375 c.p. si configura come reato proprio dell’attività del pubblico ufficiale, o dell’incaricato del pubblico servizio, la cui qualifica preesista alle indagini e sia in rapporto di connessione funzionale con l’accertamento che si assume inquinato, cosicché la condotta illecita deve risultare finalizzata proprio all’alterazione dei dati che compongono l’indagine o il processo penale, che gli è stato demandato di acquisire o dei quali sia venuto a conoscenza nell’esercizio della sua funzione, e risulti quindi posto in condizione di spiegare il proprio intervento inquinante». Qualora non ricorra tale nesso funzionale, il fatto potrà eventualmente integrare altri reati, come ad esempio il reato di false informazioni al p.m. (art. 371 bis c.p.). Analogamente al reato di frode processuale, soggetto attivo del reato in esame può essere anche l’autore del reato presupposto o l’indagato per tale reato10.
Le condotte di depistaggio manipolativo e dichiarativo previste dall’art. 375, co. 1, configurano distinti reati che possono concorrere, stante anche la loro eterogeneità e la non realizzabilità nello stesso contesto: si è dunque in presenza di una disposizione a più norme11.
A sua volta ognuna delle due figure di depistaggio prevede diverse condotte, che se realizzate contestualmente (o per il depistaggio dichiarativo nella stessa fase processuale) non comportano una pluralità di reati: trattasi dunque di norme a fattispecie alternativamente previste.
Le condotte di depistaggio manipolativo consistono nell’immutazione artificiosa del corpo del reato ovvero dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato.
Sul piano dell’elemento oggettivo la fattispecie si differenzia dal reato di frode processuale di cui all’art. 374 c.p., perché non contiene la limitazione prevista da quest’ultima norma, basata sulla tassativa indicazione degli atti processuali nel contesto dei quali deve essere realizzata la condotta illecita (ispezione, esperimento giudiziale, perizia).
I risultati dell’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale riguardante l’art. 374 c.p. sono invece utilizzabili rispetto alla locuzione «immuta artificiosamente», che descrive la condotta illecita: è immutazione qualsiasi alterazione, modifica o trasformazione che incida in modo significativo sulla sostanza o anche solo sull’apparenza di cose, luoghi o persone, mentre l’avverbio artificiosamente implica una simulazione o dissimulazione della realtà effettiva, cioè un intervento sulla stessa, in funzione dell’induzione in errore di terze persone, analogamente al significato che il termine artifizio assume nella fattispecie della truffa12.
Così risulta sicuramente applicabile anche al depistaggio manipolativo il principio affermato dalla costante giurisprudenza, secondo il quale «l’immutazione dei luoghi integra il delitto di frode processuale ogni qual volta sia percepibile soltanto grazie ad un esame non superficiale e possa sfuggire, pertanto, al controllo di una persona non particolarmente esperta, risultando invece irrilevante solo quando la stessa sia talmente grossolana e così agevolmente percepibile a prima vista, da escludere qualsiasi potenzialità ingannatoria»13. Trattasi di applicazione del principio di offensività, valida per tutte le condotte di immutazione.
Il depistaggio manipolativo si differenzia tuttavia parzialmente dalla frode processuale, perché l’oggetto della condotta di immutazione, nel primo reato è costituito da “luoghi”, “cose” o “persone”, mentre nel secondo reato è costituito, più specificamente, dal “corpo del reato” ovvero dallo “stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato”.
Le condotte di depistaggio dichiarativo sono invece le tipiche condotte di falso dichiarativo (affermazione o negazione del vero e reticenza), corrispondenti innanzitutto alle condotte punite dagli artt. 371 bis14 e 372 c.p.
Il reato può essere inoltre integrato da false o reticenti dichiarazioni alla polizia giudiziaria. La condotta non cose o delle persone connessi al reato”.
Le condotte di depistaggio dichiarativo sono invece le tipiche condotte di falso dichiarativo (affermazione o negazione del vero e reticenza), corrispondenti innanzitutto alle condotte punite dagli artt. 371 bis14 e 372 c.p.
Il reato può essere inoltre integrato da false o reticenti dichiarazioni alla polizia giudiziaria. La condotta non è completamente coincidente, sul piano oggettivo, con quella integrante il cd. favoreggiamento dichiarativo, figura riconosciuta dalla costante giurisprudenza oltre che dallo stesso legislatore (v. l’applicabilità della ritrattazione prevista dall’art. 376, co. 1, al reato di cui all’art. 378 c.p.), perché mentre quest’ultima fattispecie ricorre solo se il falso dichiarativo si risolve in un aiuto del terzo all’elusione delle investigazioni o delle ricerche, la condotta di depistaggio mediante false o reticenti dichiarazioni alla polizia giudiziaria non richiede, quanto meno in astratto, che esse si risolvano in un tale aiuto.
Il reato è connotato dal dolo specifico, indicante la direzione offensiva del fatto e consistente nel fine di impedire (non far iniziare o non rendere possibile la prosecuzione), ostacolare (rendere più difficoltoso) o sviare (orientare verso un falso obiettivo) un’indagine o un processo penale: non è dunque necessario che tale obiettivo sia effettivamente raggiunto. Il dolo specifico, per ormai costante giurisprudenza, è incompatibile con il dolo eventuale: tale principio è stato ribadito, seppur incidentalmente, proprio con riferimento al reato in esame dalla già citata sentenza del Supremo Collegio n. 24557/201715. In applicazione della concezione oggettivistica del dolo specifico, accolta anche dalla giurisprudenza, ai fini dell’integrazione del reato è richiesta l’idoneità della condotta alla realizzazione del risultato perseguito dal soggetto agente, vale a dire impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale16.
Per il reato in esame il legislatore ha previsto un articolato sistema di circostanze, non privo di profili problematici.
L’art. 375, co. 2, c.p. dispone: «Se il fatto è commesso mediante distruzione, soppressione, occultamento, danneggiamento, in tutto o in parte, ovvero formazione o artificiosa alterazione, in tutto o in parte, di un documento o di un oggetto da impiegare come elemento di prova o comunque utile alla scoperta del reato o al suo accertamento, la pena è aumentata da un terzo alla metà».
La tipizzazione della fattispecie è basata dunque sul rinvio al “fatto” descritto al comma precedente, che deve essere “commesso mediante” le condotte descritte nel secondo comma. Il dato letterale appare dunque inequivoco: la distruzione, la soppressione, l’occultamento o il danneggiamento della cosa (documento, elemento di prova, ecc.) devono dunque costituire una modalità di carattere strumentale dell’esecuzione del reato.
La conseguenza appare obbligata: la fattispecie è configurabile solo in rapporto al depistaggio cd. manipolativo e per di più rispetto ad ipotesi marginali di esso, apparendo difficile ipotizzare un’immutazione del corpo del reato o dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato, realizzata mediante le condotte indicate nel secondo comma. Già la modalità di tipizzazione della fattispecie attraverso il rinvio al “fatto” di cui al primo comma depone per la sua qualificazione come circostanza aggravante, ma ogni dubbio in proposito è fugato dalla previsione di cui al quinto comma, che nel dettare una disciplina derogatoria al giudizio di valenza la qualifica espressamente come circostanza aggravante17. Trattasi di aggravante ad effetto speciale. La natura di circostanza aggravante ad effetto speciale va riconosciuta anche alla già menzionata fattispecie di cui al terzo comma (v. § 1), incentrata sulla gravità dei reati in relazione ai quali è stato realizzato il depistaggio18. La previsione normativa è in rapporto di specialità per specificazione rispetto all’ipotesi base di cui al primo comma ed anch’essa è espressamente qualificata come aggravante dal quinto comma. Il sistema delle aggravanti è completato dalla previsione dell’art. 383 bis (Circostanze aggravanti per il caso di condanna) introdotto sempre dalla l. n. 133/2016, che riprendendo il contenuto del previgente art. 375 prevede per il reato in esame (oltre che per i reati previsti dagli artt. da 371 bis a 374 e 375): la pena della reclusione da quattro a dieci anni se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena della reclusione da sei a quattordici anni se dal fatto deriva una condanna superiore a cinque anni e la pena della reclusione da otto a venti anni se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo. La norma delinea dunque un reato aggravato dall’evento: la condotta costitutiva del reato deve essere in rapporto di causalità rispetto alla condanna, la quale può anche non essere voluta dall’agente, ma deve comunque essere prevedibile dallo stesso ai sensi dell’art. 59, co. 2, c.p. Conformemente ad una scelta di politica criminale basata sull’adozione di un meccanismo premiale sempre più frequentemente adottata dal legislatore, l’art. 375, co. 4, prevede un’attenuante ad effetto speciale (diminuzione della pena dalla metà a due terzi), se il colpevole pone in essere condotte volte ad un effetto ripristinatorio («si adopera per ripristinare lo stato originario dei luoghi, delle cose, delle persone o delle prove») o al contrasto delle conseguenze del reato («si adopera … per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori») ovvero condotte di collaborazione processuale («aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto oggetto di inquinamento processuale e depistaggio e nell’individuazione degli autori»). Non sono previsti limiti temporali entro i quali deve essere realizzata la condotta di ravvedimento. La locuzione «si adopera per», utilizzata per tipizzare le prime due ipotesi, comporta che ai fini della sussistenza dell’attenuante non si richiede l’effettivo raggiungimento del risultato perseguito19. Per rafforzare la scelta sanzionatoria operata con le aggravanti di cui ai commi secondo e terzo, evitando che la stessa possa essere vanificata dal giudice con il giudizio di valenza nel caso di concorso di circostanze eterogenee, il legislatore ha previsto l’ennesima deroga al giudizio di bilanciamento, disponendo all’art. 375, co. 5, c.p. che: «Le circostanze attenuanti diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 e dal quarto comma, concorrenti con le aggravanti di cui al secondo e al terzo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste ultime e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti». Il legislatore ha dunque adottato quel modello di limite al giudizio di valenza basato sull’incidenza dell’aggravante cd. blindata (nella specie le aggravanti previste dai commi secondo e terzo) esclusivamente sull’operatività di alcune circostanze attenuanti (quelle diverse dalle attenuanti previste dagli artt. 98 e 114 e dall’art. 375, co. 4, c.p.), le quali non possono essere dichiarate equivalenti o prevalenti rispetto alla circostanza cd. blindata. Quest’ultima non comporta dunque una limitazione del giudizio di valenza nel suo complesso.
Ai sensi dell’art. 375, co. 8, «la punibilità è esclusa se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non è stata presentata».
La disposizione, analoga a quella di cui all’art. 374, co. 2, c.p., evidenzia come il reato in esame abbia come presupposto sostanziale non solo l’esistenza del reato oggetto dell’indagine o del processo in relazione ai quali si verifica la condotta di inquinamento processuale20, ma anche la procedibilità originaria del reato stesso, mentre non rileva l’improcedibilità sopravvenuta.
Stante la riferibilità dell’indicato presupposto sostanziale a tutte le fattispecie tipizzate dall’art. 375 c.p., esso finisce per introdurre un significativo elemento di differenziazione tra il depistaggio dichiarativo e le corrispondenti fattispecie di cui agli artt. 371 bis e 372 c.p., perché queste ultime prescindono da tale presupposto.
Diverso è invece il caso del favoreggiamento dichiarativo che trae origine dall’utilizzo dell’art. 378 c.p. per incriminare condotte di aiuto ad eludere le investigazioni, realizzato mediante dichiarazioni false o reticenti alla polizia giudiziaria: l’art. 378 c.p. richiede infatti la sussistenza del reato presupposto. Il nuovo reato di depistaggio partecipa in parte del sottosistema relativo ai reati di falso dichiarativo, nell’ambito dei reati contro l’amministrazione della giustizia, attraverso l’applicabilità allo stesso della ritrattazione: la l. n. 133/2016 ha infatti modificato l’art. 376, co. 1, inserendo tra i reati ai quali la norma è applicabile anche il reato di depistaggio di cui all’art. 375, co. 1, lett. b).
Al depistaggio dichiarativo si applica dunque la causa sopravvenuta di non punibilità della ritrattazione se l’autore del reato, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento e ciò vale anche per le ipotesi aggravate. Il legislatore non ha invece esteso al reato in esame l’applicabilità della causa di esclusione della colpevolezza prevista dall’art. 384, co. 1, c.p. (fatto commesso per la necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore): l’elevato valore degli interessi protetti è stato dunque ritenuto preminente rispetto alla situazione di soggettiva inesigibilità di un comportamento conforme alla norma. Come ha riconosciuto il Supremo Collegio, nella già citata sentenza21, tale scelta del legislatore conferma la necessità del requisito della preesistenza della qualifica pubblicistica e del suo nesso funzionale con il fatto, perché è tale requisito che giustifica la maggiore valenza del vincolo funzionale con lo Stato rispetto agli interessi personali, considerati recessivi rispetto ai doveri derivanti dalla funzione. Quando vengono in considerazione, nel depistaggio dichiarativo, condotte che già di per sé integrerebbero reati di falso processuale (artt. 371 bis e 372 c.p.), pur in mancanza di espressa previsione normativa appare invece applicabile l’art. 384, co. 2, c.p., che esclude la tipicità del fatto se l’assunzione delle dichiarazioni avviene contra legem: la soluzione è imposta da un’esigenza di coerenza sistematica, stante il carattere speciale del depistaggio rispetto a tali fattispecie22. Il legislatore non ha invece esteso l’applicabilità al nuovo reato dell’art. 377 c.p. (Intralcio alla giustizia): una scelta che appare incomprensibile se si considera che detta disposizione è applicabile ai reati di cui agli artt. 371 bis, 371 ter, 372 e 373 c.p., ma che non sembra superabile in via interpretativa stante il principio di riserva di legge23. Quanto ai rapporti con altri reati, il depistaggio manipolativo è in rapporto di specialità reciproca rispetto al reato di frode processuale (art. 374 c.p.): elementi specializzanti dell’art. 375 sono la qualifica pubblicistica del soggetto attivo (anche nella sua connessione funzionale con il fatto: v. par. 2.1) ed il dolo specifico, mentre l’art. 374 è speciale per l’indicazione tassativa degli atti processuali nel contesto dei quali deve essere realizzata la condotta. Se il fatto integra gli estremi di entrambi i reati, in forza della clausola di riserva prevista dall’art. 375, co. 1, c.p. si applica solo il reato di depistaggio in quanto reato più grave. La medesima conclusione vale anche per il depistaggio dichiarativo in rapporto ai reati di false informazioni al p.m. (art. 371 bis), di falsa testimonianza (art. 372) e di favoreggiamento personale realizzato mediante false o reticenti dichiarazioni alla polizia giudiziaria (art. 378), reati puniti meno gravemente del depistaggio. Elementi specializzanti di quest’ultimo reato sono la già indicata qualifica pubblicistica del soggetto attivo ed il dolo specifico, nonché, rispetto ai reati di cui agli artt. 371 bis e 372 c.p., il reato presupposto.
1 V. co. 9: «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle indagini e ai processi della Corte penale internazionale in ordine ai crimini definiti dallo Statuto della Corte medesima».
2 V. Proposta di legge C 559 (XVII Legislatura): la fattispecie era limitata ai reati diretti all’eversione dell’ordine costituzionale, ai reati di cui agli artt. 285 e 422, 416 bis c.p., 74 t.u. stupefacenti, art. 1 l. 25.1.1982, n. 17, nonché ai reati concernenti il traffico illegale di armi, materiale nucleare, chimico o biologico.
3 V. co. 2: «La pena è diminuita dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per ripristinare lo stato originario dei luoghi, delle cose, delle persone o delle prove, nonché per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto oggetto di inquinamento processuale e depistaggio e nell’individuazione degli autori».
4 Sempre in materia di reati di “inquinamento processuale”, la l. n. 133/2016 ha aumentato la pena della reclusione prevista per il reato di frode processuale di cui all’art. 374 c.p., «da sei mesi a tre anni» a «da uno a cinque anni».
5 Cass. pen., 30.3.2017, n. 24557, Mastrocinque.
6 Cfr. Santoro, V., Alcune considerazioni sul nuovo reato di “frode in processo e depistaggio” (art. 375 c.p., L. 11 luglio 2016, n. 133), in www.archiviopenale.it, 20.12.2016, 9.
7 Cass. pen., 3.4.2013, n. 25150.
8 Cass. pen., 16.2.2001, n. 15542.
9 V. nota 5.
10 In argomento v. Santoro, V., Alcune considerazioni, cit., 13.
11 Cfr. Santoro, V., op. cit., 19.
12 V. Piffer, G., I delitti contro l’amministrazione della giustizia. Tomo I – I delitti contro l’attività giudiziaria, in Marinucci, G.Dolcini, E., a cura di, Trattato di diritto penale, parte speciale, IV, Padova, 2005, 498 s.
13 Così per tutte Cass. pen., 4.2.2016, n. 9956; su tale requisito v. Piffer, G., I delitti contro l’amministrazione della giustizia, cit., 501 s.
14 Per il depistaggio mediante false dichiarazioni al p.m. non è tuttavia prevista la sospensione del procedimento di cui all’art. 371 bis, co. 2, c.p.
15 V. nota 5.
16 Sulla necessità dell’idoneità della condotta nei reati a dolo specifico v. tra le altre Cass. pen., 15.5.2014, n. 28009, con riferimento alla finalità di terrorismo ex art. 270 sexies c.p.
17 Per la qualificazione come aggravante v. Santoro, V., op. cit., 20; Ronco, M., Reato di frode in processo penale e depistaggio, in www.ilquotidianogiuridico.it, 20.7.2016; contra Pisa, P., Il «nuovo» reato di depistaggio, in Dir. pen. e processo, 2016, 1278, che ritiene trattarsi di titolo autonomo di reato, non ravvisando un rapporto di specialità con le fattispecie di cui al primo comma.
18 Da segnalare che la l. n. 133/2016 ha anche modificato l’art. 157, co. 7, primo periodo, inserendo il reato di cui all’art. «375, terzo comma», tra i reati per i quali è previsto il raddoppio dei termini di prescrizione.
19 Contra Pisa, P., Il «nuovo» reato, cit., 1281.
20 Sulla necessità del reato presupposto nella frode processuale v. Cass. pen., 29.1.2016, n. 4058.
21 V. nota 5.
22 Cfr. Santoro, V., op. cit., 37.
23 Cfr. Santoro, V., op. cit., 38.