FREGANESCHI ARIBERTI, Giovan Battista
Discendente da antica famiglia, nacque a Cremona prima del 1710 da Pietro Martire Freganeschi e da Marianna Ariberti, dalla cui estinta famiglia con l'obbligo di portare il nome derivò il possesso del feudo imperiale di Malgrate in Lunigiana. Continuando la tradizione di famiglia, compì i suoi studi giuridici, risultando ascritto al nobile collegio dei giureconsulti di Cremona il 2 marzo 1734, e sostituì il padre, eletto quello stesso anno questore del magistrato delle Entrate, come oratore della città di Cremona nella Congregazione dello Stato di Milano. In virtù di tale carica accompagnò nel 1771 il vicario di provvisione di Milano a Vienna per consegnare il dono gratuito di lire 1.500.000 che lo Stato di Milano presentava in occasione delle nozze reali tra l'arciduca Ferdinando e Maria Beatrice d'Este. Il viaggio a Vienna fu in realtà l'occasione, come testimonierà anche Pietro Verri scrivendo al fratello Alessandro (dicembre 1771), per svolgere una delicata missione politica, essendo stati i due ambasciatori delegati a rappresentare all'imperatore i desiderata della nazione nella ristrutturazione, che si sapeva imminente, dell'intero apparato amministrativo centrale (i memoriali dei due delegati presentati a Vienna e la relativa corrispondenza con Milano si trovano all'Archivio storico civico di Milano, Fondo dicasteri, cart. 178).
Fratello di Ignazio Maria (1710-90), vescovo di Cremona dal 1749 al 1790, il F. sposò Maria Diana Marquieti Vicedomini, da cui ebbe un solo figlio maschio, Alessandro, con cui si estinse la casata. Nel 1758 venne eletto decurione nel Consiglio generale di Cremona. Ideò, probabilmente con la collaborazione dell'amico Isidoro Bianchi, un torchio da macina presentato nel 1785 alla Società patriottica di Milano. Uscito dalla scena politica nel 1786, quando fu soppressa la Congregazione dello Stato, ottenne il 9 luglio 1787 dal governo "per grazia speciale" e "a riflesso dei 52 anni di servizio continuato prestato al Pubblico" il godimento vitalizio "a titolo di pensione" del soldo annuo fino ad allora percepito. Dopo aver dato alle stampe il suo Testamento economico politico di un patrizio lombardo invecchiato negli affari pubblici dedicato a monsieur Necker (Cremona 1787), morì probabilmente a Cremona nel 1793.
Come rappresentante della maggiore città di provincia, guardò da vicino ai lavori della giunta per il censimento come all'occasione per una più equa ridistribuzione del carico fiscale, denunciando "l'interesse" e la "malizia" con cui la capitale, forte di un secolare predominio, ostacolava la giustizia, sia quando si opponeva al censimento di quei gelsi che facevano la ricchezza dell'alta Lombardia (Dissertazione del marchese Freganeschi, oratore della città di Cremona, per dimostrare che nel nuovo censimento i mori gelsi devono essere compresi nel censo, s.n.t.), sia quando difendeva la persistenza di vecchi e ormai inconsistenti privilegi fiscali (Compendio di ragioni a favore dei Pubblici condannati a corrispondere alla città di Milano l'adeala e parimenti di quelli che sostengono il carico della tassa de' cavalli, esclusa la detta città ed il Pubblico di Como, colla aggiunta di alcune riflessioni sopra il censimento e l'attuale sistema delle pubbliche amministrazioni, s.l. 1784).
Anche la richiesta di una ripartizione "numerica" dell'imposta personale, se andava nella direzione segnata dalla Giunta per il censimento e dal governo, nella sostanza mirava a difendere gli interessi particolari del Cremonese, tanto ricco di terre fertili e produttive, quanto povero e scarso di manodopera stabile (alla Bibl. Braidense di Milano si conserva la risposta polemica Delli sindaci generali del Ducato per la distribuzione del carico personale desiderata da tutto lo Stato di Milano, contro la generale eguaglianza voluta in forma di capitazione dal solo sig. oratore di Cremona, 6 marzo 1753, che fa riferimento a un precedente scritto del Freganeschi).
Meditando sulla condizione umana il F. maturava un pessimismo filosofico che a contatto con la sua giornaliera pratica politica si traduceva in una concezione che, rifiutando allo stesso modo i "sistemi" basati su di un "vagheggiato contratto sociale" da una parte e ogni forma di dispotismo compresa la versione "legale" propugnata dai fisiocratici dall'altra, sembrava affidarsi solo alla buona volontà di ministri e funzionari. Convinto che i lumi non fossero "bastantemente sviluppati", il F. criticava nel suo Testamento tutta la politica economica e finanziaria del governo che, non solo non era riuscita a promuovere il commercio e le manifatture nazionali con una incerta regolamentazione daziaria e un insufficiente sostegno statale, ma che soprattutto aveva fatto del nuovo censimento "un complesso di errori". Ribadendo una posizione maturata già anni prima (Progetto del marchese G.B. Freganeschi, oratore della città di Cremona, col quale togliendo con vantaggio del principe vari ostacoli alle arti e manifatture, al commercio e agricoltura, verrebbe il carico ad essere con sollievo universale distribuito più proporzionalmente del nuovo censimento e di qualunque altro metodo che potesse idearsi ed eseguirsi, Milano 1759), il F., influenzato dalle particolari condizioni del Cremonese, si opponeva a un estimo commisurato alla produttività intrinseca della terra, considerando tale produttività frutto non tanto della qualità del terreno, quanto dell'intensità della coltivazione. Se quest'ultima, come del resto le arti e il commercio, richiedeva l'impiego di maggiore forza-lavoro, il numero del personale diventava indizio e misura sicuri della ricchezza reale posseduta. Non si trattava della semplice riduzione della tassazione all'esistente testatico (che pure il F. nella sua Risposta al conte G. Verri sulla capitazione delle persone e dei contadini in sollievo dell'estimo generale, Cremona 1795, aveva difeso, a catasto ormai approvato, come palliativo per temperare in qualche modo la distribuzione del carico secondo la fertilità del suolo con il criterio della densità della popolazione), ma della proposta di un sistema fiscale alternativo basato sulla popolazione e distribuito e pagato in base al personale impiegato, in grado per ciò stesso di commisurarsi sempre e correttamente alla ricchezza e ai suoi movimenti nello spazio e nel tempo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Fondo araldica, p.a., cartt. 17 e 80; Fondo uffici regi, p.a., cart. 702; Fondo famiglie, cart. 74; Fondo popolazione, p.a., cart. 184; Fondo notarile, cart. 49249; Fondo rogiti camerali, cart. 472; Arch. di Stato di Cremona, Raccolta araldica e la serie Comune Cremonae, Libri Provisionum. La scheda manoscritta di V. Lancetti compilata per la sua Biografia cremonese (Cremona, Bibl. governativa) non è sempre attendibile; interessante è invece il carteggio tenuto dal 1777 al 1785 con Isidoro Bianchi (Milano, Bibl. Ambrosiana, T140 Sup.); qualche notizia anche in Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, a cura di E. Greppi - A. Giulini, Milano 1923, ad Indicem. Inoltre: C.A. Conigliani, G.B. Freganeschi e le quistioni tributarie in Lombardia nel sec. XVIII, Modena 1898; D.M. Klang, Tax reform in eighteenth century Lombardy, New York 1977, pp. 41-44; F. Venturi, Settecento riformatore, V, 1, Torino 1982, pp. 696 s.