FRANCO-PRUSSIANA, GUERRA, o franco-germanica, guerra
La guerra franco-germanica scoppiata nel luglio del 1870, ha dominato per quasi mezzo secolo - nel campo politico non meno che in quello militare - la storia dell'Europa. Essa è un grande episodio della lotta tra Francia e Germania per l'egemonia politica in Europa, lotta secolare combattuta con ogni mezzo e che aveva più volte armati l'un contro l'altro i popoli dei due paesi.
Origini e storia diplomatica. - Bismarck, assunto al potere in Prussia nel 1862, aveva con grande risolutezza iniziato la sua azione intesa a rafforzare e ad ingrandire la Prussia; ad assicurarle l'egemonia in Germania, da cui doveva essere esclusa l'Austria; a togliere l'Alsazia alla Francia. Con l'aiuto dell'Austria era riuscito a strappare alla Danimarca i ducati dell'Elba; con la guerra del 1866 aveva ottenuto l'annessione alla Prussia di questi tre ducati (Schleswig, Holstein e Lauenburg), del Hannover, dell'Assia elettorale, del Nassau e della città libera di Francoforte; il disinteressamento dell'Austria per le cose tedesche; il riconoscimento della supremazia della Prussia sulla Germania settentrionale. La Francia del Secondo Impero aveva assistito con preoccupazione sempre crescente allo svolgimento rapido di questo grandioso programma; generale vi era il sentimento che non si dovessero lasciar le mani libere a Bismarck e che si dovesse anzi imporgli non solo di rispettare in avvenire l'integrità del territorio francese, ma di accordare alla Francia qualche compenso per il notevole incremento della potenza prussiana. Ma era mancato sia un programma ben definito sia la decisione necessaria per profittare delle occasioni propizie.
Nel preparare diplomaticamente la guerra contro l'Austria, principale cura di Bismarck era stato di tenere a bada la Francia. Nei convegni di Biarritz (ottobre del 1864 e del 1865) si era studiato di far credere a Napoleone III che ne desiderasse l'alleanza e gli aveva fatto balenare la speranza di annettersi il Belgio e di avere anche auri compensi. L'Imperatore aveva ondeggiato: la idea di un'intesa con la Prussia ai danni dell'Austria non gli dispiaceva, ma, diffidente verso il ministro prussiano, incerto sull'esito della lotta che stava per impegnarsi, aveva mantenuto contatti con Vienna per una resistenza comune alla politica di Berlino. Nemmeno Sadowa aveva potuto trarlo dall'indecisione: l'imperatrice Eugenia ed E. Drouyn de Lhuys lo spingevano a intervenire senza altro contro la Prussia; altri, fra cui il principe Napoleone, lo spingevano a unirsi invece a quest'ultima e all'Italia. Napoleone III si era contentato d'imporre una mediazione, che in sostanza era largamente favorevole alle esigenze prussiane, e soltanto dopo i preliminari di Nikolsburg (26 luglio 1866) fece chiedere a Berlino la facoltà di annettersi il Palatinato e l'Assia renana. Bismarck respinse la domanda e se ne valse per alienare alla Francia le simpatie degli stati tedeschi del sud: si mostrò, invece, dapprima propenso a discutere una proposta d'alleanza francoprussiana, in conseguenza della quale la Francia avrebbe potuto acquistare il Belgio e il Lussemburgo, ma dopo la pace di Praga (23 agosto) prese anche a questo riguardo un atteggiamento nettamente dilatorio.
Prevedendo un'opposizione irriducibile dell'Inghilterra, Napoleone III non si decise a dar seguito alle sue aspirazioni sul Belgio. Invece nel 1867 negoziò con Guglielmo III, re d'Olanda, un accordo con cui questi s'impegnava a vendergli il Lussemburgo, che fino al 1866 aveva fatto parte della Confederazione germanica, contro la garanzia del possesso in piena libertà del Limburgo olandese, che aveva fatto parte ugualmente della Confederazione germanica e che la Prussia poteva rivendicare. Bismarck, per comprometterlo, lo incoraggiò segretamente su questa via, ma poi, con abili indiscrezioni, provocò in tutta la Germania una violentissima agitazione contro l'accordo, di cui il governo francese fece pubblicare il contenuto prima che fosse firmato. Guglielmo III si preoccupò: la Prussia gli fece comunicare che metteva il suo veto assoluto alla cessione del Lussemburgo e che si disinteressava del Limburgo olandese. Tutto andò così a monte: Napoleone III batté ancora una volta in ritirata e dovette contentarsi, per mascherare il suo insuccesso, che una conferenza internazionale, riunitasi a Londra nel maggio, dichiarasse la neutralità del granducato di Lussemburgo e stabilisse il ritiro della guarnigione che la Prussia teneva ancora nella città di Lussemburgo, quale antica fortezza della Confederazione germanica. Le relazioni fra Parigi e Berlino erano divenute molto tese. Come scrisse Metternich, ambasciatore austriaco a Parigi, la Francia "era stata beffata secondo tutte le regole dell'arte": il prestigio del Secondo Impero appariva grandemente compromesso anche per l'esito disastroso della spedizione del Messico e le condizioni interne divenivano sempre più precarie, tanto da indurre Napoleone III a concessioni liberali; l'idea di una guerra contro la Prussia, che ristabilisse l'equilibrio, si faceva strada. L'Imperatore era personalmente pacifico: in passato, si era mostrato alieno dal desiderare l'annessione di territorî tedeschi e propenso a contentarsi della costituzione di uno stato renano autonomo, possibilmente neutralizzato, magari compreso nella Confederazione germanica; ma era già minato dal male che doveva portarlo alla tomba (1873) e combattuto dal sentimento che sotto il suo regno la situazione della Francia si fosse indebolita di fronte alla Prussia.
Bismarck, per parte sua, era convinto di dover fare una guerra alla Francia prima di poter compiere l'unità della Germania; ma attendeva che la preparazione militare fosse completa in seguito all'estensione degli ordinamenti prussiani non soltanto ai territorî recentemente annessi, ma anche agli altri stati meridionali. Sebbene la pace di Praga, stipulata in base alla mediazione francese, avesse stabilito che questi stati non fossero compresi nella Confederazione della Germania del nord e sebbene in essi (specialmente nella Baviera e nel Württemberg) ci fossero ancora vivi risentimenti contro la Prussia, Bismarck, pur dichiarando di volerli lasciare liberi nelle loro decisioni, si sforzava di riavvicinarseli. Fin dall'agosto del 1866 aveva concluso con essi trattati segreti d'alleanza offensiva e difensiva, che fece pubblicare nel marzo 1867 durante la crisi del Lussemburgo. Poi ricostituì l'unione doganale (Zollverein), disciolta dopo Sadowa, mediante un accordo fra la Confederazione del nord e gli stati del sud: quest'unione aveva un consiglio di plenipotenziarî e un proprio parlamento, risultante dall'aggiunta di deputati degli stati meridionali al Reichstag ordinario della Confederazione e poteva considerarsi come una larvata unione politica.
Nel 1869 la Francia, l'Italia e l'Austria condussero negoziati segretissimi per la conclusione di una triplice alleanza, diretta a tenere in scacco la Prussia. Il punto di partenza doveva essere il mantenimento della pace di Praga, ma, in caso di guerra fortunata, la Francia avrebbe dovuto acquistare territorî sulla riva sinistra del Reno; l'Austria riprendere la sua posizione predominante in Germania e annettersi la Slesia; l'Italia ottenere il Trentino, la valle del Roia e una stazione navale a Biserta. Le trattative stavano per essere concluse quando s'incagliarono sulla domanda dell'Italia di aver mano libera per occupare Roma: l'Austria aderì a questa richiesta, invece Napoleone III, seppure a malincuore, la respinse. I tre sovrani si scambiarono soltanto lettere contenenti vaghi affidamenti personali. Nel corso delle trattative si era anche abbozzato fra i tre governi un piano di guerra offensivo.
Nella primavera del 1870 Bismarck ritenne che l'ora decisiva fosse giunta. Sapeva che la preparazione bellica di tutti gli stati tedeschi era perfetta e non avrebbe potuto avvantaggiarsi di un ulteriore indugio; che la Francia aveva iniziato, ma non compiuto, un riordinamento del suo esercito; che Italia e Austria erano militarmente impreparate e finanziariamente stremate. Ma gli conveniva procedere con grande accortezza e provocare un'aggressione francese per vincere le palesi riluttanze del suo sovrano, per assicurarsi la collaborazione di tutti gli stati tedeschi, la neutralità dell'Inghilterra e l'eventuale alleanza della Russia, nel caso che il conflitto non rimanesse limitato alla Francia e alla Germania. Il pretesto gli fu offerto dalla candidatura del principe Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen al trono di Spagna. Tale candidatura, caldeggiata dal maresciallo J. Prim e già proposta nel 1869, era stata accolta sfavorevolmente dal principe Leopoldo, dal capo del ramo Sigmaringen e dallo stesso re Guglielmo, mentre aveva sollevato obiezioni da parte della Francia. Essa fu ripresentata nel febbraio 1870 e vi è ragione di credere che lo fosse in seguito a un'intesa segreta fra il Prim e Bismarck: in ogni caso, non è dubbio che quest'ultimo la seppe sfruttare con grande abilità e con pochi scrupoli per giungere alla desiderata rottura con la Francia. Fu in seguito alle sue premure che il Principe Leopoldo accettò (23 giugno) la corona e che il re Guglielmo vi si acconciò a malincuore. Invece, quando la Francia chiese spiegazioni, egli sostenne che il governo prussiano vi era rimasto affatto estraneo e che si trattava di un semplice affare di famiglia. L'opinione pubblica francese si esasperò; gli avversarî del Secondo Impero attaccarono vivacemente il governo, il quale, per riacquistare popolarità, fece fin dal 6 luglio imprudenti dichiarazioni al Corpo Legislativo. Data la gravità della situazione, non solo la regina d'Inghilterra, d'accordo col suo governo, ma anche Napoleone III (per mezzo del re del Belgio e dell'agente romeno a Parigi, recatosi a tal uopo a Sigmaringen) e - a insaputa di Bismarck - lo stesso re di Prussia s'interposero presso il principe Leopoldo, il quale finì per rinunciare alla candidatura già accettata. Bismarck, amaramente deluso, minacciò di dimettersi; ma il governo di Parigi, anziché accontentarsi di questo successo, come tutte le altre potenze consigliavano, incaricò l'ambasciatore V. Benedetti, il quale già da varî giorni si trovava a Ems in contatto personale col re Guglielmo, di pretendere da quest'ultimo l'assicurazione che la candidatura non sarebbe più accettata in avvenire né da Leopoldo né da altro principe di casa Hohenzollern. Questa richiesta insistente e ingiustificata fu respinta dal re di Prussia; un telegramma relativo a tali passi, pubblicato con tagli intenzionalmente fatti da Bismarck, diede l'impressione, non corrispondente alla realtà, che il sovrano avesse trattato scortesemente il Benedetti e provocò in Francia uno scoppio d'indignazione patriottica. Napoleone III tentò ancora di mantenere la pace: ma E. Ollivier, A. Gramont e l'imperatrice Eugenia, illudendosi sulle condizioni militari e sulla situazione diplomatica della Francia, lo trascinarono. L'Inghilterra offrì i suoi buoni uffici per evitare un conflitto; il Gramont rispose che il tentativo era ormai inutile, Bismarck che l'iniziativa doveva venire dalla Francia, la quale si era mostrata aggressiva. Il governo francese dichiarò la guerra (19 luglio) e la Germania si schierò tutta compatta attomo al re di Prussia. Napoleone III cercò di riannodare le trattative interrotte con Vienna e con Firenze; ma, a prescindere dal fatto che egli non era ancora disposto ad accogliere le richieste italiane circa la questione romana, la situazione era ormai mutata. Al gabinetto Menabrea, informato dei negoziati segreti per l'alleanza, era succeduto quello Lanza, che li aveva fino allora ignorati. Mentre Vittorio Emanuele II e Visconti-Venosta avrebbero desiderato aiutare la Francia, Lanza e Sella, sostenuti dall'opinione pubblica ancora offesa per Mentana, erano fautori di una stretta neutralità. In Austria-Ungheria il partito militare (specialmente l'arciduca Alberto, che era stato anche a Parigi nel febbraio per prendere accordi con lo stato maggiore francese, e il ministro della guerra F. Kuhn) era favorevole all'intervento; F. F. von Beust, pur vagheggiando sempre di prendersi una rivincita su Bismarck, si rendeva conto delle grandi difficoltà; Francesco Giuseppe non dissimulava le sue disposizioni pacifiche; recisamente contrario all'alleanza francese era poi G. Andrássy, presidente del consiglio ungherese, il quale aveva intelligenze con Berlino. Dopo le prime vittorie tedesche (principio d'agosto) i neutralisti ebbero il sopravvento definitivo tanto a Firenze quanto a Vienna. Nella seconda metà d'agosto il principe Napoleone, recatosi in Italia, fece un ultimo tentativo infruttuoso per ottenerne l'aiuto militare. Invece il governo italiano prese l'iniziativa di una lega dei neutri, concludendo con l'Inghilterra un accordo, a cui aderirono poi l'Austria-Ungheria e la Russia: ma le schiaccianti vittorie tedesche resero impossibile qualsiasi azione mediatrice delle potenze neutrali. Dopo la caduta del Secondo Impero (4 settembre) il governo della difesa nazionale mandò Thiers in missione a Londra, a Vienna, a Pietroburgo e a Firenze per perorare la causa della Francia, ma nemmeno ciò valse a modificare la situazione.
Le forze armate dei belligeranti. - Tedeschi. - L'ordine della mobilitazione, emanato nella notte fra il 15 e il 16 luglio (e cioè immediatamente dopo la rottura dei rapporti diplomatici per iniziativa francese) mette in moto una macchina diligentemente preparata e già collaudata. nel 1866. Le grandi unità costituite in permanenza con completamento territoriale (sul posto) sono pronte a partire in otto giorni; e il 24 luglio cominciano i trasporti per la radunata fra Reno e Mosella, trasporti i quali procedono con la massima regolarità secondo un piano predisposto in tutti i particolari, basato su minuziosi calcoli di tecnica ferroviaria. Ai primi di agosto le grandi unità sono pronte a entrare in linea. Esse sono raggruppate in quattro armate di differente consistenza, tre in prima linea e una in riserva. E precisamente, in prima linea: a destra la 1ª armata (generale K. F. v. Steinmetz) composta di due corpi d'armata prussiani e due divisioni di cavalleria, fronte alla Mosella all'altezza di Treviri e Birkenfeld; al centro, la 2ª armata (principe Federico Carlo di Prussia) composta di tre (poi quattro) corpi d'armata prussiani, del corpo della Guardia e di due divisioni di cavalleria, fra Magonza, Worms e Kreuznach, ossia in posizione alquanto arretrata rispetto alla precedente; a sinistra la 3ª armata (principe ereditario Federico Guglielmo di Prussia), composta di due (poi tre) corpi d'armata prussiani, due corpi e due divisioni di cavalleria, fra Landau, Germersheim e Maxau; infine una riserva generale, costituita da un corpo d'armata prussiano e dal corpo d'armata sassone, sulla destra del Reno presso Magonza. Poiché la missione affidata alla riserva è di parare un'eventuale puntata nemica contro il Baden, non appena questa eventualità potrà essere eliminata (e cioè dopo le prime grandi battaglie vittoriose del 6 agosto) i due corpi che la costituiscono saranno immessi nell'armata del principe Federico Carlo e la riserva generale cesserà di esistere. La formazione dei corpi d'armata è omogenea, su due divisioni, ciascuna di due brigate di fanteria a due reggimenti, più un reggimento di cavalleria e 4 batterie. Il corpo d'armata ha inoltre un battaglione di cacciatori e una riserva di artiglieria. La cavalleria ha costituito divisioni indipendenti, oltre a brigate fornite dagli stati minori. Comandante supremo il re Guglielmo; capo di stato maggiore il generale H. v. Moltke. Seguono il quartier generale il cancelliere Bismarck e il ministro della Guerra prussiano, A. v. Roon. Dietro l'esercito destinato alle prime operazioni si costituiscono altri 16 corpi d'armata di Landwehr. Il 1° agosto sono già mobilitati 800.000 uomini circa, oltre 400.000 richiamati per servizî sedentarî.
Francesi. - Dopo gli eventi minacciosi del biennio 1866-67, Napoleone III aveva chiamato a reggere il dicastero della Guerra il maresciallo A. Niel, con incarico di perfezionare un organismo che già durante la campagna del 1859 in Italia e, in seguito, nel Messico aveva mostrato non pochi difetti. L'esercito, secondo il progetto Niel, doveva essere diviso in tre scaglioni organici (esercito attivo, riserva dell'esercito attivo, esercito territoriale); fu adottato un nuovo fucile (chassepot) si fabbricarono in gran segreto i canons-à-balles (specie di grosse mitragliatrici). Ma, per ragioni di economia, e per debolezza verso i partiti di sinistra, dei quali Napoleone III cominciava a temere, le riforme organiche erano solo parzialmente in atto e la fabbricazione delle armi tuttora arretrata, quando scoppiò la guerra. Altri difetti erano: la mancata costituzione fin dal tempo di pace delle grandi unità miste delle varie armi; la deficienza di serî studî e di adeguata preparazione della mobilitazione e dei trasporti ferroviarî; una desuetudine dalle iniziative, conseguenza di una burocrazia spietatamente accentratrice. Si prevedeva di poter mobilitare, in caso di guerra. 350.000 uomini dell'esercito attivo e 175.000 della riserva. Il 15 luglio furono chiamati i riservisti e assai prima che la mobilitazione fosse completa, cominciò l'avviamento dei corpi alle zone di radunata.
Si formarono per la guerra 7 corpi d'armata (più il corpo della Guardia) di forza ineguale, oltre a 3 divisioni di cavalleria indipendenti. I corpi d'armata comandati da marescialli di Francia erano su 4 divisioni di fanteria, 1 divisione di cavalleria a 3 brigate, una riserva di artiglieria di 8 batterie; i corpi d'armata comandati da generali erano su 3 divisioni di fanteria, una divisione di cavalleria a 2 brigate, una riserva di artiglieria di 6 batterie; la Guardia aveva 2 divisioni di fanteria, una di cavalleria a 3 brigate, una riserva d'artiglieria di 6 batterie. I comandanti dei corpi d'armata erano: 1°, mar. E.-P. Mac-Mahon; 2°, gen. Ch.-A. Frossard; 3°, mar. F.-A. Bazaine; 4°, gen. L.-R.-P. Ladmirault; 5°, gen. P.-A. De Failly; 6°, mar. J. Canrobert; 7°, gen. F. Douay; Guardia, gen. Ch.-D. Bourbaki. Comandante supremo Napoleone III, capo di stato maggiore il mar. E. Le Bœuf. Senza l'intermedia costituzione di armate, tutta la massa francese (alla fine di luglio circa 260.000 uomini, compresi i non inquadrati nei reparti) costituiea un unico organismo denominato "armata del Reno", disteso a cordone parte in Alsazia, parte in Lorena, da Thionville a Belfort.
I piani di campagna. - Tedeschi. - Per far fronte a tutte le possibili eventualità, il Moltke aveva, nei piani delle prime operazioni redatti fin dal tempo di pace, stabilito di concentrare le forze nel Palatinato, fra Reno e Mosella. Da questa posizione avrebbe minacciato il fianco destro dei Francesi se questi avessero violato il Belgio, il loro fianco sinistro se avessero invaso, attraverso il Reno, il sud della Germania; infine di lì avrebbe puntato contro le linee della Lauter e della Sarre (Saar) se i Francesi fossero rimasti sulla difensiva. Fu quest'ultimo caso che si presentò all'atto pratico.
Francesi. - Supponendosi, senza reale fondamento, dallo Stato maggiore francese che l'esercito sarebbe stato pronto a entrare in campagna prima dell'esercito prussiano, Napoleone III aveva risoluto di prendere l'offensiva oltre il Reno e, seguendo la valle del Meno, separare gli stati del sud della Germania (ritenuti avversi alla Prussia) dagli stati del nord. Questo progetto s'ispirava probabilmente a quello combinato con l'Austria e l'Italia durante le trattative, sopra accennate, per un'alleanza militare. Si era infatti esaminata dai tre Stati maggiori la convenienza di raccogliere in Baviera tre armate, una per ciascuno stato, di 100.000 uomini ognuna; e, operata la riunione, di puntare contro la Prussia. Questa prima massa sarebbe poi stata seguita dalle armate francesi approntate in un secondo tempo. Rimasto solo, ma non avendo ancora perduto interamente la speranza del concorso italiano e austriaco, l'imperatore pensò forse di dar corso ugualmente a quel disegno, sperando che un primo successo avrebbe indotto Vienna e Firenze a schierarsi a lato della Francia. Di più, un corpo d'armata agli ordini del principe Napoleone Girolamo, protetto dall'intera flotta francese, avrebbe tentato uno sbarco sulle coste prussiane.
Le prime operazioni. - In Alsazia. - Il 4 agosto l'armata del principe ereditario di Prussia (3ª) avanza contro la Lauter, dove da parte francese si trova soltanto il 1° corpo (Mac-Mahon), essendo tuttora il 7° corpo nell'Alsazia meridionale e il 5° corpo in collegamento fra le truppe d'Alsazia e quelle di Lorena, fuori della portata immediata del campo di battaglia. A sua volta il 1° corpo ha le proprie quattro divisioni largamente distanziate. La divisione del gen. Abel Douay è nell'abitato e sulle alture presso Wissembourg (Weissenburg) e non ha creduto di adoperare la brigata di cavalleria a chiarire la situazione sul dinanzi, quando alle 8 del mattino comincia il combattimento di Wissembourg con l'attacco del 2° corpo bavarese contro gli accampamenti del Douay. Gli Algerini sono i primi a prender le armi, ma in luogo di conservare le posizioni dominanti, scendono a guernire l'abitato. Il combattimento è da prima incerto; ma da parte tedesca entrano ben presto in linea i corpi d'armata laterali accorsi alla voce del cannone. Attanagliati sulle alture, i Francesi molto inferiori di numero (7000 uomini circa) si difendono bravamente per alcune ore contro 40.000 nemici, poi ripiegano nella direzione di Woerth. I Tedeschi non inseguono. Lo sfortunato combattimento di Wissembourg dà a Napoleone III la sensazione immediata dei pericoli del disseminamento delle forze. Sono impartiti ordini per riunire i tre corpi 1°, 5° e 7° sotto il comando del Mac-Mahon, e i tre corpi 2°, 3°, 4° sotto il comando del Bazaine, rimanendo il 6° corpo e la Guardia agli ordini diretti dell'imperatore. Il Mac-Mahon ordina il 5 agosto che il 5° corpo si sposti a est per riunirsi al 1° nelle posizioni di Woerth e che il 7° inizi il movimento verso nord allo stesso scopo. Ma i Tedeschi, che in un primo tempo si sono diretti a sud, saputo dove i Francesi si trovano, li attaccano prima che la loro riunione sia effettuata. La cavalleria numerosa di cui Mac-Mahon dispone (e il fatto appare ancor più strano dopo la sorpresa di Wissembourg) è tenuta immobile dietro le divisioni di fanteria. Secondo gli ordini del principe ereditario di Prussia, l'attacco generale dovrebbe avvenire il 7 agosto; ma un'avanguardia tedesca avendo scoperto il mattino del 6 i Francesi accampati sulle alture di destra della Sauer, inizia il fuoco attirando così altre colonne tedesche all'azione. La battaglia di Woerth s'impegna, nonostante i ripetuti sforzi del principe reale prussiano, il quale solo più tardi, convinto alfine di non poter arrestare la lotta, dà gli ordini perché vi concorrano tutte le forze a portata del campo di battaglia. Qua e là, iniziative di subordinati avevano prevenuto quegli ordini. La battaglia dura fin verso il tramonto, con contegno prevalentemente difensivo da parte dei Francesi, i quali in meno di 50.000 si trovano contro più di 100.000 Tedeschi. Non mancano tentativi di ritorni offensivi da parte della fanteria e non mancano cariche eroiche della cavalleria francese, rimaste leggendarie, specie quella della divisione dei corazzieri del Bonnemains che fu pressoché distrutta dal cannone tedesco. Sloggiati dalle posizioni principali, i Francesi tentano ancora qualche resistenza di retroguardia, poi iniziano per diverse vie la traversata dei Vosgi, in direzione generale di Saverne (Zabern). Le truppe del 5° corpo, per difettosa trasmissione degli ordini, non sono giunte in tempo a partecipare alla battaglia. L'Alsazia è abbandonata ai Tedeschi, che cingono d'assedio Strasburgo. Le truppe battute in confusa ritirata (magistralmente descritta da É. Zola nella Débacle) si dirigono al campo di Châlons.
In Lorena. - Lo stesso giorno 6 agosto in cui si combatte a Woerth, parte delle truppe del Bazaine - anch'esse disseminate - sono attaccate al confine tedesco-lorenese presso Forbach-Spicheren. Il 2° corpo francese (Frossard) è il più avanzato e occupa la parte interna del gomito della Sarre (Saar) presso Sarreguemines (Saargemünd). La cittadina non è occupata e i Francesi hanno lasciato i ponti intatti. In questo settore procedono le due armate tedesche 1ª e 2ª, la cui cavalleria - con tempestive informazioni - consente alle truppe avanzate di sorprendere i campi francesi. Molto inferiore in numero (30.000 contro 70.000), Frossard cerca di difendersi, e alcuni reparti compiono brillanti contrattacchi, ma con risultati solo locali. Chiesti invano rinforzi al Bazaine e in vista del continuo aumento degli attaccanti, Frossard ordina la ritirata. I corpi d'armata 3°, 4° e Guardia, si erano trovati a portata della battaglia, senza prendervi parte.
Con le due battaglie del 6 agosto, i Francesi hanno perduto l'iniziativa strategica e Napoleone III deve rinunciare all'offensiva in Germania. Le provincie di confine sono perdute e a Parigi la notizia produce una emozione immensa. L'imperatore ordina la ritirata generale dei corpi di Lorena in direzione di Metz, mentre i corpi di Alsazia - come si è detto - con lungo giro a sud di Metz si dirigono alla Marna (Châlons).
Le grandi battaglie attorno a Metz. - Le colonne delle armate tedesche 1ª e 2ª avanzano a stretto contatto in direzione di Metz, mentre quelle della 3ª armata iniziano dall'Alsazia la traversata dei Vosgi, per affiancarsi a sinistra alle altre due armate. Napoleone III sperava di poter arrestare l'invasione a oriente di Metz sulla buona linea tattica della Nied francese. Al 6° corpo, tuttora a Châlons, viene dato ordine di raggiungere il grosso dell'esercito. Il 9 agosto, dopo marce faticosissime sotto piogge torrenziali, i corpi francesi giungono alla Nied. La demoralizzazione comincia a farsi strada anche fra le truppe di Lorena, e si accresce per le insufficienze del servizio d'intendenza. Napoleone III, informato che le armate tedesche 2ª (centro) e 3ª (sinistra) in luogo di puntare direttamente su Metz tendono ad aggirare la piazzaforte da sud, dirigendosi ai passi dell'alta Mosella, abbandona l'idea della resistenza alla Nied francese e ordina il ripiegamento generale su Metz, dimostrando così di seguire ormai un concetto puramente difensivo di subordinazione delle proprie opere alle iniziative avversarie. Con diversa mentalità e con migliore strumento sarebbe stata miglior concezione quella di attaccare sul fianco i Tedeschi in marcia verso sud-ovest. Nei giorni 11 e 12 agosto i corpi francesi raggiungono le nuove posizioni, sopra un semicerchio a oriente di Metz: tre corpi in prima linea, fra il corso della Seille e il forte Saint-Julien, la Guardia in riserva, il comando a Borny. Comincia anche ad arrivare da Châlons il 6° corpo, che viene inviato a nord della piazza sulla riva occidentale della Mosella. La massa francese raggiunge i 180.000 uomini, compresi i servizî. In questa critica situazione, per le pressioni che gli vengono dall'imperatrice-reggente, Napoleone III rinuncia al comando supremo dell'esercito che affida al maresciallo Bazaine, mentre la massa delle truppe di Lorena viene costituita in "armata del Reno", appellativo tanto meno proprio in quanto, nell'atto di cedere il comando, l'imperatore ordina al Bazaine di passare la Mosella e di procedere in direzione di Verdun, dove potrà operarsi più facilmente la riunione con le truppe reduci dall'Alsazia (Mac-Mahon).
Sempre molto concentrate e incerte sul contegno dei Francesi (due ragioni che causano lentezza nell'avanzata) procedono le 3 armate tedesche, abbozzando un largo movimento di conversione a destra (perno la 1ª armata a nord). Il 14 agosto, alcuni corpi francesi (con ritardi e intoppi che dipendono da un imperfetto funzionamento degli Stati maggiori) iniziano il ripiegamento a occidente della Mosella consigliato dall'imperatore. Le difficoltà della ritirata sono aggravate dalla rinuncia fatta dal Bazaine a valersi delle strade settentrionali del fascio di comunicazioni fra Mosella e Mosa, rinuncia motivata dalla supposizione - non controllata e non vera - della presenza nemica a Thionville. Comunque, alle ore 16 del 14 agosto sono tuttora in posizione sulle alture a oriente di Metz, l'intero 3° corpo, una retroguardia del 4° corpo e in seconda linea la Guardia, allorché l'avanguardia di una colonna della 1ª armata tedesca - notati segni di ritirata nel campo francese - risolve di attaccare. Alla voce del cannone accorrono le rimanenti truppe dell'armata e il IX corpo della 2ª armata e la battaglia di Borny (v.) o di Colombey-Nouilly ha inizio. Da parte francese vengono richiamati indietro gli elementi del 4° corpo che erano in procinto di passare la Mosella. Tatticamente la battaglia rimane incerta; ma strategicamente i Francesi perdono un giorno nel loro movimento di ritirata, e ciò consentirà all'armata tedesca del centro (2ª), che in quello stesso giorno 14 agosto ha iniziato a sud di Metz íl passaggio della Mosella, di giungere a cogliere sul fianco, due giorni dopo, i Francesi incolonnati sulla strada Metz-Mars-la-Tour-Verdun. Come quella di Borny, anche la battaglia di Vionville-Mars-laTour (v.) o di Rézonville, s'inizia per atto spontaneo di un subordinato, in direzione diversa da quella impressa al movimento dal comando della 2ª armata, il quale mirava a prevenire i Francesi alla Mosa con rapida avanzata in direzione generale di ovest e non a puntate contro il loro fianco in direzione di nord. Era perfettamente logico che al quartier generale del principe Federico Carlo non si supponessero i Francesi tanto in ritardo nella ritirata alla Mosa. Iniziatasi l'azione della 5ª divisione di cavalleria tedesca contro supposte retroguardie e accesasi ben presto la lotta contro grossi reparti francesi che levano in fretta i campi (nei quali sono stati sorpresi), l'accorrere delle unità tedesche viciniori rende generale la battaglia, la quale rimane, come la precedente, tatticamente indecisa, ma produce strategicamente grave danno ai Francesi, per i quali risultano ancor più ridotte le probabilità di compiere la ritirata a Verdun.
Il giorno seguente (17 agosto) i Tedeschi affrettano la marcia delle rimanenti forze delle armate 1ª e 2ª, mentre il Bazaine, in luogo di utilizzare le strade settentrionali ancora libere, sospende il movimento verso Verdun; e - un po'tratto in inganno da statistiche pessimiste sullo stato delle munizioni e dei viveri, un po' per l'erroneo pavido concetto di tenersi attaccato alla piazza di Metz - ordina spostamenti nella direzione opposta e l'abbandono del campo di battaglia, peggiorando così la situazione dell'armata del Reno rispetto alle scarse possibilità che ancora potevano rimanerle di attuare il movimento raccomandato dall'imperatore.
Il giorno 18 agosto l'armata del Bazaine è sulle nuove posizioni più ravvicinate a Metz, schierata fronte a ovest. Il Moltke ha risoluto di attaccare il 18 agosto, ma non conoscendo esattamente ciò che avvenga nel campo nemico avanza con circospezione. Preso il contatto, s'inizia la battaglia di Gravelotte-Saint Privat (v.) con la quale i Tedeschi riescono ad aggirare la destra francese e a togliere definitivamente all'armata del Bazaine la possibilità di una libera ritirata anche verso nord-ovest. Da parte francese il comando supremo ha male funzionato durante la battaglia, in quanto il Bazaine è stato assente là dove la presenza e le decisioni del capo sarebbero state doppiamente necessarie, per il morale dei subordinati e per l'orientamento tecnico della battaglia. Nella notte seguente Bazaine ordina il ripiegamento di tutte le truppe entro la cinta dei forti estemi, mentre il nemico con immediate disposizioni, si appresta a investire la piazza con forze che sarebbero state insufficienti senza le pavide intenzioni del capo francese. Infatti i 200.000 uomini delle due armate tedesche 1ª e 2ª ritenuti bastevoli alla bisogna (con le unità esuberanti è formata una 4ª armata) disseminati lungo un'enorme circonferenza, non avrebbero potuto sperare di tenere inchiodata una massa di 180.000 Francesi, se questi avessero cercato di sfondare in un punto la sottile linea di investimento. Si aggiunga che i corpi tedeschi per portarsi dal campo di battaglia di Gravelotte-Saint-Privat al loro posto lungo quella linea dovevano compiere pericolose marce di fianco e operare in parte il passaggio della Mosella, a pochi chilometri dai corpi francesi ammassati in posizione centrale. Il Bazaine telegrafa bensì all'imperatore il 19 agosto, che dopo essersi rifornito a Metz, tenterà di congiungersi per le piazze del nord al resto dell'esercito francese, ma in effetto farà soltanto un timido e vano tentativo una settimana dopo (26 agosto), senza assicurarsi gli elementi della sorpresa. Dopo di che, esposta la situazione in senso pessimistico ai comandanti di corpo d'armata, farà decidere da una specie di consiglio di guerra la permanenza definitiva di tutta l'armata nella piazza di Metz. Quando però giunge la notizia che l'armata del maresciallo Mac-Mahon marcia al soccorso di Metz, Bazaine sembra avere un pentimento e dà ordini per un nuovo tentativo di sortita (31 agosto) durante il quale si ripetono gli stessi errori di cinque giorni innanzi con lo stesso risultato. Si combatte fino a notte attorno a Noisseville, ma i Francesi non riescono ad aprirsi il varco, e i Tedeschi, fatti accorrere rinforzi nel punto minacciato, diventano gli aggressori e accendono nuovo combattimento il 1° settembre, lo stesso giorno in cui, a Sedan, le armate tedesche 3ª e 4ª mettono fuori di combattimento l'armata francese del Mac-Mahon.
Le operazioni fra la Marna e la Mosa fino alla battaglia di Sedan. - Fra il 17 e il 22 agosto erano giunte successivamente a Châlons frazioni disgregate dei corpi d'armata reduci dall'Alsazia. Nel frattempo si era iniziata a Châlons (località che offriva larghe possibilità di accasermamento di truppe, in quanto vi esisteva tutta l'organizzazione di un campo fisso di grandi esercitazioni estive) la formazione di un 12° corpo d'armata, costituito di riservisti e di una solidissima divisione di fanteria di marina. La numerazione di questo corpo d'armata lascia intendere ch'esso doveva essere quinto di una serie di grandi unità dello stesso tipo, dopo i 7 corpi attivi già mobilitati; ma in effetto, alla costituzione dei progettati corpi d'armata 8°, 9°, 10°, 11° non si poté addivenire, dato il precipitare degli eventi. Il mattino del 17 agosto giungono a Châlons per diverse vie, l'imperatore proveniente da Metz e il maresciallo Mac-Mahon reduce dall'Alsazia. Tenuto consiglio, l'imperatore risolve di costituire un'"armata di Châlons" coi corpi 1°, 5°, 7° e 12° (in tutto 140.000 uomini circa) affidandone il comando al Mac-Mahon, e di nominare il Bazaine comandante in capo di tutte le armate francesi. Circa l'impiego dell'armata di Châlons si risolve di arretrarla ancora in direzione di Parigi per difendere la capitale. Ma la reggente imperatrice Eugenia e il generale Ch. A. de Palikao ministro della Guerra, insorgono contro questa decisione, che a loro avviso significherebbe la rovina della dinastia, in quanto l'opinione pubblica in nessun modo giustificherebbe l'apparente abbandono del maresciallo Bazaine, in quel momento idolo della folla. Combattuto fra i proprî convincimenti (collimanti con quelli di Napoleone III) e le pressioni del governo, e privo di ordini e di notizie del generalissimo Bazaine, il Mac-Mahon sceglie, fra il nord-est e l'ovest, una direzione intermedia che per il momento nulla comprometta, dirigendosi a nord-ovest. Il 21 agosto il grosso dell'armata da Châlons è portato a Reims, dove il Mac-Mahon è ancora in grado sia di retrocedere verso Parigi, sia di avanzare verso la Mosella; e a Reims l'armata sosta il 22, per riprendere il 23 il movimento decisamente in direzione di Parigi. Ma, a tutto sconvolgere, giunge in questo stesso giorno il dispaccio sopra accennato redatto dal Bazaine il 19 e da lui affidato a mezzi di trasmissione di fortuna, e nel quale era espressa l'intenzione di lasciare Metz per dirigersi verso l'interno della Francia lungo le fortezze del nord. Allora l'armata di Châlons inverte la marcia per dirigersi alla Mosa incontro al Bazaine. Ma in luogo di prendere la via più breve nella direzione di Damvillers, avendosi notizia che il nemico avanza da sud e potrebbe cogliere sul fianco meridionale l'armata francese, Mac-Mahon preferisce un itinerario più lungo, ma più sicuro e incurva verso nord la propria linea di marcia. In tal modo i Francesi avranno anche il vantaggio di utilizzare, per un vettovagliamento divenuto sempre più difficile, la ferrovia Reims-Mézières. Nello stesso giorno 23 agosto il movimento è iniziato e a sera le avanguardie sono sulla Suippe; il 25 è raggiunto l'Aisne; il 26 l'armata accenna alla direzione dei ponti di Stenay sulla Mosa, che possono raggiungersi per due strade, ma in questo giorno il fianco destro francese è raggiunto dalla cavalleria esplorante del Moltke.
Alla 3ª armata tedesca, che non aveva partecipato alla battaglia attorno a Metz, si era unita una 4ª armata, costituita - come si è detto - con le unità ritenute non necessarie all'investimento della capitale lorenese (Guardia prussiana, 4° e 12° corpo) e al cui comando era stato assunto il principe ereditario di Sassonia, Alberto. Le due armate che il Moltke ha sottomano sommano complessivamente a circa 225.000 uomini. Il principe Federico Guglielmo aveva perduto, dopo le battaglie di Alsazia, il contatto con le truppe del Mac-Mahon. In formazione circospetta, e perciò serrata (circa 30 chilometri di fronte per l'intera armata) egli aveva proceduto fino alla Mosella, dove s'era arrestato durante le tre battaglie attorno a quella piazza, per riprendere il 19 agosto la marcia verso ovest, a sud della ferrovia Vitry-Nancy. Volendosi dal Moltke assicurare il mutuo appoggio fra la 3ª armata e la 4ª di nuova formazione, al principe ereditario è dato ordine di rallentare l'avanzata. Il 24 agosto egli è sulla linea Bar-le-Duc-Vassy, mentre la 4ª armata sta passando la Mosa per procedere poi, anch'essa verso ovest, nel tratto fra la ferrovia Vitry-Nancy e la ferrovia Châlons-Verdun. Lo stesso giorno 24 agosto, punte di cavalleria del principe Federico Guglielmo apprendono a Châlons il recente sgombro dell'armata del Mac-Mahon e il suo trasferimento a Reims. La direttrice generale di marcia delle due armate tedesche 3ª e 4ª è leggermente spostata verso nord-ovest in modo da far convergere tutte le forze nel tratto Châlons-Reims, mentre la cavalleria della 4ª armata viene impiegata alla scoperta lungo il fascio di strade settentrionali adducente alla Mosa nel tratto Dun-Stenay. Il Moltke propende tuttora a credere che l'armata del Mac-Mahon si proponga di coprire Parigi; ma nella notte sul 26 agosto, le notizie della cavalleria esplorante, avvalorate da inopportune discussioni sulla stampa francese, che sembra dimenticare la riservatezza imposta dalla delicata situazione. inducono il comandante supremo tedesco nel convincimento che il Mac-Mahon tenti guadagnare Metz per le strade a nord delle Argonne. Il Moltke ordina allora un'immediata conversione verso nord delle due armate 3ª e 4ª, allo scopo di cogliere sul fianco l'armata nemica. Ma poiché il Moltke presta al nemico l'intenzione logica di affrettare la marcia, egli non si ritiene sicuro di giungere ad attaccarlo prima del passaggio della Mosa; al massimo potrà attaccarlo durante il passaggio, ma più probabilmente solo a oriente del fiume, nel qual caso egli chiamerà a concorrere alla battaglia truppe sottratte all'investimento di Metz. Soltanto quando la sua cavalleria avrà constatato l'estrema lentezza del Mac-Mahon (e noi sappiamo come la politica avesse contribuito a determinare una paralisi dei movimenti) il Moltke riterrà possibile di cogliere l'avversario prima del passaggio della Mosa.
Il giorno 30 agosto, mentre l'armata di Châlons si divide in due colonne dirette ai ponti di Remilly e di Mouzon, sui quali dovrà passare la Mosa, il 5° corpo francese (De Failly) già stanco per una marcia notturna in terreno disagevole, fermatosi a bivaccare attorno a Beaumont senza preoccuparsi dell'insidia rappresentata dalle prossime boscaglie del Dieulet, è attaccato da corpi della 4ª armata tedesca, che escono appunto dal bosco, di sorpresa. L'attacco è stato voluto dal Moltke ed è perciò preordinato; la 3ª armata deve contemporaneamente attaccare (prolungando a sinistra la linea della 4ª armata) in direzione di Le-Chesne. Il De Failly riesce a frenare il panico prodotto dalla prima sorpresa, ma dopo avere bravamente lottato per alcune ore, vivamente premuto di fronte e minacciato sui fianchi, deve ripiegare verso nord; né gli riesce di impedire l'occupazione del ponte di Mouzon da parte nemica. Gli altri corpi francesi affrettano la marcia alla Mosa, ma la perdita del passaggio di Mouzon produce congestione ai ponti più a nord e conseguente confusione. Nella giornata del 31 agosto il grosso dell'armata francese è sulla destra del fiume, ma le sue condizioni sono tali che il Mac-Mahon (che non ha notizie del Bazaine) non ritiene di poter proseguire verso Metz e ritorna al suo piano prediletto di ripiegare su Parigi in condizioni gravemente peggiorate; sceglierà la via di Mézières. Ritiene ancora tale piano di possibile esecuzione perché ignora che i Tedeschi sono ormai concentrati in grandi forze a brevissima distanza. La situazione francese sarà ancora aggravata - di fronte all'attacco tedesco del 1° settembre - per la mancanza di ordini chiari da parte del comandante l'armata di Châlons.
Il Moltke, sul punto di concludere la manovra strategica con l'atto tattico, disegna per il 1° settembre di attaccare il Mac-Mahon per le due rive della Mosa, in modo da sbarrargli la via così verso est (con la 4ª armata) come verso ovest (con la 3ª armata) e da sospingerlo a nord, dove a pochi chilometri è il confine del Belgio neutrale, ossia la fine irreparabile e ingloriosa. Le due potenti ali manterranno il contatto a sud di Sedan, e quivi sarà la cerniera della tanaglia, che andrà chiudendosi in modo da soffocare fra le sue morse l'armata nemica, se questa non riuscirà ad aprirsi un varco. Il tempo essendo, in simili circostanze, prezioso elemento di successo, i Tedeschi compiono marce di avvicinamento durante tutta la notte sul 1° settembre e all'alba sono pronti all'offensiva tattica.
La battaglia di Sedan (v.), si accende dapprima attorno a Bazeilles, villaggio situato presso la Mosa, alcune migliaia di metri a sud-est del corpo centrale della piccola fortezza. Per i Francesi è un succedersi di gravi disavventure che peggiorano una situazione già estremamente difficile. Nelle prime ore del mattino, il Mac-Mahon, ferito durante una ricognizione, si ritira dalla lotta; il comandante supremo designa a succedergli il generale A. Ducrot, ma quando questi ha emanato gli ordini per una pronta ritirata verso ovest, il generale E.-F. Wimpffen (giunto all'armata il giorno innanzi) mostra una lettera del governo secondo la quale egli viene investito del supremo comando dell'armata di Châlons se, per una causa qualsiasi, venga a mancare il comando del maresciallo Mac-Mahon. Il Wimpffen contromanda gli ordini dati dal Ducrot. Così sballottata e ammassata in breve spazio, l'armata francese è facile bersaglio dell'artiglieria nemica, che a poco a poco, con regolarità meccanica si distende a cerchio - insieme con le fanterie - tutto attorno alle posizioni occupate dai Francesi. Nulla può impedire il saldarsi dell'anello di ferro e di fuoco, neppure i più eroici contrattacchi, neppure il leggendario sacrificio delle masse di cavalleria di J.-A. Margueritte e del Bonnemains. Colpito da un collasso morale, l'imperatore che aveva ormai coscienza della disperata situazione dell'intera armata, rientra a Sedan e ordina al Wimpffen di alzare su gli spalti la bandiera bianca. Sono circa le ore 16. Il generalissimo ritiene ancora possibile il supremo tentativo d'irrompere attraverso le linee nemiche verso sud, e perciò dichiara di non poter obbedire all'ordine di arrendersi e offre all'imperatore le sue dimissioni. Il disaccordo fra i maggiori capi si manifesta anche nell'ora del tragico epilogo. Ma l'imperatore ordina al Wimpffen di rimanere al suo posto e di trattare per la resa; e questi alfine cede. L'intera armata di Châlons, che ancora dopo la battaglia conta più di centomila uomini illesi, si arrende con armi e bagagli al re di Prussia. Napoleone III è trattenuto prigioniero e due giorni dopo (4 settembre) il secondo impero napoleonico cessa di esistere.
Dal disastro si salvano alcune migliaia di fuggiaschi e il 13° corpo d'armata, di recentissima costituzione. che il governo della reggenza aveva inviato a fine agosto in rinforzo all'armata di Châlons e che il giorno di Sedan era giunto a una tappa dalle posizioni occupate dall'armata del Mac-Mahon. Vista la piega degli eventi, J. Vinoy, comandante di quel corpo d'armata si era affrettatamente messo in salvo verso Parigi ed era riuscito appena a tempo a sfuggire all'inseguimento tedesco.
Dopo Sedan, i Tedeschi delle armate 3ª e 4ª riprendono la marcia verso Parigi, dove suppongono sia più facile dettare una pronta pace dopo eliminato di Napoleone III. Il 15 settembre le teste delle colonne tedesche sono sulla linea Meaux-Villers-Cotterets-Château-Thierry-Reims-Épernay, ossia con la sinistra notevolmente più avanzata della destra. Due giorni dopo i Tedeschi sono in vista di Parigi e iniziano le marce di fianco lungo la linea delle fortificazioni della capitale, per chiudere l'anello dell'investimento. Data la vastità della linea da occupare per stabilire il blocco effettivo, le forze tedesche incaricate dell'operazione sono teoricamente insufficienti; ma le ridottissime possibilità del nemico - spirituali e materiali - giustificano ogni audacia. Infatti un tentativo fatto dai Francesi il 19 settembre (combattimento di Châtillon) per sconvolgere il piano del nemico attaccandolo sul fianco, fallisce pietosamente. Il 20 settembre le truppe tedesche che si sono distese per il nord di Parigi dànno la mano a Bougival a quelle che giungono da sud per Versailles.
Il governo della difesa nazionale, capeggiato dal generale L.-J. Trochu - dopo avere chiesto un armistizio che le dure condizioni del Bismarck rendono impossibile - improvvisa nuove forze; ma erra non trasferendo altrove la propria sede, limitandosi, dinnanzi alla certezza dell'imminente investimento, a costituire una delegazione del governo a Tours per l'amministrazione delle provincie. Concetto poco organico e che male risponderà alle esigenze della situazione, che richiede unità di criterî e di sforzi.
La capitolazione di Metz. - Delle forze regolari dell'impero, rimaneva - non ancora debellata, ma accerchiata in Metz - l'armata del Bazaine. Dopo gli accennati deboli tentativi che il maresciallo aveva ordinato alla fine di agosto per aprirsi un varco verso nord, non furono compiuti altri attacchi di qualche importanza. Quando a metà settembre giunsero a Metz, con spiegabile ritardo, le prime notizie degli avvenimenti di Parigi, il Bazaine - sempre desideroso di rappresentare una parte politica di rilievo - volle mettersi in relazione tanto con l'imperatrice Eugenia rifugiata in Inghilterra, quanto col re di Prussia a Versailles, per suoi oscuri e personali progetti, dimentico che era suo dovere di soldato di proseguire validi tentativi di sortita. Il maresciallo si limitò invece, nel campo delle operazioni militari, ad autorizzare i corpi d'armata a parziali atti bellici, miranti al rifornimento di viveri. I combattimenti di Lauvallier (22 settembre), di Ladonchamps (27 settembre), di Lessy (i ottobre), di Bellevue (7 ottobre) non ebbero altro scopo. Durante il mese di ottobre peggiorarono le condizioni sanitarie delle truppe accampate all'aperto sotto piogge torrenziali, e cominciarono a scarseggiare i viveri. Il razionamento dell'esercito e della popolazione non poté che prolungare la vita per qualche giorno. Il 27 ottobre fra il capo di Stato maggiore dell'armata del Reno, gen. H.-L. Jarras, e il capo di stato maggiore del principe Federico Carlo, gen. G. v. Stiehle, venivano parafate le clausole della capitolazione, comportanti la resa della piazzaforte, delle truppe mobili (173.000 uomini, di cui 20.000 ammalati, con 53 bandiere, 1700 cannoni da campo, forniti di oltre 3 milioni di colpi, 280.000 fucili forniti di 23 milioni di cartucce). Per l'indecorosa capitolazione, il Bazaine (v.) sarà sottoposto a giudizio conclusosi con la condanna alla pena di morte. La grave conseguenza strategica della capitolazione di Metz sarà la piena disponibilità delle forze tedesche per operazioni in campo aperto su territorio francese, proprio mentre verranno quasi totalmente a mancare le forze organizzate dell'esercito imperiale, ormai tutto prigioniero in Germania, insieme con l'imperatore.
La difesa e la capitolazione di Parigi. - Il duro compito del governo repubblicano è doppio; in primo luogo organizzare nella capitale forze capaci di resistere agli atti offensivi dell'assediante e successivamente rompere con azioni offensive la linea tedesca d'investimento; in secondo luogo creare in tutto il territorio della Francia nuovi eserciti per operazioni in campo aperto e per attacchi, dall'esterno, alla linea d'investimento di Parigi. Lo sforzo compiuto dai Francesi è sicuro indice d'un alto senso di patriottismo; ma l'impari lotta, se può grandemente interessare il politico e lo psicologo, perde molto del suo interesse dal punto di vista strategico e tattico. Nelle operazioni dell'assedio e difesa di Parigi, vi è un primo periodo, che dura dalla fine di settembre a tutto ottobre, in cui i due avversarî sono occupati, gli uni a stabilire con lavori in terra la linea di investimento, gli altri a dar vita agli organismi destinati ai progettati tentativi di sortita. È questo il tempo in cui dura tuttora l'investimento di Metz, il che consente anche una sufficientemente tranquilla organizzazione delle armate francesi di provincia, cui si accenna più innanzi. In un secondo periodo che dura fino al termine dell'anno, si susseguono - infruttuosamente - i tentativi francesi d'infrangere il blocco tedesco attorno a Parigi. Questi tentativi dànno luogo a sanguinosi combattimenti; più importanti quello di Villiers-Cœuilly (30 novembre), Champigny-Bry (2 dicembre), Le Bourget e Ville-Evrard (21 dicembre).
In un terzo periodo, il comando supremo tedesco, mentre persegue le armate improvvisate della repubblica che si battono per l'onore nazionale, imprime nuovo vigore alle operazioni di assedio, iniziando il bombardamento della cittމ; e questo periodo va dai primi di gennaio all'armistizio (chiesto da J. Favre il 23 gennaio e concluso il 28). Prima della resa - e quantunque i capi militari non si facessero illusioni sul risultato - si era voluto tentare un'ultima prova delle armi attuando il 19 gennaio un attacco in direzione di Versailles, dove risiedeva il comando supremo tedesco e dove il giorno innanzi il vittorioso re di Prussia era stato proclamato imperatore di Germania. Dopo conquistate di primo slancio alcune posizioni tedesche fra Montretout e Saint-Cloud, i fanti francesi - a causa soprattutto del ritardo di alcune colonne e dell'inferioritމ d'artiglieria - erano stati nettamente arrestati; la ritirata generale, che il Trochu aveva ordinato a sera, si era mutata in scompigliata fuga. La resa di Parigi fu accettata dai Tedeschi a condizione che tutte le forze armate della capitale fossero disarmate (meno pochi reparti per mantenere l'ordine pubblico) e considerate prigioniere; che i forti fossero occupati dai Tedeschi e fossero loro cedute tutte le armi e le munizioni. Mentre Parigi si difendeva, nelle provincie continuava la lotta in campo aperto.
Le armate improvvisate in provincia. - La delegazione del governo stabilita a Tours (della quale si mise a capo il 10 ottobre L. Gambetta, uscito in pallone da Parigi) si diede energicamente all'opera per levare uomini in tutta la Francia, addestrarli almeno sommariamente, provvederli di anni, comporne unità organiche piccole e grandi, costituire gli Stati maggiori dei comandi, scegliere capi idonei. Apposite leggi fecero affluire alle bandiere: guardie nazionali mobili, reclute della classe del 1850, tutti i celibi dai 25 ai 35 anni e poi tutti gli uomini validi, senza alcuna esenzione, dai 20 ai 40 anni. Si richiamarono dalle colonie dell'Africa settentrionale altre truppe, oltre quelle mobilitate al principio della campagna.
Armata della Loira. - Si mette insieme, alla meglio, una prima armata detta "della Loira", cui si affida la missione di coprire Orléans. Ma le prime prove non sono fortunate e l'11 ottobre forze tedesche (circa 2 corpi d'armata) distaccate dal blocco di Parigi, battute le truppe avanzate della difesa ad Artenay, entrano in Orléans. Dopo una sosta per meglio agguerrire le truppe, l'armata della Loira prende la controffensiva col disegno di liberare Orléans mediante una grande manovra avvolgente. L.-J.-B. D'Aurelle des Paladines comandante dell'armata non ha fiducia nel successo e deve intervenire la delegazione di Tours per spingerlo all'attacco. Finalmente l'8 novembre l'armata avanza. I Tedeschi sgombrano Orléans per attaccare l'ala sinistra francese, ma la preponderanza delle forze francesi obbliga i Tedeschi, dopo una dura battaglia il 9 novembre (Coulmiers), a ripiegare verso nord. I vincitori non inseguono e si limitano a rioccupare Orléans, il D'Aurelle non ritenendosi in grado di proseguire l'offensiva. L'intervento di Gambetta non riesce a smuoverlo e i Francesi perdono l'occasione di attaccare da sud la linea d'investimento di Parigi prima che giungano le armate tedesche rese libere dalla capitolazione di Metz. Quando il 22 novembre le prime truppe del principe Federico Carlo giungono a Pithivier e Montargis, la delegazione di Tours ordina perentoriamente al D'Aurelle di prendere l'offensiva. Intanto le truppe tedesche sopraggiunte si collegano con quelle già operanti nella zona a nord di Orléans e tutte insieme formano un grande arco, concavo verso sud, con gli estremi a Châteaudun e Montargis. L'attacco francese si svolge in direzione di Beaune-la-Rolande, e i Tedeschi si tengono dapprima sulle difese, finché l'ala minacciata non possa ricevere rinforzi (28 novembre). Questi giunti, i Francesi sono contrattaccati sul fianco e costretti a ripiegare. La manovra francese, la quale tendeva a Fontainebleau, è stroncata; ma la delegazione di Tours vuol ritentare l'offensiva con la sinistra - non ancora impegnata - dell'armata della Loira. Anche qui, dopo qualche successo iniziale, i Francesi sono respinti in disordine (Loigny-Poupry, 2 dicembre). Il generale francese raccoglie allora le sue truppe alla difesa di Orléans, e anche questo movimento è contrastato dal nemico. Il panico coglie alcuni reparti francesi. Nella notte sul 5 dicembre i Tedeschi rientrano in Orléans, prima che i Francesi abbiano fatto saltare i ponti sulla Loira. Al D'Aurelle viene tolto - con provvedimento evidentemente tardivo - il comando. Le forze francesi fin'allora operanti nella regione vengono suddivise in due armate, denominate 1ª e 2ª armata della Loira, la prima delle quali, al comando di Ch. Bourbaki (v.) sarà impiegata a suo tempo (e cioè appena pronta) contro le linee di operazione tedesche e diverrà (per disposizione della delegazione del governo, trasferitasi nel frattempo da Tours a Bordeaux) l'armata dell'est. Nella regione a sud di Parigi, la 2ª armata della Loira al comando del gen. A. Chanzy (v.) porrà ogni sua energia a compiere una lenta ritirata, rimanendo per quanto sia possibile in grado di assecondare, con un attacco contro la linea di investimento, ogni tentativo di sortita da Parigi. Questa ritirata si compirà da prima sulla foresta di Marchenoir e durante la sosta in quella regione avverrà una serie di combattimenti presso Josnes (7-10 dicembre). La ritirata sarà ripresa l'11 dicembre e in tre giorni sarà raggiunta la linea del Loir, dove i Francesi saranno vivamente attaccati il 15 dicembre (battaglia di Vendôme), sicché la notte successiva sarà ripresa la marcia retrograda verso occidente, fra gravi sofferenze dovute al rigido e nevoso inverno e all'insufficienza dei rifornimenti. Le truppe rimaste alla mano dei capi si raccoglieranno attorno al campo trincerato di Le Mans. In questo scorcio di dicembre lo Chanzy spera sempre che la 1ª armata della Loira possa concorrere alle operazioni, della 2ª; ma a fine d'anno apprende ehe il Bourbaki si allontana verso l'est. Questa notizia è aggravata dall'annuncio di una sconfitta toccata alle truppe della difesa nazionale che operano a nord di Parigi. Non è difficile prevedere che i Tedeschi accresceranno il peso dell'offensiva contro lo Chanzy. Infatti le colonne mobili che Chanzy ha inviato verso est, con scopo di copertura e di esplorazione prendono contatto con le avanguardie nemiche e sono da queste costrette a retrocedere.
L'11 gennaio 1871 la 2ª armata della Loira è attaccata a Le Mans da tre corpi d'armata tedeschi (III, IX, X) rafforzati da numerosa cavalleria. I difensori contrattaccano in più punti bravamente; ma la lotta, proseguita dai Tedeschi nell'oscurità, si risolve con la peggio dei Francesi. Per il mattino del 12 Chanzy ordina la ripresa dell'offensiva; ma le truppe non sono, fisicamente e moralmente, in grado di eseguirla. Non resta che rassegnarsi alla ritirata sulla riva occidentale della Sarthe. Di qui il comandante della 2ª armata della Loira vorrebbe dirigersi verso nord per accostarsi a Parigi; ma la delegazione di Bordeaux disapprova quella rischiosa marcia di fianco con truppe poco disciplinate a breve distanza da un'armata nemica vittoriosa, e lo Chanzy dirige allora la ritirata verso ovest (Mayenne). Rinvigorite le truppe e rinforzato di un nuovo corpo d'armata, Chanzy si appresta ad avanzare in direzione di Parigi, quando ha notizia del concluso armistizio di Versailles (28 gennaio).
Armata del nord. - Dopo aver provveduto in ottobre alla prima costituzione dell'armata della Loira, la delegazione di Tours aveva disposto che altre forze si raccogliessero al coperto delle piazze settentrionali della Francia, e costituissero grandi unità di guerra, progressivamente, a seconda delle possibilità. In un primo tempo il comando delle truppe del nord fu affidato al Bourbaki, il quale - reduce dall'accennata missione compiuta a Londra presso l'ex-imperatrice Eugenia per incarico del Bazaine - non aveva potuto rientrare in Metz assediata. A metà novembre. il Bourbaki dispone soltanto di tre brigate di fanteria e di un numero insignificante di cavalli. Con queste esigue forze egli non si sente di poter compiere una puntata a tergo della linea tedesca che blocca Parigi, come la delegazione di Tours vorrebbe. Viene perciò sostituito con L. Faidherbe e destinato al comando della 1ª armata della Loira, come si è accennato. Contro le truppe del nord, Moltke invia la 1ª armata tedesca resa libera dalla capitolazione di Metz. E. Manteuffel che la comanda, supponendo logicamente che i Francesi tendano a raccogliere le loro forze ad Amiens, si dirige a quella volta, con largo schieramento iniziale che poi restringe a poco a poco. Lo scontro avviene il 27 novembre presso Amiens, fra l'Avre e la Somme. Durante la giornata e nella notte successiva - in parte per la pressione del nemico, in parte spontaneamente - i Francesi hanno ripiegato alla linea della Scarpe. I Tedeschi occupano lo stesso giorno la città di Amiens e due giorni dopo la cittadella. Il Manteuffel muove allora contro una frazione francese (gen. Briand) rimasta isolata nella regione di Rouen e il 4 dicembre la sconfigge a Buchy. Tale la situazione quando il comando dell'armata francese del nord passa al gen. Faidherbe, giunto dall'Algeria. Questi riprende l'offensiva e minaccia così seriamente Amiens da consigliare il generale tedesco che comanda la piazza a ritirarsi il 16 dicembre; ma due giorni dopo i Tedeschi rientrano in Amiens, e il 23 dicembre Manteuffel attacca nuovamente i Francesi in posizione lungo l'Hallue. I. a battaglia rimane indecisa, ma il Faidherbe non crede le sue truppe in grado di resistere a un nuovo attacco prevedibile per il domani, e ordina la ritirata nuovamente dietro la Scarpe, fra Arras e Douai. Al principio del 1871 il Faidherbe avanza ancora verso la Somme per liberare la piazza di Péronne, ma senza riuscirvi. Un ultimo tentativo di offensiva francese è stroncato il 19 gennaio a S. Quintino. Le truppe del Faidherbe sono stanche, ma la demoralizzazione dà loro la forza di compiere, senza soste, 40 chilometri in ritirata; e la sera del 20 gennaio sono al riparo delle fortezze dell'Escaut e della Scarpe.
Armata dell'est. - Il primo embrione della resistenza nell'est della Francia era stato costituito con 10.000 soldati improvvisati, messi insieme dal generale A. Cambriels, sfuggito alla prigionia dopo Sedan. Finché era durata la resistenza di Metz, il corpo tedesco del Werder si era mantenuto in limitata attività; ma alla fine di ottobre, ricevuti da Moltke rinforzi e l'ordine di disperdere le formazioni francesi, occupa Digione come punto d'irradiazione. L'armata franase dell'est (o dei Vosgi) passa al comando del Crouzat, mentre a Beaune si forma un altro nucleo con uomini di diverse provenienze, comandato da C. Cremer, e ad Autun si concentrano i garibaldini sotto la guida dello stesso Garibaldi. Prima che serie operazioni comincino in questa regione, Gambetta chiama il Crouzat a operare a sud di Parigi con l'armata della Loira, sicché restano contro il Werder soltanto Cremer e Garibaldi. Alla fine di novembre l'eroe dei Mille, insofferente d'inazione (anche i Tedeschi rimanevano sulla difensiva) decide di attaccare Digione. Vittorioso a Pasques, ma vivamente contrastato a Talant, ripiega ad Autun. La brigata tedesca Kettler lo attacca a sua volta, ma è costretta dai garibaldini a ripiegare in fretta su Digione e Garibaldi si mantiene ad Autun. Il tentativo, rinnovato da Cremer, fallisce il 18 dicembre e il corpo francese si ritira a Beaune. In questo momento Gambetta ha deciso l'invio della 1ª armata della Loira nell'est della Francia. Il movimento, che doveva effettuarsi il più rapidamente possibile per ferrovia, s'inizia il 20 dicembre. Il corpo di Garibaldi (valutato a 30.000 uomini) coprirà fra Digione e Langres, la zona di raccolta dei corpi d'armata sopraggiungenti, i quali porteranno il totale delle forze a disposizione del gen. Bourbaki a quasi 150.000 uomini, coi quali dovrà operare in aiuto di Belfort. I ritardi dovuti allo scarso rendimento ferroviario, privano i Francesi del vantaggio della sorpresa. Il 9 gennaio s'inizia il combattimento a Villersexel, continuato nella notte, senza che riesca ai Tedeschi sloggiarne i Francesi. Il Werder si ritira in posizione difensiva sulla Lisaine per coprire Belfort, e il Bourbaki decide di attaccarlo. Si eombatte sulla Lisaine con alterna vicenda i giorni 15, 16 e 17 gennaio; ma alla sera della terza giornata, il Bourbaki, saputo che l'avversario sta per ricevere grossi rinforzi, ordina la ritirata, che viene eseguita in disordine e non si arresta che a Besançon, dove il freddo e la fame immobilizzano i Francesi non più combattivi, sicché il nemico riesce ad accerchiarveli. La situazione dell'armata dell'est diviene disperata e il Bourbaki tenta di uccidersi. Il 26 gennaio è sostituito nel comando dal generale Clinchant. Da Digione, che aveva nel frattempo occupata, Garibaldi aveva attaccato i Tedeschi del Kettler e li aveva battuti (21-23 gennaio), ricevendone le felicitazioni di Gambetta. Ma il Clinchant non riesce a sfuggire all'accerchiamento che sconfinando con 90.000 uomini in Svizzera dove cede le armi. I Tedeschi catturano 15.000 Francesi prima che passino il confine. L'armata dell'est ha finito di esistere.
La conclusione della guerra. - Il 28 gennaio del 1871 era stato concluso a Versailles un armistizio fra gli alleati germanici e i rappresentanti della Francia; armistizio che doveva durare sino al 19 febbraio, per dar tempo di procedere alle elezioni per l'Assemblea nazionale, la quale a sua volta doveva decidere sulla stipulazione della pace, ma dal quale rimaneva escluso lo scacchiere sud-orientale, in cui si svolgeva l'ultima fase della guerra fra le contrapposte forze dei generali Bourbaki e Manteuffel. Delineatasi l'impossibilità di un successo francese, anche parziale, su quello scacchiere, e dimessosi l'intransigente Gambetta (6 febbraio), l'armistizio venne esteso a tutta la Francia (15 febbraio) e successivamente rinnovato; mentre il 21 s'iniziavano a Versailles i negoziati per un trattato di pace preliminare, che fu sottoscritto, dopo vivaci discussioni, il giorno 26. Il 1° marzo l'Assemblea Nazionale ratificò quel trattato "cedendo alla necessità e respingendo la responsabilità per esso", e dichiarando Napoleone III responsabile della rovina, dell'invasione e dello smembramento della Francia, e il 3 marzo le truppe germaniche sgomberarono Parigi. I negoziati per la pace definitiva furono condotti a Bruxelles, ma la tattica dei delegati francesi, e specie la rivolta del 28 marzo, cui seguì la proclamazione della Comune a Parigi, portarono alla sospensione di essi. Impaziente, Bismarck ottenne di trasferire la sede dei negoziati a Francoforte sul Meno e riuscì quivi a condurli a termine (10 maggio 1871). Il trattato di Francoforte confermava, nella sostanza, l'accordo preliminare di Versailles, imponendo alla Francia, oltre alla cessione dell'Alsazia e della Lorena, il pagamento di una indennità di guerra di cinque miliardi di franchi oro, e regolandone i particolari (voto popolare degli Alsaziani e dei Lorenesi, occupazione militare di sei dipartimenti della Francia sino alla liquidazione dell'indennità; ripresa dei rapporti commerciali fra i due stati sulla base del principio della nazione più favorita).
Forze mobilitate e perdite dei belligeranti. - Francesi. - La Francia mise in campo circa 2 milioni di uomini, dei quali 650.000 furono mobilitati dall'Impero, 350.000 per la difesa di Parigi (guardie nazionali) e 1 milione per la costituzione delle armate repubblicane delle provincie. Alla firma dell'armistizio erano ancora disponibili 880.000 uomini, dei quali 530.000 con le armate operanti e 350.000 nei depositi e nei campi d'istruzione. I Francesi ebbero 140.000 morti sul campo o in seguito a ferite e 725.000 prigionieri; 140.000 feriti sopravvissuti e 200.000 casi di congelazione durante la campagna invernale. Perdettero 107 bandiere, 7500 bocche da fuoco da campagna e d'assedio, 855.000 fucili e moschetti, 12.000 cassoni e furgoni del treno.
Tedeschi. - La Germania mobilitò 1 milione e mezzo di uomini, dei quali 1.150.000 varcarono il confine francese e 350.000 rimasero a costituire riserve in patria. All'armistizio erano in Francia 937.000 uomini, dei quali 670.000 alle armate operanti. Perdite: 47.000 uomini morti sul campo o in seguito a ferite e 13.000 prigionieri; 80.000 feriti sopravvissuti. Lasciarono nelle mani del nemico 1 bandiera e 6 cannoni.
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Per la parte relativa alle operazioni di guerra (limitatamente alle opere che trattano della guerra in generale, ed hanno altresì un qualche valore documentario). E. Palat, La stratégie de Moltke en 1870, Parigi 1907; C. Albani, Geschichte des deutsch-französischen Krieges in den Jahren 1870 und 1871, Teschen 1870-1871; W. Rüstow, Der Krieg um die Rheingrenze 1870, politisch und militärisch dargestell, Zurigo 1870-1871; id., Der Krieg von 1870-1871 zwischen Deutschland und Frankreich, Francoforte 1872; id., La guerre Franco-Allemande illustrèe en 1870-1871, Stoccarda 1871; id., la Guerre et la Commune: 1870-1871. Dessins par les principaux artistes. Texte par A. Darlet, Parigi 1871; J. Claratie, La guerre nationale, Parigi 1871; M. v. Eelking, Der Krieg zwischen Deutschland und Frankreich 1870-71, Lipsia 1871; L. Favre, Histoire de la guerre de la France et de l'Allemagne en 1870-1871, Niort 1871; F. Oggioni, La guerra del 1870-71. Prussia e Francia. Notizie storiche dalle origini alla pace, Milano 1871; C. Albert, Deutschlands Krieg gegen Frankreich, 1870, Dresda 1872; A. Borbstädt, Der deutsch-französische Krieg 1870 bis zur Katastrophe von Sedan und der Kapitulation von Strassburg, Berlino 1872; id., Der deutsch-französische Krieg, a cura della sezione storica dello stato maggiore generale tedesco, Berlino 1872-1881; J. Ambert, Histoire de la guerre de 1870-71, Parigi 1873; A. La Faure, Histoire de la guerre franco-allemande (1870-1871), Parigi 1874; C. Farey, Histoire de la guerre de 1870-1871, Parigi 1872; F. Lecomte, Relation historique et critique de la guerre franco-allemande en 1870-1871, Parigi 1872-1874; É. De La Bédollière, Histoire de la guerre 1870-71, Parigi 1878; F. Bonnet, Guerre franco-allemande de 1870-71, Parigi 1883-1886; V. Derrécagaix, Histoire de la guerre de 1870-1871 (Cours de l'École de guerre), Parigi 1887; H. v. Moltke, Geschichte des deutsch-französichen Krieg von 1870-1871, Berlino 1891; A. Chuquet, La guerre 1870-1871, Parigi 1895; J. Scheibert, Der Krieg zwischen Frankreich und Deutschland in den Jahren 1870-1871, Berlino 1895; C. Rousset, Hist. gén. de la guerre franco-allemande, 1870-1871, Parigi 1896; J. Bourelly, La guerre de 1870-71 et le traité de Francfort, Parigi 1912; P. Baranger, Guerre de 1870-71. Étude raisonnée, Parigi 1913; P. Lehautcourt, Hist. de la guerre 1870-71, Parigi 1901-07.