RAPOLLA, Francesco
RAPOLLA, Francesco. – Nacque ad Atripalda il 3 giugno 1701 da Angiolo e da Maria Buccarelli.
Poco si sa della sua famiglia, ma è probabile godesse di agiate condizione poiché, riscontrate nel piccolo Francesco non comuni doti di apprendimento, lo trasferì a Napoli all’età di appena dieci anni per approfondire gli studi. Ebbe come maestri Agostino Ariani per la filosofia e Pietrantonio de Turris per i primi elementi di giurisprudenza. Avviatosi all’attività forense sotto la guida di Matteo Ferrante e Domenico Caravita, ebbe modo di frequentare gli ambienti dell’élite culturale napoletana e in particolare i circoli di Gaetano Argento e di Muzio de Majo, dove dominava la figura di Pietro Giannone. Il contatto con questo mondo gli fece presto scoprire la vocazione per la scienza, mentre a poco a poco scemava l’interesse per l’attività forense. Nel 1723, ad appena 22 anni, riuscì a ottenere la cattedra di istituzioni canoniche. Rapolla accettò il gravoso compito di pronunciare l’orazione funebre di Alessandro Riccardi, uomo che «fu […] fino alla sua scomparsa (28 marzo 1726) dell’anticurialismo napoletano la punta più avanzata» (Ajello, 1977, p. 162): fu un atto di coraggio attraverso il quale Rapolla si schierò pubblicamente con il partito giannoniano. In quello stesso anno pubblicò a Napoli quella che resterà la sua principale opera De jurisconsulto, sive de ratione discendi interpretandique juris civilis libri II (una seconda edizione seguì nel 1766).
Questa «dotta operetta» (Giustiniani, 1788, p. 93) fu dedicata al cardinale Federico di Althann, viceré di Napoli, e testimonia tutto l’entusiasmo del giovane giurista nei confronti della giurisprudenza, intesa alla maniera di Ulpiano come arte del giusto e dell’ingiusto. L’opera consta di due libri «quibus jurisconsulti munus quale esse debet, cupidae legum juventuti praemonstratem, et simul quaenam esse ratio, quanta via, quibus ad constitutum finem consequendum perveniantur» (p. 9). Essa era dunque diretta alla formazione dei giuristi perché potessero conoscere e interpretare in maniera corretta il diritto, districandosi «in tanta scriptorum turba». Secondo Rapolla il diritto era composto di regole che poggiavano su principi razionali e universali di impronta giusnaturalistica, di regole mutevoli legate all’utilità e infine di regole intermedie di dubbia razionalità. Tale prospettiva, che collega Rapolla a Ugo Grozio, Gian Vincenzo Gravina e a Jean Domat, passa attraverso l’idea che la conoscenza delle vere leggi romane è indispensabile per la formazione del giurista perché consente di acquisire i principi di diritto e di equità naturale indispensabili per comprendere e interpretare anche lo Ius Regni: «Post cognitionem vero romani juris addiscendum est et jus municipale, cujus studium facillimum erit, et brevi tempore potest absolvi, ubi jus romano rem recte noscatur, ex hoc enim uberrimo justitiae, equitatisque fonte illud emanavit» (p. 85).
E infatti il primo libro espone come acquisire correttamente la cognizione delle leggi romane e individuare «certa principia et regulae», richiamandosi alla scuola culta e ai suoi principali esponenti da François Hotman a Ugo Donello a Giacomo Cuiacio: ma il prevalente punto di riferimento di Rapolla è Ugo Grozio il cui De iure belli ac pacis veniva citato in tutta l’opera. Il secondo libro «pertinet ad rationem juris interpretandi», ovvero si sofferma sull’interpretatio, il cuore dell’attività del giurista, esaminandone a fondo tutti gli aspetti. Essa consiste «aut in interpretazione verborum legis, aut in interpretatione sententiae» (p. 93). L’interpretazione di queste ultime è non meno importante dell’interpretazione della legge: pertanto «necessarium certas regulas constituere, quibus verba legum intelligantur, quan quibus intelligantur sententia» (ibid.). L’interpretazione della legge per Rapolla si basa su due regole: «Et primo, verba legum accipienda sunt magis secundum significationem recepta in jure quam ex communi usu» (p. 132). All’interpretazione letterale deve accompagnarsi l’interpretazione storica effettuata «ex usu eorum temporum», ossia tenendo conto dei diversi significati dei termini nei diversi contesti storici. Ma in caso di oscurità o ambiguità della legge è necessario ricorrere alla ratio legis: «Praecipuus modus, quo praeter legum verba aliud sensisse legumlatores percipimus, est ratio legis, quae et causa finalis, et impulsiva non male a quibusdam dicitur» (p. 138).
Il De jurisconsulto (che ebbe una traduzione in tedesco a cura di L.F. Griesinger, Stuttgart 1792) venne ben accolto anche negli ambienti governativi e spalancò a Rapolla le porte della carriera universitaria: Celestino Galiani lo chiamò nel 1734 alla cattedra di istituzioni civili; quindi decise di affidargli la cattedra di Ius Regni, istituita nel 1735. Il clima di grande rinnovamento che investì il Regno dopo l’ascesa al trono di Carlo di Borbone coinvolse anche Rapolla, il quale fu distolto dagli studi e destinato a funzioni amministrative: fu per circa un anno governatore di Pozzuoli, quindi nel 1736 passò a Taranto. Qui un certo Tommaso Trombaccia gli mosse ben tredici capi d’accusa dai quali Rapolla dovette difendersi, con successo, presso la Gran Corte della Vicaria a Napoli. Nel 1738 fu governatore e giudice di Ariano, in seguito di Airola e quindi di Praiano, dove concluse la sua non felicissima parentesi amministrativa.
Nel 1740 si stabilì definitivamente a Napoli dove riprese l’insegnamento universitario dalla cattedra di Digesto, con l’incarico di istituzioni di diritto criminale. Nello stesso anno fu chiamato nella giunta istituita da Carlo per la preparazione del nuovo codice, i cui lavori, com’è noto, non condussero a nulla. Diede quindi alle stampe l’opera La difesa della giurisprudenza, trattato di Francesco Rapolla pubblico professore di Leggi nell’Università Napoletana scritto in occasione del libro del Signor D. Ludovico Antonio Muratori intitolato Dei difetti della giurisprudenza (Napoli 1744). Come afferma Italo Birocchi l’opera ha assegnato a Rapolla «una consolidata quanto immeritata fama di giurista conservatore» (2013, p. 1656) perché la storiografia ha preferito marcare la contrapposizione tra i due autori piuttosto che individuare i pur numerosi punti di contatto. La Difesa, che venne considerata e apprezzata dallo stesso Muratori a differenza di altre opere pubblicate contro i Difetti, rappresenta infatti un accorato tributo reso alla giurisprudenza, intesa nella sua dimensione più alta.
Nell’introduzione Rapolla dichiara che con un «certo giovanile ardore» aveva dato alle stampe il De jurisconsulto, credendo fortemente nel diritto e nella giurisprudenza, ma poi l’impatto con la vita forense gli aveva fatto conoscere «non una esser la cagione, onde il giusto stabilito sì accuratamente nelle leggi, incontri allo spesso non lievi impedimenti nell’esecuzione» (p. 2). Lo sperimentato divario tra teoria e prassi non gli aveva però fatto perdere la fiducia nella scienza che, a suo parere, doveva essere tenuta distinta e separata dalla volgare pratica, che effettivamente suscitava scandalo: il problema non era la giurisprudenza, ma gli uomini ignoranti che esercitavano l’attività forense. Bisogna perciò distinguere e continuare a guardare alla vera giurisprudenza come l’unico rimedio contro i mali del sistema giudiziario. La storiografia ha variamente interpretato La difesa, talvolta traendo da essa una dimensione conservatrice di Rapolla: Birocchi, che pur segnala aspetti di novità, evidenzia che la Difesa «esprimeva la diffidenza del giurista verso l’accentuazione del ruolo della legge nel sistema delle fonti e in particolare il rifiuto delle variegate proposte di riordinamento della legislazione e di codificazione» (2001, p. 370).
Qualche anno dopo, Rapolla pubblicò i primi due volumi dei Commentaria de jure Regni (Napoli 1746-1747), dedicati al diritto pubblico. L’opera, molto apprezzata anche da Muratori, rappresenta il coronamento degli interessi di Rapolla nei confronti dello Ius Regni, iniziati negli anni Trenta, e si fonda sull’idea che anche il diritto patrio era suscettibile di elaborazione scientifica poiché in esso potevano individuarsi, su base storica, delle rationes. Rapolla non riuscì a completare l’opera con gli altri due volumi previsti: dopo la sua morte Nicolò Alfano pubblicò con sue annotazioni i Commentariorum de jure Regni Neapolitani in ordinem redacto (Napoli 1770-1771), utilizzando i volumi già pubblicati e gli appunti inediti di Rapolla: «l’eleganza però con cui veggonsi scritti i primi volumi – afferma Lorenzo Giustiniani – non ha a che fare con quella dei secondi» (1788, p. 94).
Nel 1747 a Rapolla venne assegnata per concorso la cattedra di Ius Regni che tenne solo per pochi mesi poiché nel 1748 fu chiamato alla Gran Corte della Vicaria per poi essere nominato, nel novembre dello stesso anno, segretario della Real Camera di Santa Chiara. Il 27 novembre del 1759 fu nominato consigliere della Regia Camera della Sommaria e poi suo presidente l’8 gennaio del 1761.
Morì a Napoli il 20 maggio 1762.
Opere. De jurisconsulto, a cura di I. Birocchi, trad. e note a cura di E. Fabbricatore, Bologna 2006.
Fonti e Bibl.: F. de Jorio, F. R., Napoli 1762; G.A. Mazziotti, Delle lodi del regio consigliero F. R., orazione, Napoli 1765; L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli, III, Napoli 1788, pp. 89-94; B. Brugi, Per la storia della giurisprudenza e delle Università italiane, Torino 1921, p. 83; A. De Rito, F. R. ed una polemica con L.A. Muratori sui difetti della giurisprudenza, Avellino 1938; C.G. Mor, L.A. Muratori fra interpreti e codificazioni, estr. da Annuario dell’Università di Modena, 1942-1943; C. Pecorella, Studi sul Settecento giuridico, I, L.A. Muratori e i difetti della giurisprudenza, Milano 1964, pp. 149-185; R. Ajello, Arcana Juris. Diritto e politica nel Settecento italiano, Napoli 1977, pp. 69-71, 216-222, 350-352; I. Birocchi, Alla ricerca dell’ordine. Fonti e cultura giuridica nell’età moderna, Torino 2001, pp. 355-375; Id., R., F., in Dizionario biografico dei giuristi italiani, II, Bologna 2013, pp. 1656 s.