TRINCHERA, Francesco Paolo
– Nacque a Ostuni, in Terra d’Otranto, il 19 gennaio 1810 da Oronzo, possidente, e da Maria Giovanna Saponaro.
Terzogenito di una numerosa famiglia di quindici figli tra le più agiate e note del paese, compì i primi studi tra la cittadina natia e Massafra, nel Tarantino, per poi formarsi presso il seminario di Ostuni dove, dopo aver conseguito il diploma, insegnò lettere e retorica. Qui fu ordinato sacerdote, manifestando fin da subito propositi liberali e riformatori.
Figura poliedrica di patriota e intellettuale meridionale, riassunse in sé le molte contraddizioni e tensioni della convulsa fase di passaggio dall’assolutismo ai nuovi assetti liberali. Inseritosi in un panorama intellettuale sensibile verso il riconoscimento della libertà degli individui e in alcuni casi anche verso una società più umana e più giusta, risentì in particolare degli influssi di Immanuel Kant e dei teorici dell’economia politica quale scienza in grado di contribuire al progresso dei popoli, inclusi quelli dei critici del mercantilismo.
Fu proprio sulla scorta del rapporto con i principi riformistici dell’Illuminismo che si collocò la sua decisione di aderire, giovanissimo, alla carboneria, diffusasi in Terra d’Otranto sulla scia di diverse istanze di cambiamento che si richiamavano all’esperienza del 1799 e a varie ambizioni riformistiche inclini a maggiori libertà e alla concessione di una costituzione. Sull’onda della diffusa tendenza tra i giovani studenti salentini, in gran parte provenienti proprio dalla carboneria, di trasferirsi nella capitale partenopea per compiere la propria formazione, anch’egli si spostò, nel 1831, a Napoli – allora crocevia di floridi scambi intellettuali su cui avevano inciso gli apporti filosofico-politici e dell’economia politica del Settecento riformatore – per studiare legge presso la Scuola di Basilio Puoti. Qui condusse un’attività politica molto vivace, accompagnata anche da un’intensa produzione letteraria, da un’ampia attività pubblicistica e d’insegnamento e dalla fondazione di una scuola privata di diritto ed economia presso cui studiò, tra l’altro, il suo allievo e futuro giurista Enrico Pessina, del quale fu pure benefattore.
Gli anni a Napoli contribuirono in modo significativo all’evoluzione del suo pensiero politico che, se in un primo momento fu favorevole, in linea con le possibili aperture liberali e costituzionali, al nuovo re Ferdinando II – asceso al trono l’anno prima – gradualmente se ne allontanò, come dimostrò in diversi articoli pubblicati in giornali da lui fondati o ai quali collaborò, tra cui L’Eco della religione, Il Ricoglitore, I Curiosi, La Rivista napolitana. Vi incisero, oltre che i molteplici stimoli culturali della capitale, l’avvicinamento, propiziato principalmente da Adelaide Ristori, alla Giovine Italia e le delusioni per i mancati programmi di rinnovamento della monarchia borbonica.
Dopo aver insegnato, tra il 1839 e il 1841, letteratura italiana e latino presso il seminario di Ostuni su invito dell’arcivescovo biscegliese Pietro Consiglio, suo amico, nel marzo del 1841 Trinchera ritornò a Napoli, dove assunse la direzione della Rivista napolitana e si accostò alle tesi di Vincenzo Gioberti, del quale apprezzò specialmente il progetto di riforma federalista e – vicino alle idee di Georg Wilhelm Friedrich Hegel – alcune tesi filosofiche sul ‘bello’.
Anche in questo caso, tuttavia, Trinchera si distaccò presto considerando illegittima e ingiusta l’ipotesi del potere temporale del papa e della sua supremazia sul potere statale.
Fu quanto espose nel 1846 curando un’edizione napoletana Degli ultimi casi di Romagna di Massimo d’Azeglio, sostenendo, per quegli Stati in cui l’oppressione era più imperante, posizioni estreme di lotta armata mentre, là ove esistevano principi in grado di rispondere ai bisogni materiali e morali dei popoli, l’azione riformatrice. A essa sarebbe poi dovuto seguire un patto federale tra i diversi principi della penisola presieduto dai suoi due regni più potenti di Napoli e di Piemonte.
L’insofferenza verso la depravazione del clero e di molti frati cattolici lo indusse quasi sicuramente ad abbandonare la veste sacerdotale verso la metà degli anni Quaranta, presumibilmente in seguito a un contrasto con l’arcivescovo di Palermo Demetrio Planeta, che si era opposto a un beneficio rimasto vacante e da lui rivendicato, e a dirigere, nel 1849, il giornale antitemporalista L’indipendente.
Arrestato più volte – nel 1835 per i suoi giornali I Curiosi e Il Ricoglitore, poi ancora per la Rivista napolitana e, alla fine di agosto del 1847, per la denunzia di detenzione di un volantino dal titolo Riprotesta – e liberato il 24 gennaio 1848, esaltò la costituzione concessa da Ferdinando II e, grazie ai suoi stretti rapporti con Carlo Troya, ministro e poi presidente del Consiglio borbonico, con decreto del 14 marzo 1848 fu nominato capo ripartimento al ministero dell’Interno e, poco dopo, promosso ufficiale di divisione. Partecipò inoltre a una commissione chiamata a elaborare, dall’allora ministro di Agricoltura e Commercio Antonio Scialoja, un progetto di trasferimento degli archivi dal ministero dell’Interno a quello della Pubblica Istruzione.
Esauritasi l’esperienza costituzionale, troncò la sua collaborazione con Ferdinando II e, accusato forse ingiustamente di aver partecipato alle barricate del 15 maggio, fu arrestato, detenuto nelle carceri napoletane di Santa Maria Apparente, della Vicaria e di San Francesco e poi, nel 1853, destinato all’esilio in Belgio tramite l’intervento dell’arcivescovo di Capua, il cardinale Giuseppe Cosenza. Trascorso un breve periodo presso il monastero degli alcantarini in Santa Maria di Napoli, si imbarcò per Marsiglia ma, sbarcato a Genova il 19 luglio 1853, per mezzo della mediazione dell’avvocato Carlo Dionisotti, preferì fermarsi nel Regno di Sardegna, dove si raccoglievano molti esponenti dell’intellighenzia meridionale favorevoli al nuovo corso politico sabaudo. Qui cambiò le sue idee in senso murattiano, probabilmente in seguito all’incontro, avvenuto a Genova, con l’amico Luigi Dragonetti, anch’egli esule e tra i primi simpatizzanti del ritorno dei discendenti di Gioacchino Murat a Napoli.
La permanenza in Piemonte si rivelò un’esperienza difficile e di grande penuria economica, anche perché accusato di ambiguità politica e non guardato con grande fiducia dall’abate Carlo Cameroni, a capo della gestione della concessione dei sussidi del Comitato centrale dell’emigrazione nel Regno di Sardegna. Ciononostante, in Piemonte – dove rimase fino al 1859 – frequentò i salotti di Giacomo Tofano e di Pasquale Stanislao Mancini ed ebbe modo di conoscere numerosi liberali ed esuli napoletani di diversa formazione, tra i quali Giuseppe Pisanelli, i fratelli Bertrando e Silvio Spaventa, Francesco De Sanctis. Diede altresì vita a una fruttuosa produzione scientifica a carattere anche letterario, pubblicando a Torino nel 1854 importanti opere di stampo economico, tra cui i due volumi del Corso di economia politica e il Catechismo economico-politico, e svolgendo per poco tempo corsi di economia politica a Saluzzo e a Vercelli. Sempre a Vercelli, nel 1856, ottenne un impiego fisso di professore di letteratura italiana nelle scuole speciali annesse al Collegio nazionale, per poi trasferirsi in quello di Nizza e presentare, nel 1857, grazie all’ormai avvenuto pieno inserimento lavorativo, domanda di naturalizzazione.
La sua adesione al movimento murattiano era dovuta all’apprezzamento per lo spirito riformistico dimostrato da Murat: condivideva l’idea di rovesciare la dinastia borbonica raggiungendo l’indipendenza nazionale tramite un’azione coordinata tra il Piemonte sabaudo e il ritorno sul trono di Napoli del principe Luciano Murat. Di tali posizioni lasciò traccia nel 1855 nella Quistione napolitana. Ferdinando Borbone e Luciano Murat e nell’Unità italiana e Luciano Murat re di Napoli, edito a Torino nel 1856 in polemica con le tesi antimurattiane che il siciliano Giuseppe La Farina aveva esposto in Murat e l’unità italiana poco tempo prima (e sostenute dallo stesso De Sanctis nelle pagine della rivista Il Diritto).
In seguito ai vittoriosi esiti della campagna garibaldina, Trinchera ritornò a Napoli, dove fu reintegrato dal governo dittatoriale nell’ufficio di capo ripartimento dell’Interno e nominato con decreti della Luogotenenza del principe di Carignano membro prima della commissione di statistica e successivamente della commissione per la formazione del regolamento della Cassa ecclesiastica e dell’Economato.
A unificazione avvenuta, su proposta del consigliere incaricato dei dicasteri di Agricoltura Industria Commercio e Interno, Liborio Romano, fu chiamato a dirigere, il 31 gennaio 1861, gli Archivi delle Province napoletane: un ufficio prestigioso che accettò per necessità familiari, rinunciando alla cattedra di diritto amministrativo che allora deteneva presso l’Università di Bologna.
Prima sovrintendente e poi direttore generale degli Archivi napoletani, vedendo nella stagione rivoluzionaria del 1848 l’inizio di una serie di esperienze riformatrici che potevano a pieno titolo essere recuperate, si oppose al progetto di ridurre il personale del Grande Archivio. Fu per di più tra i massimi teorizzatori della necessità di attribuire al servizio archivistico una preminente finalità scientifica e culturale aperta alla libera consultazione. Molte delle sue idee sulla gestione degli archivi segnarono anche i lavori di una Commissione centrale degli Archivi per provvedere al riordinamento degli Archivi di Stato in tutta la Penisola e relative proposte, di cui fece parte in rappresentanza di quelli meridionali, costituitasi il 15 marzo 1870 sotto la presidenza di Luigi Cibrario, figura politica e scientifica di spicco nel Piemonte sabaudo e suo benefattore, che aveva conosciuto per mezzo di Mancini ai tempi dell’esilio in Piemonte. L’impegno archivistico andò a completare una carriera ricchissima di contributi di varia natura, anche di tipo linguistico e giuridico, che peraltro lo avevano visto ricoprire ruoli attivi in numerose accademie scientifiche e incarichi di insegnamento, oltre che presso l’Università di Bologna, negli atenei di Parma, Modena e Napoli.
Nella capitale partenopea si sposò con Giovanna Ferrari il 9 settembre 1867 e continuò l’attività politica negli ambienti dell’Unione liberale, un’associazione che aveva contribuito a fondare e da lui presieduta, volta a favorire la nascita di un grande partito nazionale moderato.
All’impegno politico, che lo vide altresì candidato – senza successo – al Parlamento nazionale nelle elezioni del 1870 nelle file della Destra per il collegio di Brindisi, si aggiunsero altre sue iniziative nel campo assistenziale e del mutuo soccorso, in particolare contro la mendicità; una serie di riconoscimenti in diverse accademie e onorificenze di vari governi, tra cui quelle di commendatore della Corona d’Italia e dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro; la nomina a socio onorario della Reale Accademia di scienze morali e politiche, da lui fondata, e del Regio Istituto d’incoraggiamento delle scienze naturali economiche e tecnologiche di Napoli, dei quali fu pure presidente tra gli anni Sessanta e Settanta.
Morì a Napoli dopo una lunga malattia l’11 maggio 1874.
Opere. Oltre ai testi citati, si segnalano: Poesie, Napoli 1834; Posizioni a discolpa del giudicabile Francesco Trinchera (28 giugno 1851), in G. Paladino, Il quindici maggio del 1848 in Napoli, Milano-Roma-Napoli 1921, pp. 517-527.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Brindisi, Stato civile, Comune di Ostuni, Atti di nascita, anni 1809-1811, b. 1, voll. 1-3; Parigi, Archives nationales, 31AP62, Affaires de Naples, Correspondance avec Trinchera; Archivio di Stato di Torino (Sezioni Riunite), Comitato centrale dell’emigrazione italiana, Emigrati, s. I, mazzo 69, Trinchera Francesco.
F. Del Giudice, De’ lavori accademici del R. Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali economiche e tecnologiche di Napoli nell’anno 1874, e cenni biografici dei soci Michele Zanotti e F. T. Relazione e ricordi letti nella prima adunanza pubblica del mese di gennaio 1875, Napoli 1875; M.V. Gavotti, Il movimento murattiano dal 1850 al 1860 (Luciano Murat), Roma 1927; P. Palumbo, Risorgimento salentino (1799-1860), Lecce 1968, ad ind.; A. D’Addario, La collocazione degli archivi nel quadro istituzionale dello Stato unitario [...] (1860-1874), in Rassegna degli Archivi di Stato, XXXV (1975), 1-3, pp. 11-115; O. Confessore, Giuseppe Pisanelli. Lettere inedite con saggio introduttivo di Ornella Confessore, Milano 1979, ad ind.; A. Scirocco, Il Mezzogiorno nell’Italia unita (1861-1865), Napoli 1979, ad ind.; F. Palumbo, F. T. (1810-1874), in Per la storia di Ostuni. Pietro Vincenti (1570 c.-1618 c.), F. T. (1810-74), Ludovico Pepe (1853-1901), Lecce 1981; Id., F. T. e gli Archivi napoletani (1861-74), in Studi in onore di Leopoldo Sandri, III, Roma 1983, pp. 661-678; E. Di Ciommo, La nazione possibile. Mezzogiorno e questione nazionale nel 1848, Milano 1993, ad ind.; A. Spagnoletti, Storia del Regno delle Due Sicilie, Bologna 1997, ad ind.; La biblioteca, la città. L’attività di un anno (1996-1997), a cura di A. Minna, Galatina 1998, ad ind.; R. Colapietra, F. T. nella cultura napoletana del suo tempo, in Rassegna storica del Risorgimento, LXXXVI (1999), 4, pp. 551-576; E. De Fort, Esuli in Piemonte nel Risorgimento. Riflessioni su di una fonte, in Rivista storica italiana, CXV (2003), 2, pp. 648-688; A. Trinchera, F. T. Bigliettini dal carcere, Cavallino 2010; Società nazionale di scienze lettere e arti in Napoli, Indice generale degli atti dell’Accademia di Scienze morali e politiche (1864-2011), a cura di F. Assante, Napoli 2012, ad ind.; E. Caroppo, Ceti popolari e circuiti della ‘nazione’. Il caso di Terra d’Otranto dagli anni Venti all’Unità, in Meridiana, 2013, vol. 76, pp. 85-100; R. De Lorenzo, Da Murat al murattismo: il re, gli uomini, le generazioni, in 1815 Italia ed Europa tra fratture e continuità, a cura di R. Ugolini - V. Scotti Douglas, Roma 2017, pp. 89-124; P.-M. Delpu, Patriotisme libéral et nation catholique: les prêtres libéraux dans la révolution napolitaine de 1820-1821, in Studi storici, 2017, vol. 58, pp. 545-571; S. Pisanelli, F. T.: dalla religione all’economia politica, in Itinerari di ricerca storica, n.s., XXXII (2018), 1, pp. 79-92; E. Caroppo, F. T. senior tra politica e amministrazione, ibid., pp. 59-77.