MONTANARI, Francesco
– Nacque a San Giacomo Roncole, frazione di Mirandola (all’epoca territorio del Ducato di Modena), il 22 genn. 1822 da Luigi e da Maria Ruosi.
Proveniente da una famiglia non facoltosa e rimasto orfano del padre in tenera età, il M. frequentò a Mirandola dapprima il ginnasio e, successivamente, un corso biennale di filosofia presso i gesuiti. Alla fine degli anni Trenta entrò nella Scuola ducale dei Pionieri militari di Modena (scuola d’artiglieria e genio, risalente al periodo napoleonico, corrispondente all’odierna Accademia militare) dalla quale uscì con la qualifica di ingegnere e il grado di sottotenente del genio. Fra il 1845 e il 1846 il M. prese parte ai lavori di costruzione del ponte Alto sul fiume Secchia (ancor oggi esistente), non lontano dall’abitato di Sassuolo.
Nell’aprile 1848 il M. entrò con il grado di tenente del genio nel corpo franco modenese (chiamato anche colonna mobile), formazione con cui il governo provvisorio di Modena, costituitosi dopo la partenza del duca Francesco V il 21 marzo 1848, prese parte alla guerra contro l'Austria al fianco dell’esercito del Regno di Sardegna.
Posto al comando di una compagnia, il M. non partecipò nel periodo seguente a episodi bellici di particolare rilievo, svolgendo solamente limitate operazioni nella zona del basso Mantovano. Per contro, fu tra i protagonisti nel giugno 1848 di una infuocata dimostrazione, avvenuta nelle strade di Modena, contro l’annessione dei territori del Ducato al Piemonte, al punto da meritarsi una severissima rampogna da parte di G. Parenti, presidente del Municipio di Modena, che, in data 19 giugno 1848, gli intimò di condurre senza ulteriore indugio i propri uomini a San Benedetto Po, agli ordini del comandante G. Castelli. Le missive indirizzate dal M. alla madre, nelle quali venivano denunciate tra l’altro le miserevoli condizioni di vita dei volontari, costituiscono testimonianza pregnante di quel concitato frangente. Dopo la battaglia di Custoza (27 luglio 1848), il M. accettò l’inquadramento con il grado di capitano nell’esercito piemontese, lavorando alle opere di fortificazione della piazzaforte di Alessandria (agosto-settembre 1848). Non resistendo a lungo in questa sistemazione, si recò nella Sicilia in lotta contro i Borbone: da Palermo, il 18 nov. 1848, scriveva allo zio don Pietro Montanari di aver lasciato «la divisa di Carlo Alberto perché son d’avviso che mal si convenga ad un animo libero ad un vero Italiano e quindi mi son portato in Sicilia ove la divisa non è quella di uno scellerato tiranno ma bensì di un governo libero di un regno indipendente» (Sabattini, p. 30).
Non durò molto neanche in questo incarico: il 7 genn. 1849 era già a Firenze dove, rifiutato un posto nel genio «perché non voglio servire Principi la di cui fama è in faccia a tutta l’Italia obbrobriosa», decideva di portarsi «a Roma un giorno capitale del Mondo ed ora capitale sarà di tutta Italia libera, indipendente, democratica e Repubblicana» (ibid., pp. 30 s.). A Roma visse l’intera campagna militare contro il corpo di spedizione francese guidato dal generale N.C.V. Oudinot (aprile-luglio 1849). In particolare, si mise in bella evidenza nel vittorioso scontro di Porta S. Pancrazio (30 apr. 1849), guadagnandosi la nomina a capitano e, soprattutto, la stima e la considerazione di G. Garibaldi. Caduta la Repubblica, seguì Garibaldi nella ritirata attraverso le Marche e la Romagna: sfumata la possibilità di raggiungere Venezia, accerchiata dagli Austriaci, il drappello si sciolse alle Mandriole. Messosi in mare su una piccola barca da pesca con l’intento di raggiungere l’Ungheria, il M. fu catturato da una nave da guerra austriaca e, dopo sei mesi di detenzione (scontati a Venezia e a Capodistria), tornò a Mirandola, dove riprese gli studi di ingegneria militare sotto la guida dell’ingegnere modenese C. Costa.
Nel 1851 il M., noto a parecchi patrioti mantovani che avevano combattuto con lui a Roma, ricevette dal Comitato mazziniano di Mantova, animato da don E. Tazzoli, l’incarico di compiere una ricognizione delle fortezze di Mantova e Verona, in vista di un possibile scoppio rivoluzionario: giunto a Mantova nel giugno 1851, ospite di G. Borella, il M. conobbe L. Castellazzo e G. Acerbi ai quali diede una disponibilità di massima ad assumere il comando delle operazioni militari in caso di sommossa. L’esplorazione della fortezza di Mantova fu però del tutto insufficiente, non comprendendo neppure la ricognizione dei forti di Pietole e Cittadella. Recatosi poi a Verona, poté svolgere (coadiuvato da G. Nuvolari e G. Faccioli) solamente un esame esterno dell’omonima fortezza. Successivamente s’intrattenne a Revere con Tazzoli, al quale espresse forti perplessità sulla riuscita di un eventuale colpo di mano, ancorché parziale, sulle fortezze del Quadrilatero.
Numerosi e circostanziati riferimenti alla missione svolta dal M. nell’estate del 1851 furono fatti nel giugno dell’anno successivo da L. Castellazzo nella piena confessione resa alla Corte marziale austriaca presieduta dal barone A. von Kraus: il 7 luglio 1852 il M. fu quindi consegnato dalle autorità estensi a quelle del Regno Lombardo-Veneto. Interrogato più volte fra il 10 e il 14 sett. 1852, il M. descrisse il ruolo svolto nella cospirazione, cercando per quanto possibile di non coinvolgere altri componenti del Comitato mantovano. Chiuse poi il proprio costituto affermando «essere stata sempre mio desiderio la emancipazione degli stati Italiani dal Governo Austriaco, l’indipendenza e l’unità di tutta Italia, ed esserlo anche presentemente, senza pensare a forma alcuna di governo né alla dedizione al Piemonte da me sempre avversata, spettando alla Nazione unita, emancipata e libera l’erigersi sotto quella forma di Governo che le fosse più opportuna e conveniente» (Luzio, p. 231).
Detenuto per alcuni mesi nel mantovano castello di S. Giorgio, il M. fu infine riconsegnato il 9 marzo 1853 al governo estense, il quale istruì immediatamente un processo a suo carico in forza di un editto del duca Francesco V secondo cui «chi si fosse reso responsabile di lesa maestà e di offesa dei pubblici funzionari verso uno Stato estero ed amico sarebbe giudicato in un’unica istanza da una Commissione militare» (De Castro, p. 481). Assolto nell’estate del 1853, il M. dovette però comparire dinanzi a una nuova commissione (presieduta dall’ufficiale austriaco F. Kainradh), convocata con apposito rescritto dal duca Francesco V, forte peraltro del parere espresso nell’agosto 1853 dal barone austriaco K. von Culoz (già presidente della commissione militare giudicante i congiurati mantovani) sulla inapplicabilità al M. dell’amnistia nel frattempo concessa dall’imperatore Francesco Giuseppe. Pur ottimamente difeso dal cugino Antonio Montanari, il M., giudicato reo di lesa maestà, fu condannato nell’ottobre 1853 alla pena del carcere a vita (immediatamente commutata in dodici anni di reclusione) in conformità con la convenzione del 1764 fra l'Impero austriaco e il Ducato di Modena, secondo la quale ciascuno si obbligava a punire i propri sudditi per i delitti altrove commessi in pregiudizio dell’altro Stato contraente. Detenuto dal novembre 1853 nel forte di Rubiera, il M. fu trasferito nell’ergastolo di Modena, per espresso volere del duca, allorquando una violenta epidemia di colera (settembre 1855) fece temere un allentamento della sorveglianza. Nel febbraio 1856, grazie all’intercessione della nobildonna modenese Maria Teresa Malmusi, la pena residua del M. fu commutata nell’esilio perpetuo. Peraltro, già nel 1854 Francesco V, ricevuta dalla madre del M. la richiesta di grazia, aveva disposto che, in cambio di un atto di piena sottomissione, gli fosse resa la libertà e assegnata la cattedra di calcolo differenziale e integrale presso l’Università di Modena. Tuttavia la proposta non venne mai neppure riferita al Montanari.
Trasferitosi a Genova, il M. fu suo malgrado coinvolto da G. Mazzini nel velleitario tentativo di suscitare un moto insurrezionale in Lunigiana. Spronato in maniera accorata (lettera del 26 sett. 1856) ad assumere il comando militare delle operazioni, il M. rispose di non essere disponibile a guidare un moto «il quale, appena nato, sarà morto e non avrà per compenso che il sacrificio dei buoni e il bando da Italia di quasi tutta l’emigrazione, il raffreddamento al principio repubblicano e il ritardo al conseguimento della nazionalità» (Scritti editi e inediti di G. Mazzini, LVII, p. 110). La nettissima presa di distanza non evitò però al M. nell’estate del 1857 l’espulsione dal Regno di Sardegna, che comportò anche l’inevitabile rinuncia al vantaggioso impiego di ingegnere capo nei lavori per il prolungamento del molo di Genova. Riparò a Lugano, dove visse per alcuni mesi (come testimoniato dalle missive indirizzate ai familiari) in condizioni di estrema indigenza, finché l’ospitalità di una famiglia del posto e la possibilità di impartire lezioni di matematica non riuscirono a dargli un certo sollievo.
Alla notizia che Garibaldi, approssimandosi il conflitto tra Franco-Piemontesi e Austriaci, stava organizzando il corpo dei Cacciatori delle Alpi, il M. si presentò immediatamente al suo vecchio comandante, che lo nominò aiutante di campo, destinandolo all’organizzazione in Valtellina di un battaglione destinato alla difesa del confine. Nei concitati giorni del giugno 1859, Garibaldi, sollecitato dal commissario regio G. Visconti Venosta, dovette però più volte tenere a freno l’impazienza del M., che aveva elaborato temerari piani d’assalto della piazzaforte di Bormio, presidiata da un agguerrito contingente austriaco. Il 21 giugno 1859 il M. ebbe anche modo di sposare, per procura, la giovane luganese Chiara Antognini.
Dopo l’armistizio di Villafranca, il M. militò con Garibaldi nell’esercito dell’Italia centrale, comandato da M. Fanti, nella speranza, presto rivelatasi vana, di estendere l’azione rivoluzionaria al territorio dello Stato pontificio. In seguito, soggiornò qualche tempo a Mirandola presso la madre (che invano cercò di convincerlo ad accettare il sussidio spettante ai perseguitati politici), per poi ricongiungersi alla moglie a Lugano. Alla metà di aprile del 1860 raggiunse a Quarto Garibaldi, dal quale fu nominato terzo aiutante di campo (dopo S. Türr e L. Tukory) in vista della progettata spedizione in Sicilia. Sebbene profondamente deluso dalle parole d’ordine «Italia e Vittorio Emanuele» lanciate da Garibaldi alla vigilia della partenza, il M. combatté valorosamente contro l’esercito borbonico nella decisiva giornata del 15 maggio 1860: nel primo pomeriggio, durante un assalto alla baionetta in località Pianto dei Romani, presso Calatafimi, riportò una gravissima ferita al ginocchio destro. Trasportato nel piccolo borgo di Vita, il M. ricevette nei giorni seguenti tutte le cure possibili, ma neppure l’amputazione della gamba riuscì a fermare la cancrena sopraggiunta nel frattempo. Il M. morì fra atroci sofferenze all’alba del 6 giugno 1860. Sepolto nel cimitero di Salemi, fu promosso da Garibaldi tenente colonnello alla memoria.
Fonti e Bibl.: F. Lolli, Biografia di F. M., Mirandola 1860; G. De Castro, I processi di Mantova e il 6 febbr. 1853, Milano 1893, pp. 133-490, passim; A. Giacomelli, Reminiscenze della mia vita politica negli anni 1848-1853, Firenze 1893, pp. 286-345, passim; G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventù. Cose vedute o sapute, 1847-1860, Milano 1904, pp. 556, 601; A. Michieli, Per la biografia di F. M., in Bollettino ufficiale del primo Congresso storico del Risorgimento italiano... (Milano, novembre 1906), 1906, n. 8, pp. 383 s.; A. Luzio, I martiri di Belfiore e il loro processo, Milano 1925, pp. 37-318, passim; G. Castellini, Eroi garibaldini, Milano 1931, ad ind.; G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, LVII, Imola 1931, pp. 110-113; C. Pelloja, F. M. nella vita, nella storia, nella patria: monografia corredata di lettere inedite, Reggio Emilia 1940; T. Ascari, F. M.: uno dei Mille, Mirandola 1961; V. Cappi, I moti dell’anno 1831 e i fatti della prima e della seconda guerra d’indipendenza a Mirandola, Modena 1961, pp. 29, 38, 40; M. Sabattini, F. M. di Mirandola visto attraverso un carteggio familiare inedito, Modena 1965; G. Bandi, I Mille: da Genova a Capua, a cura di D. Mack Smith, Milano 1981, pp. 17-227, passim; G. Garibaldi, Ediz. nazionale degli scritti, X, Epistolario, IV (1859), a cura di M. de Leonardis, Roma 1982, pp. 63, 158; G.C. Abba, Da Quarto al Volturno: noterlle d’uno dei Mille, a cura di P. Ruffilli, Milano 1991, pp. 14, 41; G. Garibaldi, Memorie autobiografiche, Roma 2007, pp. 348 s.; Diz. Risorgimento nazionale, III, s.v. (D. Montini).