FOSCARARI (Foscherari), Francesco
Nacque a Bologna intorno all'anno 1333 da Simone di Gualmacco, abitante nella cappella di Santa Maria de' Carrari. Lo aveva preceduto di qualche anno il fratello Rinaldo e lo seguirono, a maggiore distanza di tempo, le sorelle Lucia e Cristiana. Ignoti sono il nome e il casato della madre.
Al momento della nascita del F. la famiglia Foscarari, suddivisa in vari rami, tutti residenti nella cappella di Santa Maria de' Carrari, era tra quelle più in vista della città e traeva meriti dalla fama acquisita nella seconda metà del sec. XIII da Egidio, il primo laico a insegnare diritto canonico, ma anche dalle ricchezze accumulate dai membri della famiglia dedicatisi da tempo all'attività del cambio. All'arte dei cambiatori era appartenuto, tra gli altri, Rolando, proavo di Francesco e fratello del dottore Egidio, alla stessa arte erano iscritti sia il nonno Gualmacco sia il padre Simone. Oltre che cambiatore Gualmacco fu anche notaio, svolgendo ripetutamente l'incarico di notaio degli Anziani e prestando la propria opera in diverse occasioni per la registrazione dei prestiti concessi dai vari Foscarari. L'accorta gestione del proprio patrimonio in operazioni finanziarie di sicuro rendimento permise a Gualmacco, morto nel 1348, di trasmettere ai suoi tre figli maschi una discreta fortuna. Tra questi, Simone, il padre del F., seguì da presso l'esempio di Gualmacco e come lui fu notaio e cambiatore; ma la sua principale attività fu quella del prestito, al punto che, alla sua morte, nel 1351, gli esecutori testamentari dovettero preoccuparsi di ottenere dal vicario del vescovo la remissione del peccato di usura.
La precoce scomparsa di Simone, avvenuta nel periodo di grave crisi susseguente alla peste nera, lasciò ai figli, ancora minorenni, i problemi di un patrimonio di una certa consistenza, ma di notevoli difficoltà di gestione. Nel volgere di una decina d'anni la situazione venne però a modificarsi sostanzialmente. Nel 1356 Rinaldo divenne notaio e, come il padre, si dedicò sia a tale professione che a quella di prestatore, mentre il F. scelse per sé soltanto l'esercizio dell'attività di cambiatore. Raggiunta la maggiore età, i due fratelli mantennero per qualche tempo la comunione dei beni ereditari, ma la effettiva gestione di questi sembra ricadesse nelle mani più esperte e capaci del Foscarari. Intorno al 1360 sia Rinaldo sia il F. si sposarono: il primo prese in moglie Lucia Ferlini e da questa nacquero i figli Foscararo, Provenzale, Rolandino e Carlo; ignoto è invece il nome della moglie del F., da cui nacquero i figli Opizzone, Romeo e Raffaello e le figlie Castora e Damiata.
Nel corso degli anni Sessanta le attività dei due fratelli vennero a caratterizzarsi in modo sempre più autonomo e mentre Rinaldo limitò i propri interessi a un ristretto ambito professionale, il F. acquisì progressivamente capacità e funzioni di un banchiere in grado di agire per contratti e speculazioni di ampio respiro. Un particolare interesse egli riservò agli affari connessi con il commercio delle pelli e delle pellicce, due generi di ampio consumo in un centro di studi superiori quale Bologna.
Alla fine del 1373 Rinaldo morì e il F. assunse la cura degli affari ancora comuni nell'interesse dei nipoti minorenni. Conseguenza della scomparsa del fratello fu anche l'iscrizione del F. alla società dei notai nel febbraio del 1374. È probabile che egli abbia richiesto questa iscrizione unicamente per conservare con la più forte corporazione cittadina quei legami che - grazie al nonno, al padre e al fratello - avevano caratterizzato da lungo tempo i componenti di questo ramo dei Foscarari.
A due anni di distanza, nel marzo del 1376, la situazione politica cittadina venne improvvisamente e violentemente a mutare. Le reali motivazioni e lo stesso articolarsi della rivolta che portò alla cacciata del legato pontificio sono ancora oggi abbastanza difficili da decifrare. Accanto a indubbie influenze esterne - stimoli e aiuti provenienti in primo luogo da Firenze, impegnata nella guerra degli Otto santi contro papa Gregorio XI - trovarono espressione cause interne: vi ebbero parte il malgoverno dei rappresentanti pontifici e le aspirazioni più o meno occulte di persone e fazioni, le une e le altre legate in varia e mutevole misura ai precedenti signori, Visconti e Pepoli, alla Chiesa e agli Estensi. La situazione economica mostrava inoltre chiari segni di un'efficace ripresa, tale da rendere inevitabili mutamenti sostanziali nella gestione della vita politica cittadina.
Lo sbocco di questa situazione fu il ripristino delle forme istituzionali comunali e quindi una riaffermazione delle corporazioni cittadine quali strutture portanti del sistema politico. Il nome con cui si designò il nuovo regime che prese avvio nel marzo del 1376, "Signoria del popolo e delle arti", tendeva a consacrare questo ritorno a un passato che il trascorrere del tempo coloriva delle suggestioni del mito. Tuttavia, nella realtà dell'organizzazione del potere, il peso delle corporazioni popolari non fu che il pallido ricordo della situazione di un secolo prima. Il Collegio degli anziani e consoli in cui si concentrarono le funzioni di governo e di impulso della vita politica non fu più, come un tempo, espressione delle società d'arti, bensì di famiglie e gruppi ristretti.
La situazione determinatasi con la rivolta del marzo 1376 offriva perciò ampi margini di manovra ai singoli e in particolare a coloro che, per doti personali, prestigio e ricchezze, erano in grado di attuare una linea d'azione personale tale da superare la logica delle lotte di fazione e il F. fu una delle individualità che si affermarono grazie alla sua piena e immediata adesione al nuovo corso. Nel maggio del 1376 venne creato il nuovo Collegio detto dei tribuni della plebe o gonfalonieri del Popolo che dovevano fungere da consiglieri degli Anziani e capi delle milizie cittadine, del quale fece parte anche il F. come membro per il quartiere di Porta Procula. Nel settembre dello stesso anno partecipò alla prima di una lunga serie di balie: per ristrutturare gli organi di governo adeguandone composizione e azione alla necessità di fronteggiare le minacce portate alla città e al contado dalle bande di bretoni del cardinale Roberto di Ginevra e alle prospettive di una trattativa di pace col papa, gli Anziani affidarono a una commissione di dodici membri, tra i quali lo stesso F., l'incarico di rinnovare la composizione del Consiglio generale cittadino, detto Consiglio dei cinquecento, e di nominare i membri dei due Consigli dei sapienti sopra la Guerra e dei sapienti sopra le Provvisioni, questi ultimi con compiti di consulenza degli Anziani.
Tra il settembre 1376 e il marzo 1377 una serie di congiure e di controcongiure, svelate e sventate, portò a un ridimensionamento delle fazioni cittadine, private l'una dopo l'altra degli elementi più rappresentativi inviati via via al patibolo o all'esilio. Una parte della fazione debellata degli Scacchesi, che prese il nome di raspanti (rapaci) cercò - e in parte ottenne - di imporre la propria supremazia all'interno della città. Il ritorno del papa a Roma agli inizi del 1377 aprì concrete prospettive di pace. I raspanti, sostenuti dai Fiorentini, si opposero a ogni trattativa; ma le ragioni che militavano a favore della conclusione di un conflitto estremamente gravoso per la città segnarono la sconfitta della politica dei raspanti e del loro predominio. Gli Anziani nominati nel marzo del 1377, fra i quali il F., eliminarono, con una serie di provvedimenti normativi, l'influenza dei raspanti sugli organi di governo e con l'appoggio di ampi strati della popolazione arrestarono ed esiliarono i capi della fazione.
Ottenuta una tregua di due mesi, Bologna inviò a Roma quattro rappresentanti. L'ambasceria, particolarmente solenne, era composta da tre dottori - il noto giureconsulto Giovanni da Legnano, vero ispiratore e artefice di questa pace col papa, Ugolino Galluzzi e Dante Dainesi - e dal Foscarari. Prima della partenza, l'11 maggio 1377, questi aveva provveduto a depositare presso un mercante di seta 2.000 lire in ducati d'oro, da consegnarsi, in caso di sua morte, alle figlie Castora e Damiata.
La conclusione delle lunghe trattative condotte a Roma dai quattro rappresentanti portò a Bologna la desiderata pace e, pur con la riaffermazione dei vincoli di dipendenza dal pontefice, la città vide riconosciuta con una certa larghezza la propria autonomia. Il vicariato pontificio concesso a Giovanni da Legnano sancì il compromesso raggiunto tra le aspirazioni cittadine e il diritto di sovranità del papa.
Questi primi interventi del F. nelle vicende politiche locali servono anche a chiarire i suoi rapporti con le fazioni. In effetti le prime incisive partecipazioni alle vicende politiche (la sconfitta dei raspanti e l'ambasceria a Roma) ne evidenziano una consonanza col partito che si opponeva ai Pepoli e ai Visconti e inclinava all'accordo col papa. Tuttavia l'accostamento alle posizioni della fazione guelfa dei Maltraversi si ferma a questo punto. L'accordo con il Papato per assicurare l'autonomia di Bologna e la decisa difesa di tale autonomia contro quella che era la più pericolosa e pressante minaccia - la politica espansionistica dei Visconti - furono il filo conduttore di tutta l'azione politica espressa dal F. fino al termine della sua vita. D'altra parte egli era banchiere troppo accorto, come attesta il notevole successo professionale conseguito, per esporsi in modo diretto nel mutevole e rischiosissimo gioco delle fazioni.
Di una posizione preminente tra i cambiatori cittadini fa fede la sua partecipazione al gruppo di esperti che nel 1377 stese il nuovo testo degli statuti della società. Della sua ascesa in campo sociale sono indice i matrimoni da lui combinati per le due figlie: Castora sposò, nel 1379, Giovanni di Marco Canetoli, mentre nel 1384 Damiata divenne moglie di Ghilino di Francesco Bianchetti, entrambi appartenenti a famiglie prestigiose per blasone, ricchezze e legami con lo Studio cittadino. Per i figli le scelte matrimoniali furono invece rivolte verso un diverso ambito sociale: le mogli di Opizzone, Isabetta, e di Romeo, Dorotea, provenivano dalla famiglia Bolognini, ricchissimi mercanti di seta. Accorta fu, probabilmente, anche la sua personale scelta: in seconde nozze sposò infatti, prima del 1378, Pina, vedova di Simone Dal Ferro, dei beni del quale era stato nominato amministratore. La donna si rivelò presto in grado di coadiuvare il marito nella gestione degli affari, che lo avevano portato a un grado di prosperità notevole. Nel 1385 i suoi beni vennero infatti stimati 14.800 lire e il loro elenco comprendeva pressoché soltanto gli immobili.
Negli anni successivi il F. venne ancora chiamato all'attività politica e di governo. Nel marzo del 1387 fu incaricato di comporre le vertenze con Firenze. L'anno seguente fece parte del Consiglio degli anziani e fu membro del Consiglio incaricato di emanare il nuovo testo statutario. Sempre nel 1388 iniziò la sua partecipazione a varie balie che, rinnovate con continuità, curarono la difesa della città contro le minacce di Gian Galeazzo Visconti. Il suo inserimento nel gruppo dirigente cittadino, che aveva trovato nella lega antiviscontea il coagulo in grado di assicurare unitarietà all'indirizzo politico interno, era ormai evidente, anche per gli aspetti esteriori, come indica la sua partecipazione tra i maggiorenti cittadini nel giugno del 1389 alle esequie del vescovo della città, il cardinale Filippo Carafa.
Qualche nube sembra si fosse addensata invece sull'orizzonte privato. La sua famiglia comprendeva - i dati sono del 1387 - i figli Opizzone e Romeo con le rispettive consorti, il figlio minore Raffaello e una terza moglie, Iacopa, figlia di Villanello Guastavillani, proveniente da una famiglia di solide tradizioni nell'attività bancaria. Anche questo matrimonio non durò peraltro a lungo: Iacopa morì probabilmente poco dopo il 1389, lasciando eredi delle sue sostanze i poveri e al marito un mulino. Nel 1390 il nuovo estimo sembra palesare una situazione del F. meno florida della precedente. Il valore dei beni estimati assommava infatti a 8.000 lire, una cifra certo inferiore a quella di cinque anni prima, anche se il patrimonio del F. non doveva peraltro essere così compromesso come sembrerebbe indicare la cifra d'estimo: è probabile infatti che il minore importo derivi da una diversità dei criteri di valutazione applicati.
Nel 1393 le fortune politiche del F. raggiunsero il vertice. Sotto l'impulso delle principali famiglie cittadine, guidate da Francesco Ramponi e Carlo Zambeccari, la parte popolare, che aveva acquisito la prevalenza nella fazione maltraversa, venne allontanata con la violenza dal potere. Una commissione di quattro membri, tra i quali il F., provvide a sostituire gli anziani e i gonfalonieri in carica con persone gradite a coloro che avevano imposto il cambiamento. Nel dicembre il F. fece parte del nuovo Collegio dei riformatori dello Stato di libertà. Non si trattò, in questo caso, di uno dei tanti episodi di lotte interne e di creazione di balie estemporanee, ma dell'inizio di quel Collegio, che si chiamò poi Senato, che resse la città fino al termine del sec. XVIII.
Nell'anno seguente anche le vicende familiari del F. conobbero interessanti novità. Nel settembre 1394 egli acquistò dalla società dei barbieri una casa contigua a quella avita nella cappella di S. Maria de' Carrari; nello stesso anno sposò in quarte nozze Lippa, figlia di Giovanni Foscarari.
Nel 1398 ritroviamo il F. direttamente coinvolto nella vita pubblica cittadina con un impegno che si rivela del tutto conseguente alle sue precedenti posizioni e che venne assunto in un momento particolarmente grave. A partire dagli ultimi mesi del 1397 la lotta tra il duca di Milano e gli avversari raccolti nella lega antiviscontea si era focalizzata in una serie di violenti scontri intorno a Mantova. In aiuto di Francesco I Gonzaga, signore della città, Firenze, Bologna, i signori di Padova e di Ferrara inviarono truppe e intensificarono l'azione diplomatica volta a ottenere l'adesione di Venezia alla lega antiviscontea. Il F. fu uno dei due ambasciatori che Bologna inviò a tal fine a Venezia nei primi mesi del 1398. La positiva conclusione delle trattative, con l'adesione di Venezia alla lega il 21 marzo 1398, permise il suo rientro a Bologna. Sempre nel 1398 il 26 aprile, venne nominato provvisore sopra la Zecca, e questo fu il suo ultimo incarico pubblico.
Nel 1399, mentre le lotte interne aprivano il campo all'instaurarsi della signoria dei Bentivoglio, il F. moriva con ogni probabilità a Bologna.
Alle sue esequie intervennero, annota il cronista contemporaneo Pietro di Mattiolo, tutte le autorità cittadine civili e religiose, moltissimi nobili e dottori dello Studio, il gonfalone del Popolo, l'arma della libertà e quella dei cambiatori. Era un tributo a quella "Signoria del popolo e delle arti" che aveva avuto nel F. un convinto e coerente fautore e che al calare del sec. XIV concludeva anch'essa la propria esperienza.
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