DI MARIA, Francesco
Figlio di Filippo (Prota Giurleo, 1953), nacque a Napoli nel 1623 (De Dominici, 1743, p. 302), data confermata dal certificato di morte (1690) del pittore all'età "di 67 anni" (Napoli, S. Giuseppe Maggiore, Defunti, 1690, libro VI, f. 95 n. 129). Tuttavia il De Dominici (1743, p. 302) dice che prima di andare alla scuola di Domenico Zampieri detto il Domenichino - presente a Napoli dal 1630 alla morte, avvenuta nel 1641 - ebbe un altro maestro (e del resto le prime prove del D. mostrano una cultura che non è affatto domenichiniana): ciò fa ritenere possibile che sia nato prima del 1623.
Nelle note inviate al Baldinucci intorno al 1670 (Ceci, 1899) il D. è detto "allievo del padre", ma allo stato attuale degli studi questa notizia non trova riscontro documentario: infatti si conosce solo un Domenico De Maria iscritto alla corporazione dei pittori napoletani nel 1665 (Ceci, 1898, p. 11). Dall'analisi delle sue prime opere si ricava che il D. si formò tra lo stile tardo controriformato dei Santafede e degli Azzolino (Ragano) ed il revisionismo carraccesco di G. B. Caracciolo detto il Battistello, artista che egli evocò spesso nelle opere tra il 1650 e il 1660. Successivamente fu al seguito del Domenichino. Da questo rapporto nacque una concezione della pittura, la cui forma venne, talvolta, sublimata da un ideale processo di "bellezza" (anatomica), che è l'esatto opposto del fare di Luca Giordano; sul conto del Giordano il D. continuò a ripetere "che il valore del pittore non istà nel colorito ma bensì nel disegno: e che di questo [nel Giordano] niente si riconosceva nel suo quadro" (Baldinucci, p. 347).
Dopo la morte di Domenichino il D. fu a Roma, conobbe Andrea Sacchi e Nicolas Poussin, ne ascoltò i precetti e strinse lega mi d'amicizia con Salvator Rosa e Pietro Del Po: legami che si deducono dalla lettera a quest'ultimo, pubblicata dal De Dominici (pp. 309 s.), e dal fatto che S. Rosa mandava una versione delle sue incisioni al D. "che le conservava con molta stima fra quelle de' primi artefici del disegno" (ibid., p. 247). Da questi rapporti romani derivò al D. quel fare intellettualistico che lo impegnò a lungo nella ricerca e nello studio dei maestri del passato.
Anche se nella seconda metà del XVII secolo Roma divenne per lui una seconda patria ed egli stesso fu tramite d'eccezione nell'interscambio culturale tra le due città (non stupirà, ritrovarlo iscritto all'Accademia di S. Luca nel 1676, nominato "per merito"; cfr. Fiorillo, 1985, pp. 49, 125, n. 59), il D. deve essere considerato uno degli ultimi artisti della generazione primoseicentesca che vive la "transizione" tra due età della pittura napoletana, trasferendo vivi alcuni presupposti nel nuovo tempo che nasce con o dopo la peste del 1656.
Poche opere possono significare detto periodo (che dovrebbe essere uno dei migliori): un S. Gregorio taumaturgo, già nella chiesa dell'Annunziata a Messina, ora perduto (tradizionalmente attribuito al Guercino), è riferito con certezza al D. dal Susinno (p. 214), unitamente a una pala nella parrocchiale di Scilla (anch'essa perduta). E viene da considerare l'affermazione del Lanzi, relativamente a diverse cose dell'artista, "vendute a gran prezzo e tenute da meno esperti come per mano dei Domenichino" (1789, p. 409) per credere alla qualità di queste opere che difficilmente si potranno rintracciare.
Il carattere guercinesco dell'opera messinese e di quella di Scilla, dunque, presume una mutevolezza della prima pittura del D. rispetto ad uno stretto legame domenichiniano a cui fa riferimento il De Dominici. In realtà, erano rispettati i concetti classici del pittore emiliano, ma dopo la metà del secolo il D. mostrava nei suoi quadri una maniera che lo avvicinava soprattutto a G. Lanfranco e Mattia Preti, di cui fu seguace tra il 1656 ed il 1660, allorché l'artista calabrese soggiornò e dipinse a Napoli, in S. Lorenzo Maggiore, a S. Pietro a Maiella e gli ex voto sulle porte cittadine. Gli stessi Preti e Lanfranco furono, quindi, indicati dal maestro alle generazioni più giovani quali vettori per un procedimento artistico ormai tendente a creare i presupposti per una polarità differente da quella giordanesca.
Poi il D. spaziò da un campo all'altro per comprendere in profondità Raffaello e Michelangelo, Simon Vouet e Charles Mellin; tra i moderni G. B. Beinaschi, Salvator Rosa e Poussin costituirono "momenti" di una sorta d'antologia degli artisti che meglio avevano espresso l'idea disegnativa. Ciò non impedì al pittore d'affacciarsi in area naturalistica, per "colorire" la sua opera come nel S. Gregorio Armeno, della chiesa omonima a Napoli, o nel Suonatore del Museo Mandralisca di Cefalù, esposto alla Mostra della Civiltà del '600 a Napoli (catal., 1984, I, p. 257).
Il D. godette di grande fama in vita e fu ritenuto ottimo ritrattista: nella specialità superò infatti l'acceso rivale Luca Giordano e il De Dominici considerò suoi pari a Napoli solo Carlo Sellitto e Battistello Caracciolo, ritenuti gli esponenti massimi nel campo. Anche qui, purtroppo, di quadri noti v'è poca cosa, come, del resto, di opere di grafica in cui parimenti eccelse e fu assai prolifico. In età avanzata curò molto l'insegnamento; fondò con Andrea Vaccaro l'Accademia di "Notomia" (De Dominici, p. 308) ed ebbe tra i suoi allievi migliori Francesco Solimena. Giacomo Del Po, ed Andrea Malinconico (Fiorillo, 1985, pp. 97-108).
Morì a Napoli il 23 maggio del 1690 e fu sepolto nella parrocchia di S. Giuseppe Maggiore il giorno seguente.
Amico del numismatico-bibliofilo-archeologo G. Valletta, attraverso questo conobbe esponenti tra i più qualificati della cultura napoletana (tra i quali il commediografo Andrea Perrucci che dedicò alla sua pittura due odi: Gigantomachia e Per la cupola di S. Luigi di Palazzo [in Idea delle Muse, 1695; cfr. Fiorillo, 1985, p. 1301); nonché la nobiltà "di passo" soprattutto anglosassone.
Difficile dare una cronologia delle opere specie per quelle del primo periodo; oltre a quelle citate all'interno della voce si ricordano: S. Anna e S. Gioachino (ora perduto) dei Girolamini (1640-50), due Storie di s. Lorenzo in S. Lorenzo Maggiore, documentate al 1656, ma disperse (Fiorillo, 1985, pp. 109 s.), l'Assunta e il Salvatore, nella stessa chiesa, che un documento del 1658 (ibid., p. 110) indica in lavorazione, la Susanna al bagno (coll. priv.; ibid., p. 31). Intorno alla metà del secolo eseguì la Deposizione di S. Agostino degli Scalzi, e non più tardi del 1660 Calvario e S. Pietro d'Alcantara adorato da s. Teresa d'Avila, di S. Giuseppe a Pontecorvo, entrambi firmati. Il S. Gregorio Armeno, della chiesa omonima, oscilla anch'esso ai margini degli interessi primoseicenteschi e gli esercizi sulla pittura francese a Napoli, di cui è evidente il richiamo anche nelle due tele di S. Maria la Nova, la Visitazione e il Riposo in Egitto, documentate al 1662 (Pagano de Vitiis, 1982, p. 392).
Intorno al 1667 si data i Ss. Pietro e Paolo di S. Maria di Monteverginella. Del 1668 è un Carlo II in adorazione dell'immagine del Salvatore, documentato dal Filangieri e non ancora ritrovato. Del 1669 è il Ritratto del conte di Winchelsea, pagato insieme ad altri dipinti, ancora non individuati, dal mercante inglese John Smith (Pagano de Vitiis, 1982, p. 385). Poi il D. eseguì il Ritratto dello stesso mercante (1670; pure non ritrovato); intorno al 1673, per S.Giuseppe a Chiaia firmò una S.Anna, ed eseguì una Sacra Famiglia, ora sull'altare maggiore. Un'altra Sacra Famiglia a Nola (convento dei cappuccini) è pressoché dello stesso periodo. Di qualche anno prima è invece la Madonna e santi dell'Ordine, firmata, della chiesa dei domenicani a Ragusa/Dubrovnik (Prijateli, 1975).
Gli affreschi di S. Luigi di Palazzo (perduti) dovrebbero essere stati iniziati negli ultimi anni del decennio 1660-70; ma il lavoro si protrasse a lungo e buona parte fu affidata a Giacomo Farelli. Oltre a questi, sono perduti anche gli affreschi di palazzo Maddaloni (piano nobile; De Dominici, p. 303) e quelli "della scudella del sedile de' nobili di Nido" (ibid., p. 307). L'unico ciclo rimasto è quello della cappella del santo, in S. Gregorio Armeno, con Storie della vita del santo.
Il D. dipinse una serie di quadri per il quarto conte di Exeter, tutti documentati. Il D'Addosio (1913, pp. 251 s.) segnala una Caduta dei giganti (ricordata anche dal Susinno) un Argo e la giovenca Io ed altro soggetto non precisato, opere che non si ritrovano più a Burghley House, residenza del conte, dove in un inventario del 1688 figuravano a nome dell'artista anche un Ercole, una Susanna ed i vecchioni, un Ritratto di mr. Bernard Distans, oltre a Giuseppe e la moglie di Putifarre, Diana, Prometeo, e Zingari (Pagano de Vitiis, 1982, p. 383). Mancano ancora il Seneca svenato, descritto dal De Dominici (p. 307), ed il bozzetto, che il biografo aveva visto presso i Valletta, l'Ercole ed il Ritratto del marchese del Carpio (1683-1687), eseguiti per lo stesso viceré, i Ritratti segnalati ancora dal biografo (p. 306). In un inventario del 1706 (beni Carafa di Belvedere) sono ascritti al D. un'Allegoria della Fede (palmi 3 × 4), una Battaglia di Ercole con le Amazzoni (palmi 8 × 11) ed un Seneca svenato (palmi 5 × 7: Ruotolo, 1982, pp. 43 s.).
Nel 1688 il D. ricevette la commissione dall'abate Chiocca di Monteoliveto a Napoli, per quattro dipinti (Celano, 1692, III, p. 319), ispirati alla vita del beato Bernardo Tolomei, di cui solo due eseguiti ed ivi esposti; Il miracolo del resuscitato e la Comunione degli appestati. Altra tela del medesimo tema, firmata, si trova presso la biblioteca di Monteoliveto Maggiore presso Siena (Brogi, 1897, p. 36).
Fonti e Bibl.: C. Celano, Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli, Napoli 1692, II, pp. 53, 132, 185; III, p. 319; F. Susinno, Le vite de' pittori messinesi [1724], a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, ad Indicem; F. S. Baldinucci, Vite di artisti dei secoli XVII-XVIII [1725-30], a cura di A.M. Matteoli, Roma 1975, ad Indicem (sub voce Maria, Francesco di); D. A. Parrino, Nuova Guida de' forestieri, Napoli 1725, pp. 113, 286 s.; P. A. Orlandi, Abecedario pittorico, Napoli 1733, p. 449; B. De Dominici, Vite de' pittori scultori et architetti napol., III, Napoli 1743, pp. 302-13; P. Troyli, Historia generale del Reame di Napoli, Napoli 1752, V, 4, p. 445; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Bassano 1789, p. 409; G. A. Galante, Guida sacra della città di Napoli [1872], a c. di N. Spinosa, Napoli 1985, pp. 115, 123, 255, 264, 270, 275 ss.; G. Filangieri di Satriano, Docum. per la storia, le arti e le industrie delle province napol., III, Napoli 1891, p. 411; F. Brogi, Inventario generale degli oggetti d'arte della provincia di Siena, Siena 1897, p. 36; G. Ceci, La corporazione dei pittori napol., in Napoli nobilissima, VII (1898), pp. 10 s.; Id., Scrittori di storia dell'arte anteriori al De Dominici, ibid., VIII (1899), p. 164; G. B. D'Addosio, Docum. ined. di artisti napoletani dei secc. XVI e XVII, in Arch. stor. per le prov. napolet., XXXVIII (1913), pp. 251 s.; S. Ortolani, La pittura napol. dei secc. XVII, XVIII e XIX, Napoli 1938, p. 79; U. Prota Giurleo, Pittori napol. del Seicento, Napoli 1953, p. 15; R. Causa, La Madonna nella pittura napol. del Seicento (catal.), Napoli 1954, p. 57; F. Strazzullo, La corporazione dei pittori napol., Napoli 1963, pp. 25, 27; G. Scavizzi-O. Ferrari, Luca Giordano, Napoli 1966, I, pp. 45 s.; R. Longhi, G. B. Spinelli e i naturalisti napoletani del Seicento, in Paragone, XX (1969), 227, p. 49; O. Ferrari, Le arti figurative nella seconda metà del Seicento a Napoli, in Storia di Napoli, VI, 2, Napoli 1970, pp. 1258-60; R. Causa, La pittura del Seicento a Napoli, dal naturalismo al barocco, ibid., V, 2, 1972, p. 947; K. Prijatelj, Due dipinti di Dubrovnik appartenenti al barocco napol., Zagabria 1975; G. Pagano de Vitiis, I due Recco di Burghley House, in Campania sacra, XIII (1982), p. 135 e passim; R. Ruotolo, Mercanti-collezionisti fiamminghi a Napoli..., Massa Lubrense 1982, pp. 10, 16, 18, 43 s.; C. Fiorillo, in La pittura napoletana da Caravaggio a Giordano (catal.), Napoli 1982, pp. 297 s.; Id., in Civiltà del '600 a Napoli (catal.), Napoli 1984, I, pp. 131, 134, 257 s.; Id., Aspetti poco noti del Seicento napol.: F. D., Napoli 1985; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 92 (sub voce Maria, Francesco di).