PEGOLOTTI, Francesco di Balduccio
PEGOLOTTI, Francesco di Balduccio. – Nacque a Firenze, probabilmente nell’ultimo decennio del XIII secolo.
Suo padre Balduccio godeva di una certa rinomanza in città. Non si hanno notizie della madre. All’epoca della spedizione di Enrico VII era stato mandato come ambasciatore dal Comune di Firenze per trattare con Siena un accordo (ratificato nell’agosto del 1311) che garantisse ai fiorentini libero accesso al porto di Talamone. Il fratello di Francesco, Rinieri, lavorò anch’egli al servizio della compagnia dei Bardi. La sua parabola all’interno della compagnia fu, però, assai più sfortunata. Nel 1332, quando aveva raggiunto una posizione di responsabilità come rappresentante dei Bardi a Perugia, fu considerato responsabile delle perdite derivate dal sequestro di un carico d’oro da parte di briganti, nipoti del vescovo di Nocera. L’incidente rischiò di travolgere anche Francesco e soltanto dopo un negoziato la compagnia si placò (Sapori, 1926, p. 277).
Il nome di Pegolotti fece la sua comparsa per la prima volta nel libro paga dei Bardi intorno al 1310. Da poco doveva aver iniziato un periodo di apprendistato nella compagnia (Sapori, 1926, p. 263). Nel maggio del 1311 fu coinvolto nel pagamento di una lettera di cambio inviata ai Bardi di Firenze dalla compagnia di Napoli; subito dopo (1° giugno 1311) fu destinato, insieme ad altri cinque procuratori dei Bardi, a occuparsi degli affari dell’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme in Italia e nell’Impero e, in particolare, di un debito contratto dall’Ordine che dieci anni dopo sarebbe ammontato a ben 133.000 fiorini. Fu, questo, uno dei primi incarichi affidatigli di una certa rilevanza. A partire da qui la sua carriera ebbe un’impennata e Pegolotti si andò specializzando nel commercio, nelle relazioni con la Curia e in compiti che richiedevano una spiccata propensione diplomatica.
Pegolotti si trasferì pochi anni dopo nell’Europa del Nord, per conto dei Bardi. Nelle Fiandre, nel 1315, ottenne una carta con sigillo ducale che parificava la situazione dei fiorentini con quella dei mercanti tedeschi, inglesi e genovesi dal punto di vista delle imposte. Due anni più tardi, come lui stesso racconta, partì per l’Inghilterra (La pratica della mercatura, a cura di A. Evans, 1936, p. 251). A Londra Francesco Pegolotti gestì la compagnia con un gruppo di fattori governati da Doffo de’ Bardi. Il suo nome appare per la prima volta in un roll del 4 agosto 1317 (Calendar of the patent rolls, Edward II, III, 1903, p. 9).
A questo punto doveva già essere considerato dai suoi titolari un uomo di fiducia se, quando Doffo partì per l’Oltremare, questi nominò procuratore generale per tre anni proprio Pegolotti insieme a Roger Ardingel (Calendar of the patent rolls, Edward II, III, 1903, p. 71). Nei libri contabili dei Bardi di Firenze fu per questa ragione annotato che Pegolotti, dal 1318 al 1321, resse la ‘ragione d’Inghilterra’, ossia che ne fu uno dei direttori (Sapori, 1926, p. 263).
In questi anni Pegolotti gestì una serie di transazioni sia con privati sia con istituzioni, oltre a prestiti di cui furono beneficiari nobili ed ecclesiastici inglesi. I vantaggi derivanti alla compagna dei Bardi dai servizi prestati alla Corte possono essere illustrati dal fatto che il re, il 28 novembre 1319, destinò lettere di salvaguardia a «Roger Ardyngelli, Dinus Forcetti, Francis Balduch’» e compagni che si occupavano degli affari del re. Nonostante non gestisse in modo costante i rapporti con la Corona quanto Dino Forcetti, Roger Ardingelli e il successore di questi Bonus Philippi, anche Pegolotti fu menzionato nel documento regio; era una figura troppo importante per finire nel generico stuolo dei compagni. Ciononostante Pegolotti, più che di questioni fiscali, dovette occuparsi prevalentemente di transazioni commerciali e, soprattutto, del commercio di materie prime quali la lana, come lascia intuire una lunga lista di prezzi della lana inglese e scozzese riportata nella sua pratica di mercatura (La pratica della mercatura, cit., pp. 258-269). Il suo nome fu costantemente presente nelle registrazioni sul traffico di merci e, anche nei Paesi Bassi, dovette privilegiare questo tipo di attività. Sempre per conto dei Bardi, anche a Londra portò a termine operazioni finanziarie di trasferimento delle entrate papali, che il nunzio apostolico raccoglieva in Inghilterra e trasferiva al tesoriere della Curia di Avignone (ibid., pp. XIX-XX).
Alla fine del 1321 Francesco Pegolotti, ottenuto da re Edoardo III d’Inghilterra un salvacondotto per recarsi oltremare, si lasciò definitivamente alle spalle l’Europa settentrionale per iniziare una nuova esperienza sull’isola di Cipro. Stavolta con le lane d’Inghilterra s’imbarcò per arrivare a Livorno. Anche a Cipro la sua parabola iniziò con un successo: il 21 maggio 1324 ottenne dal re un privilegio fiscale che equiparava i fiorentini ai pisani. Fino a quel momento pisani, narbonesi, provenzali, catalani e anconetani avevano pagato un diritto equivalente alla metà di quanto invece gravava sui fiorentini. Dopo che il 23 ottobre 1325 e il 21 settembre 1326 gli furono concessi due rinnovi, il 3 agosto 1327 ottenne un privilegio a carattere perpetuo, nel quale si stabiliva anche che il bailo del comerchium di Cipro avrebbe dovuto considerare fiorentini tutti coloro che il fattore dei Bardi sull’isola avesse dichiarato tali, senza cercare ulteriori prove. Le autorità locali gli riconoscevano così un’autorità e una responsabilità importanti (La pratica della mercatura, cit., p. 84).
Pegolotti rimase a Cipro almeno fino al 1329 e anche là operò per conto dei Bardi come referente in transazioni di trasferimento di denaro per la Curia. La sua pratica di mercatura beneficiò non poco della residenza sull’isola, come attestano i dettagli che raccolse e inserì nel testo relativamente a beni del commercio, condizioni di vendita, imposte, pesi e misure concernenti l’area levantina.
Due anni più tardi, nel 1331, Pegolotti ricomparve a Firenze in veste istituzionale. Il 28 giugno di quell’anno fu estratto come gonfaloniere di Compagnia per il sestriere di Oltrarno, incarico che sarebbe durato dal 1° dicembre 1332 al 31 marzo 1333 (Archivio di Stato di Firenze, Tratte, s. 5, reg. 1, c. 56).
Nonostante gli incarichi politici, all’inizio del 1336 Pegolotti fu inviato nuovamente a Cipro dalla compagnia dei Bardi. Anche in quest’occasione Francesco riuscì a mettere in luce le sue doti diplomatiche, ottenendo dal re di Armenia, con un privilegio del 10 gennaio di quell’anno, l’esenzione fiscale per la sua compagnia e la protezione dalle rappresaglie (ibid., p. 60).
Impiegato nella compagnia dei Bardi ormai da oltre vent’anni, raggiunse al culmine della propria carriera un salario annuo di circa 200 fiorini d’oro, un tipo di compenso che era destinato soltanto ai membri preminenti dello staff, come i fattori di Londra e di Napoli, a dimostrazione che fu uno dei manager più apprezzati e fidati della compagnia.
A Firenze, dove abitava nella parrocchia di S. Frediano, è attestato di nuovo dieci anni più tardi, nel 1340. Il 3 agosto 1340 nominò proprio procuratore il fratello Niccolò per agire per suo conto nelle cause di giustizia e nei lodi arbitrali (Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, reg. 19191, c. 13v). Nello stesso periodo comparve anche in altri documenti notarili (Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, reg. 19191, cc. 14r-v e 16v). Alla fine di agosto fu eletto tra i Buonuomini e poi, nell’autunno dell’anno dopo, gonfaloniere di Compagnia nel sestriere d’Oltrarno (Archivio di Stato di Firenze, Tratte, s. 5, reg. 1, cc. 81 e 85). Nel 1346 gli ufficiali del Comune accordarono a lui e al suo collegio il potere di vendere e alienare i beni di cui sarebbero stati disposti dal Comune (Archivio di Stato di Firenze, Provvisioni, reg. 34, c. 91). Il culmine della carriera politica Pegolotti lo raggiunse nel giugno del 1346, quando fu eletto gonfaloniere di Giustizia per il quartiere di Santo Spirito (Archivio di Stato di Firenze, Tratte, s. 5, reg. 742, c. 64).
Negli ultimi mesi del 1346 Francesco Pegolotti fu anche protagonista di diversi prestiti accordati a sei mesi ad alcuni suoi concittadini: a Maffo del fu Puccio, ad Andrea del fu Pacino, a Francesco del fu Benci, a Talento Pucci (Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, reg. 3581, c. 88r, cc. 88r-v, c. 88v, c. 90r).
Da agente esperto dei Bardi quale era stato per diversi decenni, Francesco Pegolotti fu coinvolto nella gestione della bancarotta della compagnia: fu infatti tra i sindaci nominati dal Comune di Firenze per liquidarne i creditori (Archivio di Stato di Firenze, Provvisioni, reg. 34, c. 149v e reg. 35, c. 19r; Peruzzi, 1868, p. 475). A questo proposito, il 6 ottobre 1347, era presente insieme a Francesco di Lapo quando Guido di Giovanni Boninsegne dichiarò di godere di un credito di ben 3162 fiorini presso la società di Rodolfo de’ Bardi (Archivio di Stato di Firenze, reg. 2539, c. 68v).
Falliti i Bardi, Pegolotti trovò impiego presso un’altra importante società commerciale e bancaria di concittadini. L’annotazione relativa al pagamento di un salario a lui destinato compare infatti in un mastro degli Alberti del 1348. La peste, tuttavia, dovette far cessare ben presto questa collaborazione.
Già l’anno prima, il 5 maggio 1347, era stata proprio la peste a indurlo a dettare testamento al notaio ser Filippo di ser Benintendi. Con la morte e la lettura dell’atto, probabilmente avvenuta nel 1349, le sue ultime volontà furono affidate agli esecutori testamentari Banco di Ser Bartolo, Priorozzo e Niccolaio figli di Banco della parrocchia di S. Niccolò di Firenze che, con il consenso del frate francescano Bernardo de’ Pegolotti, avrebbero dato corso ai legati indirizzati alle persone indicate nel documento.
Probabilmente per questa parentela con il francescano Francesco stabilì un lascito pio in favore dei frati del convento dei minori di Firenze di 25 fiorini d’oro per la celebrazione delle messe, oltre ad altri 25 fiorini destinati all’ospedale dei poveri, ai poveri reclusi e ai poveri vergognosi. Nelle quietanze relative ai pagamenti nei confronti dei frati, vennero menzionati anche la vedova di Francesco, Tessa, e il figlio Pegolotto, posto sotto la tutela di Banco di ser Bartolo (Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, 6743, cc. 88r, 92v).
Il lascito più importante di Pegolotti rimane tuttavia, per i suoi contemporanei e per i posteri, il manuale a uso dei mercanti che scrisse mettendo a frutto la propria esperienza di agente dei Bardi. Si tratta de Il libro de’ divisamenti di paesi e di misure di mercatantie: «e d’altre cose bisognevoli di sapere a mercatanti di diverse parti del mondo, e di sapere che usano le mercatantie e cambi, e come rispondono le mercatantie da uno paese a un altro e da una terra a un’altra, e simile s’intenderà quale è migliore una mercatantia che un’altra e d’onde elle vengono e mosterreno il modo a conservarle più che si può». Questo testo costituisce una delle pratiche di mercatura più importanti del Medioevo. Nel libro Pegolotti, attingendo probabilmente a una serie di documenti in possesso della compagnia dei Bardi, intraprende un viaggio ideale nei principali porti e città commerciali del Mediterraneo e dell’Europa settentrionale. Ne illustra le caratteristiche, i legami, la qualità e la tipologia delle mercanzie reperibili, i sistemi di misura, le monete, le tassazioni in uso su ciascuna piazza.
Il viaggio ideale che è intrapreso in questo libro inizia in direzione del Catai attraverso il cammino della Tana, nel Mar d’Azov. Inizialmente, in termini pratici, l’autore spiega come intraprendere il viaggio, con che mezzi, fornendo dettagli su tempistiche e merci da aggiudicarsi. Il percorso procede attraverso Caffa verso Tabriz in Persia, tocca Trebisonda, Costantinopoli e Pera, il Mar Nero, Altoluogo nell’emirato di Aydin, Adalia in Turchia, l’Armenia, Acri in Siria, Alessandria d’Egitto, Famagosta di Cipro, Rodi, Candia di Creta, la Sicilia, Chiarenza in Grecia, Stiva nei Balcani, Negroponte, la Sardegna, Maiorca, Tunisi, Tripoli e Gerba in Barberia, poi Venezia, il Friuli, Ancona, la Puglia, Salerno, Napoli, Gaeta, Firenze, Pisa, Genova, Nizza e Montpellier, Avignone, Aigues-Mortes, Ibiza, la Borgogna, le fiere di Champagne, Parigi, Fiandre, Bruges, Brabante, Anversa, Londra, l’Inghilterra, La Rochelle in Guascogna, Siviglia, il sultanato di Granada, concludendosi quindi in Marocco.
L’opera, probabilmente scritta tra il 1335 e il 1343, comprende tuttavia materiale raccolto durante tutta la sua carriera al servizio dei Bardi tra il 1310 e il 1340. Il libro è poi arricchito di una serie di strumenti: si apre con una legenda delle abbreviature e della terminologia tecnica che compare nell’opera e con alcuni vocaboli chiave riportati in più lingue. Comprende poi: informazioni su provvedimenti relativi ai panni; nomi di spezie, di sete, di pellicce; indicazioni su come comprare e vendere spezie, sete, pietre da anello e perle; calendari e tavole per calcolare le festività e le lune; ricette per lavorare l’oro e l’argento in lega e far moneta; infine descrizioni accurate su diverse tipologie e qualità di merci che riteneva dovessero essere note ai mercanti.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Tratte, s. 5, reg. 1, cc. 56, 81, 85; reg. 742, c. 64; Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosi-miano, reg. 19191, cc. 13v, 14r-v, 16v; reg. 2539, c. 68v; reg. 3581, cc. 88r-v, 90r; reg. 6743, c. 88r, 92v; Archivio di Stato di Firenze, Provvisioni, reg. 34, cc. 91, 149v e reg. 35, c. 19r; Calendar of the patent rolls, Edward II (1317-1321), London, 1903, pp. 9, 71 [disponibile online: http://sdrc.lib. uiowa.edu/patentrolls/search. html, ultima consultazione 19/9/2014]; L.S. Peruzzi, Storia del commercio e dei banchieri di Firenze in tutto il mondo conosciuto dal 1200 al 1345, Firenze 1868; A. Sapori, La crisi delle compagnie mercantili dei Bardi e dei Peruzzi, Firenze 1926; Francesco Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, ed. e introd. A. Evans, Cambridge (Mass.) 1936; R. Davidsohn, Storia di Firenze, I-IV, Firenze 1956-1968 (1a ed. 1896-1908), III, pp. 685-703; Due libri mastri degli Alberti una grande compagnia di Calimala 1348-1358, a cura di R.A. Goldthwaite, E. Settesoldi, M. Spallanzani, Firenze 1995.