DE RENZIS, Francesco
Nacque a Capua il 7 genn. 1836 da Ottavio e da Maria Rosa Sorvillo.
Il suo casato era nobile da vecchia data. Alla fine del XVI secolo un Vincenzo De Renzis aveva avuto l'investitura del feudo di Montanaro e nel 1628 il figlio Ottavio aveva ottenuto l'iscrizione alla "platea" dei nobili di Teano. Nel secolo successivo la famiglia si trasferì a Capua e nel 1765 il bisnonno del D., anch'egli Francesco, ebbe il titolo di barone di San Bartolomeo. Il D., secondogenito, ereditò entrambi i titoli dopo la morte del fratello maggiore Stanislao (1880).
Fatti i primi studi nel seminario di Calvi, vicino Capua, entrò giovanissimo nel collegio militare della Nunziatella a Napoli. Nel 1854 fu nominato alfiere del genio e con tale grado prestò servizio nell'esercito borbonico fino al 1860, quando il 10 luglio si congedò e insieme con il fratello Michele, anch'egli militare, si recò a Torino per arruolarsi nell'esercito sabaudo. Questa scelta si inquadrava nell'adesione alla linea liberale e antiborbonica di una parte dell'aristocrazia napoletana ed era anche in linea con le tradizioni democratiche della sua famiglia (tra gli altri il prozio paterno Leopoldo era stato ministro della Guerra nella Repubblica napoletana del 1799 e al ritorno di Ferdinando IV era stato condannato a morte).
Subito immesso nell'esercito piemontese, come luogotenente del genio, il D. fu inserito nel corpo al comando del generale Menabrea, che doveva prendere parte alle ultime fasi della guerra contro l'esercito di Francesco II. Partecipò così, nel novembre 1860, al bombardamento di Capua (anche la sua casa risultò notevolmente danneggiata) e poi all'assedio di Gaeta. Qui si distinse per la costruzione di una batteria blindata, da dove nel febbraio 1861 fu dato il colpo di grazia all'ormai stremata guarnigione napoletana. Per il suo operato in questa campagna fu promosso capitano e insignito della croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia.
Negli anni Sessanta il D. continuò a prestare servizio nell'esercito italiano in qualità di ufficiale di ordinanza del re Vittorio Emanuele II. In tale veste partecipò alla campagna del 1866.
Già verso la fine degli anni Sessanta, con i primi componimenti teatrali, si cominciarono a delineare nel D. interessi letterari e più generalmente artistici. Ma in quel periodo egli si segnalò soprattutto come un giovane e aitante militare, frequentatore dei migliori salotti della Firenze capitale, dedito alla compagnia delle belle donne (dal 1864 fu l'amante dell'attrice francese A. Desclée, che, secondo alcuni autori, gli indirizzò le celebri Lettres à Fanfan, pubblicate postume a Parigi nel 1895), e a scrivere e far rappresentare proverbi drammatici, un genere di atti unici in voga in quel tempo, nel quale - secondo il Croce - egli raggiunse livelli accettabili, peccando, però, in meccanicità nei personaggi e nelle situazioni.
Sono da ricordare: Un bacio dato non è mai perduto, rappresentato la prima volta a Napoli nel 1867 e per anni replicato con successo, Fra donna e marito non mettere un dito, probabilmente mai rappresentato, ma pubblicato a Milano nel 1868, La lettera di Bellerofonte, recitato per la prima volta a Firenze nel marzo 1869 dalla Desclée. Negli anni Settanta il D. scrisse altri tre proverbi: Lupo e cane di guardia, rappresentato per la prima volta a Milano nel 1873, il brevissimo monologo IlRubicone e, nel 1877, La farina del diavolo, entrambi mai rappresentati. Questi proverbi furono anche più volte dati alle stampe, sia in un volume che li riuniva tutti, Proverbi drammatici, 2 ediz. Pisa 1876 e 3ediz. - con anche il sesto proverbio - Milano 1878 (la 1 ediz., del 1874, non è stata rintracciata), sia in volumetti singoli, con uno o due di essi, usciti alcuni prima e altri dopo le varie edizioni collettanee, nella collana "Teatro italiano contemporaneo" della Libreria editrice di Milano.
Come autore di teatro il D. scrisse anche due commedie di più ampio respiro: La diritta via, in tre atti, rappresentata per la prima volta a Torino nel 1870, ma pubblicata a Milano solo nel 1877, e IlDio milione, in quattro atti, data alle stampe a Milano nel 1877 e forse mai rappresentata.
Nel complesso l'opera teatrale del D. risentì, come gran parte della produzione italiana del periodo, del peso della tradizione, ricalcando strutture narrative e personaggi più o meno precostituiti. Intrecci, triangoli amorosi, tradimenti reali o presunti rappresentano i motivi dell'azione scenica, ambientata nel mondo gaio e frivolo dell'aristocrazia e dell'alta borghesia. Un maggiore spessore contenutisfico si riscontra solo nella seconda commedia, dove è rappresentato il contrasto tra la nuova spregiudicata borghesia affaristica e quella di vecchio stampo, tradizionalista e moralista. Con i proverbi drammatici il D. raggiunse comunque una certa eleganza letteraria, seguendo felicemente l'esempio del De Musset e ottenendo buoni risultati rispetto a molti suoi contemporanei orientati verso lo stesso modello.
Tra la fine del 1869 e il 1870 il D. dava una profonda svolta alla sua vita: si sposò con Edith Sonnino, sorella dell'influente uomo politico toscano, si congedò dall'esercito (col grado di tenente colonnello), e fondò nel 1870 a Firenze, con G. Piacentini e G. A. Cesana, uno spigliato e brioso quotidiano, destinato ad avere grande successo: il Fanfulla.
Negli anni successivi il D. collaborò attivamente a questo giornale, scrivendo con gli pseudonimi di F. Scapoli, Frou Frou e Conte d'Arco numerosi articoli: di politica, in particolar modo relativi a problemi militari; di critica teatrale e d'arte, con le rubriche piuttosto saltuarie Le prime rappresentazioni e Cose d'arte; di vita mondana, con il frequente Gazzettino del bel mondo, diviso nelle sottorubriche "High-life" e "Sport"; di attualità e costume. La sua vena era sempre arguta ed ironica, sostenuta, negli articoli politici, da una pacata polemica nei confronti degli uomini di governo.
Egli quindi ben si integrò con l'indirizzo politico del giornale, moderato, ma anche aperto a visioni più ampie, alla collaborazione di uomini della Sinistra e a critiche nei confronti di atteggiamenti della Destra o di decisioni governative.
Quando, però, nel 1876 il direttore del Fanfulla, B. Avanzini, abbandonò la linea di indipendenza politica, perseguendo la difesa ad ogni costo della Destra sconfitta ed attaccando duramente la nuova classe dirigente, il D., da due anni deputato al Parlamento tra le file del Centrosinistra, lasciò il giornale assieme al Martini e ad altri, cedendo anche la propria quota di proprietà della testata. In questa occasione egli abbandonò di fatto il giornalismo, limitandosi a collaborare molto saltuariamente con dei giornali, in particolar modo, dal 1879, il Fanfulla della domenica, e solo con novelle, che saranno poi ristampate negli anni Ottanta.
Lasciato il giornalismo, il D. poté dedicarsi più a fondo alla politica e all'attività letteraria. Il suo impegno e il suo successo politico furono determinati dal rapporto con la sua città, Capua, e più in generale con alcuni ambienti economici e politici della provincia di Caserta. Pertanto fu tra i fondatori nel 1881 del giornale locale La Provincia di Terra di Lavoro, a cui era collegata l'Associazione politica liberale, e uno dei principali azionisti della Banca popolare cooperativa di Capua, fondata nel 1885; inoltre fu a lungo consigliere della Provincia di Caserta (dal 1873 al 1889), ricoprendo anche dal 1884 al 1889 la carica di presidente di questo organismo. Come amministratore provinciale si occupo tra l'altro delle inondazioni del fiume Volturno, delle linee ferroviarie, della fondazione del Museo Campano (provinciale) a Capua.
Nel collegio uninominale di Capua fu facilmente eletto deputato nel novembre 1874 (XII legislatura), nel novembre 1876 (XIII) e nel maggio 1880 (XIV); dopo la riforma elettorale del 1882 fu eletto con scrutinio di lista nel collegio di Caserta Il (che riuniva gli antichi collegi di Aversa, Capua, Piedimonte d'Alife, Sessa Aurunca e Teano), nell'ottobre 1882 (XV), risultando il primo dei cinque eletti, e nel maggio 1886 (XVI), dove fu secondo.
Fin dalla sua prima nomina il D. aderì alla Sinistra depretisiana. Fu perciò per i primi due anni all'opposizione, pronunciandosi in particolare contro gli sprechi del bilancio dello Stato da parte dei ministeri dell'Interno e della Guerra (discorsi del 19 febbraio e del 14 dic. 1875). Costituitosi il governo Depretis, il D. ne seguì fedelmente la linea per molti anni, aderendo prima a un moderato progressismo e poi, dal 1882, dopo l'approvazione della nuova legge elettorale, spostandosi su posizioni più conservatrici, anch'egli fece parte quindi di quello che il Carocci definisce il "fronte unico [...] il partito politico della borghesia italiana", basato su "di un programma [...] tendenzialmente reazionario". In questi anni il D. non perse però del tutto la propria autonomia di giudizio e fornì spesso originali contributi nei molti dibattiti parlamentari a cui prese parte.
Nel 1885 non esitò a criticare la politica estera italiana ed in particolare la spedizione di Assab, proponendo, come gran parte della borghesia meridionale, una politica coloniale "attiva ed energica", che servisse a risolvere la crisi agraria, le pressioni contadine sulla terra e la crescente emigrazione verso le Americhe. scopo non bisognava rivolgersi verso l'Eritrea - e in modo timido e pacifico - ma verso l'Africa mediterranea e con i sistemi adoperati in quegli anni da Inghilterra e Francia (discorsi del 25 e 28 gennaio). Proseguendo su questa linea autonoma il D. nel maggio-di quello stesso anno passò all'opposizione, votando assieme al Sonnino e ad altri una mozione di sfiducia al governo, che anticipava di qualche tempo la crisi del 1886 e la definitiva caduta del Depretis dopo l'eccidio di Dogali.
Il D. pubblicò a Milano il suo primo romanzo nel 1878: Ananke (fatalità), la storia di un giovane perseguitato dalla cattiva sorte, che segna da generazioni la sua famiglia e lo spinge al suicidio in una grottesca concatenazione di eventi fatali che pregiudicano il suo legame con la fanciulla amata. Il romanzo ebbe un discreto successo e meritò una seconda edizione (Torino 1889). Frattanto aveva pubblicato un altro romanzo, Il terzo peccato, ibid. 1881, "la storia di una contadinella ingentilita da educazione ricercata, e della persecuzione che le fa un prepotente e rapace sindaco di villaggio, e della sua finale soluzione nell'amore e nel matrimonio" (Croce). Seguirono due raccolte di novelle, in parte già pubblicate in riviste letterarie: La vergine di marmo, Roma 1883 (otto novelle) e Voluttà, ibid. 1885 (cinque novelle).
Nelle novelle come nei romanzi il tratto distintivo è costituito dalla narrazione di amori difficili ostacolati da avversità naturali e sociali, contro le quali molto spesso niente possono gli stereotipati personaggi, pur se sovente dotati - anche le donne - di notevole forza d'animo. Le vicende non raramente indulgono a quegli intrecci tortuosi e foschi propri del romanzo d'appendice. Non mancano però alcune felici descrizioni degli ambienti della nobiltà e della borghesia, in particolare di Napoli e Torino - che il D. ben conosceva -, in cui si svolgono le azioni; come anche delle belle pagine - come nota il Croce - basate sui ricordi della sua vita militare, dall'atmosfera esistente nel collegio della Nunziatella ad alcuni momenti dell'assedio di Gaeta.
Molto sensibile a tutte le forme dell'arte il D. si dilettò anche di musica, fu un discreto pittore dilettante e nel 1883 pubblicò a Roma un volume di Conversazioni artistiche, appunti critici sulla pittura e la scultura contemporanee.
Nel novembre 1889 il D. entrò in diplomazia e fu nominato ministro plenipotenziario del Regno d'Italia a Bruxelles. Per svolgere questo compito egli si dimise dal Parlamento il 3 febbr. 1890. Fu poi, dal settembre 1895 per tre anni, ambasciatore a Madrid, dove diede buona prova di sé occupandosi tra l'altro del conflitto ispano-americano. Nel settembre 1898 gli toccò la sede diplomatica più prestigiosa, Londra, dove per due anni si occupò in particolar modo di politica coloniale. Cercò invano di ottenere l'appoggio inglese alle mire espansionistiche dell'Italia in Cina o in Libia; presentò le rimostranze italiane per gli accordi anglo-francesi di spartizione dell'Africa in zone d'influenza dopo l'incidente di Fashoda; intervenne ancora in occasione delle mire tedesche sul Marocco e della guerra anglo-boera.
Nel settembre 1900, ammalato, lasciò l'incarico londinese. Morì sulla via del ritorno in patria, a Parigi, il 28 ott. 1900. Solo tre mesi prima, il 14 luglio, era stato nominato senatore.
Fonti e Bibl.: oltre al necr. in Illustr. ital., 4 nov. 1900, p. 135, notizie biografiche si trovano in S. Sapuppo Zanghi, La XV legislatura italiana, Roma 1884, pp. 140 s.; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, pp. 383 s.; A. De Gubernatis, Piccolo dizionario dei contemporanei italiani, Roma 1895, pp. 829 s.; P. Parente, in Giorn. di Caserta, 10 dic. 1905, pp. 2 s.; A. Lauri, Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro…, Sora 1915, pp. 68-72; Diz. d. Risorgimento naz., II, pp. 915 s.; Enc. Ital., XII, p. 643; Enc. biogr. e bibl. ital., s. 42, F. Ercole, Il Risorg. ital., III, Gli uomini polit., II, Milano 1941, p. 47; s. 43, A. Malatesta, Ministri, deputati..., I, ibid. 1940, p. 354. Solo pochissimi dati biografici ed i titoli delle sue opere sono nel Diz. encicl. della letter. ital., II, Bari-Roma 1966, p. 272. Una biografia più ampia, ma non priva di errori e senza precisi riferimenti cronologici è quella di M. Cappuccio, F. D., il "D'Azeglio del Mezzogiorno", in Nuova Antologia, ottobre 1951, pp. 161-165.
Notizie biografiche e sul suo casato, accompagnate dalle testimonianze di numerosi uomini politici e di cultura a lui contemporanei, sono nel volume celebrativo Capua a F. D., Capua 1906. Notizie e giudizi critici sulle sue opere (teatrali o di narrativa) sono in B. Croce, La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, V, Bari 1939, pp. 319-322, e G. Squarciapino, Roma bizantina. Società e letteratura ai tempi di A. Sommaruga, Torino 1950, ad Indicem. Sulla fondazione del Fanfulla e i suoi rapporti con questo giornale fino al 1876 si soffermano F. Martini, Confessioni e ricordi. 1859-1892, Milano 1928, pp. 81-88, 106 ss., e O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, I, Roma 1963, ad Indicem.
Sui suoi rapporti con il mondo economico e politico capuano e casertano si sofferma C. Cimmino, Banche, società operaie e democrazia radico-repubblicana in provincia di Caserta (1861-1896), Capua 1974, ad Indicem. Notizie sulla sua partecipazione alle elezioni al Parlamento italiano sono in Indice generale degli Atti parlamentari. Storia dei collegi elettorali. 1848-97, II, Le elezioni politiche al Parlamento subalpino e al Parlamento italiano. Storia dei collegi elettorali dalle elezioni generali del 17-27 apr. 1848 a quelle del 21-28 marzo 1897, Roma 1898; i periodi precisi del suo impegno come consigliere e presidente della Provincia di Caserta sono indicati da La provincia di Terra di Lavoro oggi Caserta nelle sue circoscrizioni territoriali e nei suoi amministratori a tutto il 1960, Caserta 1961, 2 parte, passim.
Sulla sua attività politica e parlamentare si sofferma G. Carocci, A. Depretis e la politica interna italiana, Torino 1956, ad Indicem. Un'ampia documentazione su una parte della sua attività diplomatica è in I documenti diplomatici italiani, s. 3, 1896-1907, I-IV, Roma 1953-1972, ad Indices.