AGUIRRE, Francesco d'
Figlio di Diego, nacque a Salemi il 7 apr. 1682. Addottoratosi in giurisprudenza, nel 1710 fu nominato maestro razionale nella R. Gran Corte dei conti di Palermo. Tra la fine del 1713 e il principio del 1714 fu chiamato a far parte della Giunta degli affari ecclesiastici di Sicilia, dove esplicò la sua dottrina giuridica a sostegno dei diritti regi, contro le pretese della Curia pontificia, particolarmente in relazione alla controversia liparitana. Nel settembre del 1714, il nuovo re di Sicilia Vittorio Amedeo II lo condusse seco a Torino, assieme ad altri magistrati siciliani, della cui opera il sovrano sabaudo intendeva valersi. L'A. fu invitato, insieme al Maffei, a stendere un progetto per il riordinamento dello Studio generale di Torino.
Esaminato l'ordinamento degli studi di varie università italiane e straniere, il 4 apr. 1715 egli propose, tenendo particolarmente presente il modello della Sorbona, un piano di riforma, che, rimasto inedito, fu pubblicato poi, per iniziativa del municipio di Salemi, da I. Lampiasi (Della fondazione e ristabilimento degli studi generali in Torino libri 3, Palermo 1901). L'A., formatosi alla scuola giurisdizionalistica meridionale, e sotto l'influenza delle "dottrine di Francia", si preoccupò in quel momento che vedeva riaccendersi, in forma particolarmente acuta, i conflitti tra Stato e Chiesa, soprattutto di dare, nel suo piano, un saldo fondamento regalista all'insegnamento delle discipline giuridiche e teologiche, rivolgendo invece scarsa considerazione all'insegnamento delle discipline scientifiche. Proprio per questo orientamento, oltre che per il tono di moderazione che le informava, le riforme proposte dall'A. furono preferite a quelle proposte dal Maffei, ritenute troppo ardite.
L'A. fu incaricato di presiedere alla attuazione del suo piano. Già membro del Magistero della riforma, il 22 apr. 1717 divenne avvocato fiscale e quindi censore dell'università e sovraintendente generale all'insegnamento ufficiale per tutto il Piemonte. Prese perciò contatto con i più noti esponenti della cultura italiana del tempo, invitando il Grimaldi, il Gravina, il Muratori, C. Galiani, ecc., a collaborare alla sua opera di rinnovamento culturale. Chiamò quindi a Torino, ad insegnare diritto ecclesiastico, un allievo del Gravina, l'avvocato M. A. Campiani, facendo licenziare il lettore di decretali, p. C. Romano Colonna, e ad insegnare latino e oratoria il napoletano p. B. A. Lama, antiscolastico e noto per le sue simpatie giansenistiche, cercando così di sprovincializzare la cultura piemontese, costituendo a Torino un primo punto d'incontro tra le "dottrine di Francia" e la tradizione giurisdizionalistica meridionale.
Codificate, in buona parte, nelle costituzioni ufficiali dello Studio universitario del 25 ott. 1720 (e poi del 29 ott. 1721 e del 20 ag. 1723) le sue riforme istituzionali, l'A. ne controllò minutamente i primi risultati, stendendo al sovrano un rapporto sullo svolgimento degli studi dell'anno accademico 1720-21.
Intanto nel 1716, in relazione alla controversia liparitana, aveva pubblicato anonimo ad Anversa un trattatello (Dell'interdetto promulgato dagl'Ecclesiastici in alcune chiese del Regno di Sicilia, libri due), in cui, riprendendo teorie quesnelliane, sosteneva l'invalidità delle scomuniche scagliate per motivi temporali, ed attaccava la consuetudine papale di riservarsi il diritto di scomunica, privandone i vescovi (I, p. 127). Questi suoi atteggiamenti (si era adoperato anche per la diffusione dei testi e dei metodi giansenisti, introducendo, fra l'altro, la grammatica latina di Port-Royal nelle scuole piemontesi) e tutta la sua azione riformatrice in generale gli suscitarono contro ostilità, più scoperte quando la politica di Vittorio Amedeo nei confronti della S. Sede mutò, permettendo ai gesuiti di riprendere influenza. Nei primi mesi del 1728 l'A. decise di passare al servizio di Carlo VI, divenuto re di Sicilia, trasferendosi a Milano. Quivi fu utilizzato in importanti incarichi: fu nominato conte e primo reggente del Supremo Consiglio di Spagna in Vienna, prefetto del R. Censimento nelle province lombarde e questore del Consiglio di Milano. In questa città l'A. svolse la sua attività per oltre vent'anni e mantenne assidue relazioni epistolari col Giannone, il Gravina, il Maffei, il Metastasio, il Muratori, ecc. (il suo carteggio si conserva nella biblioteca Trivulziana di Milano, Cod. trivulziano n. 196).
Morì verso il 1753; in quest'anno infatti il libraio milanese Antonio Agnelli mise in vendita i libri provenienti dalla sua ricca biblioteca.
Bibl.: S. Romano, F. d'A. e la sua opera ms. sul riordinamento degli studj generali in Torino, in Arch. stor. siciliano, n. s., XXVII (1902), pp. 346-357; E. M., Il carteggio di F. d'A., in Arch. stor. lombardo, s. 4, XXXI (1904), pp. 180-181; M. Mandalari, Un siciliano in Piemonte (F. d'A.), in L'Italia moderna, III (1905), fasc. 32, pp. 489-508; Id., Quindici lettere del conte F. de A. di Salemi, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, IV (1907), pp. 134-150; A. Lattes, F. d'A. e Scipione Maffei, in Miscell. di storia ital., s. 3, XIII (1909), pp. 73-88; F. Cordova, I Siciliani in Piemonte nel sec. XVIII, Palermo 1913, passim;F. Cognasso, I primi risultati della riforma vittoriana dell'Università di Torino in una relazione del d'A., in Atti d. Acc. delle Scienze di Torino, classe di scienze morali, stor. e filologiche, LXXVII (1941-42), pp. 170-188; F. Nicolini, Un grande educatore italiano. Celestino Galiani, Napoli 1951, pp. 37-38; F. Venturi, Saggi sull'Europa illuminista, I, Alberto Radicati di Passerano, Torino 1954, pp. 115-118; G. Quazza, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, II, Modena 1957, pp. 385-392, 397-404; M. Condorelli, Note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisui sicil. del sec. XVIII, in Il diritto eccles., LXVIII (1957), pp. 327-329, 337; Enc. Ital., II, p. 13.