CARPESANO (Carpesani, de Carpesanis), Francesco
Nato a Parma il 4 ott. 1451 da Antonio, medico e letterato, studiò probabilmente nella città natale e si fece prete. Nel 1473 entrò, come rettore del beneficio dei SS. Quirico e Giulita, nel consorzio di sacerdoti detto "dei vivi e dei morti" istituito presso la cattedrale fin dal sec. XIV. Il vescovo di Parma S. dei Sagramori lo nominò, verso il 1480, suo segretario e si fece accompagnare da lui quando nei primi mesi della guerra contro Venezia (1482) fu mandato a Ferrara da Lodovico il Moro come suo rappresentante presso la lega. Il C. ebbe specialmente il compito di tenere informato lo Sforza di ciò che si trattava e si discuteva tra i collegati e dell'andamento della guerra nel Ferrarese. Morto a Ferrara S. dei Sagramori (25 ag. 1482), il C. tornò a Parma, dove dedicò tutta la sua diligenza e operosità al consorzio, del quale in seguito divenne massaro, sindaco e procuratore.
Il C. redasse con gran cura un Registro dei beni posseduti dal consorzio, con le istruzioni per chi dovesse in avvenire amministrarli, e con la raccolta di tutte le bolle pontificie, le deliberazioni del Comune e gli altri documenti che lo riguardavano, concludendo con l'elenco dei sacerdoti che, dalla fondazione, ne avevano fatto parte. Questo diligentissimo lavoro, finito nel 1492, non era naturalmente destinato alla pubblicazione, ma ad essere conservato nell'archivio del consorzio.
Nel 1493, avendo il Moro imposto una contribuzione al clero parmense, il C., insieme con D. Zoppellari, fu deputato dall'assemblea degli ecclesiastici a trattare l'entità del contributo e le modalità del pagamento; nel 1500 fu uno dei tre delegati dal clero a trattare con la Comunità di Parma riguardo ai dazi della macina e della scannatura.
Conquistata Parma dall'esercito pontificio (8 sett. 1512), il C. fu, insieme con P. Beliardi, rappresentante del clero nella ambasceria mandata a Roma dalla città a giurare fedeltà al pontefice. Si crede sia stata dettata da lui la Responsio Parmensium al papa (19 giugno 1513) in cui si esprime la soddisfazione dei cittadini per il nuovo governo. Nell'agosto fu tra i beneficiari, canonici e parrocchiani destinati a raccogliere 300 ducati per gratificare il card. Farnese, vescovo di Parma. Dal 1521 fu addetto al battistero, scrisse di sua mano il Registro dei battezzati e nel 1524 il prevosto e i canonici del battistero medesimo lo incaricarono della Compilatio iurium et instrumentorum publicorum pertinentium ad Baptisterium Parmense, che è anche un compendio della storia di quella collegiata. Il manoscritto autografo ne è conservato, col nome di LibroRosso, nell'archivio della Curia vescovile.
Degli ultimi anni del C. sono i Commentaria suorum temporum, dedicati al conte Gerolamo Sanvitale. L'opera ebbe due redazioni: la prima narra in dieci libri gli avvenimenti dalla morte di Galeazzo Maria Sforza (26 dic. 1476) alla fine del 1526; la seconda, in dodici libri, arriva a tutto il 1527 e differisce dalla prima anche per le molte correzioni, soprattutto formali.
Il Mabillon trovò nella biblioteca del card. Ottoboni, poi Alessandro VIII, il manoscritto della prima redazione e lo fece copiare. I padri maurini E. Martène e U. Durand la stamparono nel quinto volume della loro Veterum scriptorum et monumentorum historicorum, dogmaticorum, moralium amplissima collectio (Parisiis 1729). Un manoscritto della medesima redazione è nella Bibl. Augusta di Perugia (E. 42, ms. 294) e proviene dalla biblioteca del convento di Monte Ripido. L'autografo della seconda redazione si trova nella Bibl. Palatina di Parma (Parm.874); ne pubblicò alcuni estratti il Benassi in append. al secondo volume della sua Storia di Parma.La narrazione del C., che si estende agli avvenimenti di tutta Italia, è interessante soprattutto quando riguarda fatti cui l'autore ha partecipato o assistito; la descrizione ne è più ampia e circostanziata e giustifica appunto il titolo di commentari. Le parti che si riferiscono alla storia di Parma, sebbene quantitativamente non esuberanti, giacché la struttura dell'opera è molto equilibrata, sono, come testimonianze dirette, un'ottima fonte di notizie. La narrazione è strettamente pragmatica: l'autore non dà mai giudizi sulle persone, né cerca di delinearne il carattere. Le orazioni dei personaggi, che il C., com'è uso della storiografia umanistica, stende in forma diretta, sono sempre molto brevi. Il latino del C., che il Tiraboschi e il Flamini giudicarono privo d'eleganza, è piuttosto ineguale: ora sciatto, ora alquanto ricercato. L'autore ama i vocaboli rari, che si trovano soltanto in scrittori dell'età arcaica o dell'argentea; designa esclusivamente con nomi romani le cariche e gli uffici (i preti, ad es., son sempre chiamati flamines);per indicare luoghi, fiumi, paesi usa soltanto i nomi che essi avevano, o che egli credeva avessero, in età romana, spesso dichiarandone, con compiaciuta erudizione, l'origine o l'etimologia.
Morì il 6 sett. 1528. Secondo una tradizione sarebbe morto ad Assisi e il suo corpo sarebbe stato portato a Parma dove è sepolto nella cappella del consorzio.
Bibl.: I. Affò, Mem. degli scrittori e letterati parmigiani, III, Parma 1791, pp. 212 s.; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VII, Venezia 1796, p. 886; U. Benassi, Storia di Parma, Parma 1899, ad Ind.;F. Flamini, Il Cinquecento Milano s.d., p. 326; F. Razzetti, F. C. nel quinto centen. della morte, in Aurea Parma, XXXV(1951), pp. 217 s.; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, V, p.112; P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, p. 40.