BREMBATI, Francesco
Nato a Bergamo nel 1705 dal conte Coriolano e da Francesca Mazzoleni, in una famiglia che aveva già dato lustro alla città in campo politico e letterario, compi i primi studi sotto la guida paterna, dimostrando un ingegno vivace e precoce. A dieci anni fu inviato a Modena, ove studiò con valenti maestri, tra cui Girolamo Tagliazucchi, ed ebbe modo di stringere amicizia con Domenico Vandelli, Giuseppe Orsi e Ludovico Antonio Muratori. A quest'ultimo il B. rimase sempre particolarmente legato anche dopo il suo definitivo rientro nella città natale (1721). Già nel dicembre 1721 il dotto abate modenese, che stava preparando il materiale per i Rerum Italicarum Scriptores, chiese la collaborazione del B. per la ricerca di scritti riguardanti la storia bergamasca.
Il B. gli inviò, tra l'altro, il Carmen de laudibus Bergomi, un poemetto, da lui attribuito erroneamente - com'era opinione allora comune - a un Mosè Muzio chel'avrebbe composto all'inizio del secolo VIII dedicandolo all'imperatore Giustiniano II. Il Muratori, dopo aver collazionato il testo già edito a Bergamo nel 1596 con il manoscritto inviatogli dal B., inserendolo nel quinto volume dei Rerum (pp. 531-536), dimostrò che l'operetta non poteva essere attribuita a Mosè Muzio e risaliva a non prima del secolo XII: il B., convinto della bontà della tesi muratoriana, la difese contro le critiche di alcuni concittadini. Un altro notevole contributo del B. alla raccolta del Muratori fu rappresentato dal Chronicon bergomense guelpho-ghibellinum auctore Castello de Castello ab anno MCCCLXXVIII usque ad annum MCCCCVII (cfr. Rer. Ital. Script., XVI, Mediolani 1730, pp. 840-1008).
Il rigore filologico e la grande passione che il B. dimostrava per le memorie patrie indussero il Consiglio cittadino (8 marzo 1743) ad includerlo, con P. Calepio, Giovanni Benaglio e Bartolomeo Secco Suardo, nella commissione incaricata di raccogliere le lapidi antiche di Bergamo. Per suo conto il B. mise insieme una vasta raccolta di medaglie, monete, bronzi, cammei, urne, quadri e codici che con grande generosità aprì agli studiosi di antiquaria. Cure assidue dedicò anche alla sua biblioteca, nata dai molteplici interessi di studio che egli rivolgeva alle scienze matematiche, giuridiche, filosofiche e teologiche. Ma in modo particolare il B. si dilettò di poesia, dimostrando un sicuro gusto nella pubblicazione di Poesie scelte dopo il Petrarca e gli altri primi, Bergamo 1756-57 (in due volumi), mentre in onore dell'antico maestro raccolse Poesie e orazione di Girolamo Tagliazucchi, Bergamo 1757.
Il B. ebbe anche una notevole importanza nella creazione di un gruppo filogiansenista bergamasco. Formatosi in una famiglia che vantava salde tradizioni anticuriali, egli aveva collaborato con il padre Coriolano, che aveva grande influenza nel Consiglio della città, nella lotta per l'espulsione dei gesuiti ritornati a Bergamo grazie a un'eredità (1729). L'avversione per la Compagnia derivava in lui da una propensione verso una religiosità spogliata d'ogni elemento esteriore e che tenesse conto anche delle esigenze della ragione: in ciò il B. oltrepassava le posizioni del Muratori.
Spregiudicata era la curiosità intellettuale che lo spingeva a leggere i libri proibiti dall'Indice: e al Muratori, che cautamente lo consigliava di seguire le leggi ecclesiastiche, il B. rispondeva (27 giugno 1729): "Io ho in testa diverse cose nemiche, e contrarie all'universal credenza, e chio stimo veraci, le quali se al volgo, e a' superstiziosi discoprissi, fuggirebbemi, si come un eretico. Parmi, che la ragione che Dio ci ha dato c'illumini sovente meglio d'alcuni che si chiaman Teologi, tutta la veneranda autorità, scienza e infallibilità de quali consiste nella laurea ottenuta, che lor permette di spacciar ircocervi per dogmi, e opinioni di morale, e non ha poi fondamento veruno nelle scritture, su i Padri, e sulla soda ed antica ecclesiastica erudizione...". Pur rimanendo estranee ai suoi interessi le controversie teologiche, il B. accolse nella sua biblioteca accanto ad autori razionalisti ed illuministi le opere dei giansenisti francesi (particolarmente per l'influenza che subì da parte di Maffeo Rocchi cappellano della sua casa e segretario dell'Accademia bergamasca degli Eccitati). Da queste sollecitazioni egli derivò l'impegno per una riforma della Chiesa, passando dall'adesione alla "regolata devozione" muratoriana all'approfondimento delle ragioni che spingevano alla lotta antigesuitica anche attraverso la corrispondenza con A. P. Berti, D. Concina, V. Patuzzi, A. Valsecchi, Viatore da Coccaglio e C. Rotigni, il quale ultimo gli inviava le giansenistiche Nouvelles ecclésiastiques. Si adoperò, allora, alla diffusione della "sana dottrina", preoccupandosi di chiamare sui pulpiti bergamaschi predicatori rigoristi, quali il carmelitano scalzo Marco di S. Francesco e il camillino Ignazio Porro, e formando nella sua casa un attivo centro di discussione dei problemi religiosi. Notevole influenza su di lui esercitò anche il filogiansenista Alessandro Terzi, minore conventuale, di cui il B. pubblicò le Prediche quaresimali (Bergamo 1765). Ma soprattutto il tradizionale giurisdizionalismo veneto lo portava a guardare con simpatia la polemica febroniana contro il centralismo della Curia romana (già nel febbraio 1764 il B. leggeva con interesse il De statu ecclesiae)e il richerismo di G. A. Cornaro, a lui molto legato, che già nel 1760preparava l'opera De' parrochi (Bergamo 1771).L'ascendenza sarpiana dell'anticurialismo del B. è evidente nel ricorso che egli presentò nel 1766 al governo della Serenissima, opponendosi a un nuovo tentativo gesuitico di rientrare a Bergamo valendosi di un'eredità lasciata loro dall'arciprete A. Zucchi; dopo aver respinto le calunnie di empietà, che egli avvertiva esser state diffuse artatamente dai gesuiti e dai preti della missione, il B. sosteneva che "al giustissimo principe compete sempre il diritto di piena potestà di stabilir leggi atte a legar giustamente ogni suddito in tutti li casi alla ubbidienza interna'ed esterna... e che l'allegar assiomi canonici e morali contro tale diritto sempre indipendentemente da questioni latine, e pericolose interpretazioni o applicazioni di Bolle Romane, è un introdurre uno stato estero, ed influsso romano nello Stato giustamente e felicemente governato...".
Il B. morì a Bergamo il 6 marzo 1768.
Fonti e Bibl.: Nella Biblioteca Civica A. Mai di Bergamo si conservano quattro volumi di Lettere originali di diversi uomini illustri scritte al nob. sign. conte F. B.; Lettere inedite di L. A. Muratori e del conte F. B., a cura di C. Lochis, Bergamo 1884; Epistolario di L. A. Muratori, a cura di M. Campori, VI-XII, Modena 1903-1911, ad Indices;A.Pesenti, Lettere inedite dell'abate Costantino Rotigni al proposto Cornaro parroco di Villongo S. Filastro (1758-1762), in Bergomum, XXXII(1958), p. 170; Novelle letterarie di Firenze, IX (1748), Col. 270; B. Vaerini, Gli scrittori di Bergamo, I, Bergamo 1788, pp. 250-256; G. A. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII..., I, Venezia 1806, p. 77; G. Dandolo, La caduta della repubblica di Venezia ed i suoi ultimi cinquant'anni,Appendice, Venezia 1857, p. 186; G. Natali, IlSettecento, Milano 1936, p. 379; A. Pesenti, Note sul. giansenismo bergamasco durante l'episcopato di Antonio Redetti (1731-1773)con carteggi e documenti inediti, in Miscellanea A. Bernareggi, a cura di L. Cortesi, Bergamo 1958, pp. 761-828; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, V, Bergamo 1959, pp. 49, 51 s., 113 s., 126, 135; A. Vecchi, Correnti relig. nel Sei-Settecento veneto, Venezia-Roma 1962, pp. 317-320, 351, 453.