BETTI, Francesco
Di famiglia facoltosa, nacque a Roma nel 1521 e ancora in giovane età entrò al servizio di Antonio Doria, marchese di Santo Stefano. Divenne poi segretario di Francesco Ferdinando d'Avalos, marchese di Pescara.
Entrato in relazione con gli ambienti evangelici italiani e acquisita una certa dimestichezza con le dottrine riformate, il B. si converti segretamente al protestantesimo intorno al 1550. La posizione nicodernitica gli permetteva di propagandare la propria fede riformata mediante discussioni e di proporre dubbi persino al suo signore. All'inizio dell'anno 1557, con il pretesto dell'uccisione, peraltro assai misteriosa, di un suo fratello, il B. abbandonò il Pescara. Forse la ragione della fuga improvvisa va ricercati nell'inasprimento delle misure antiereticali sollecitato da Paolo IV al cardinale Cristoforo Madruzzo, governatore dello Stato di Milano, dove il Pescara ricopriva la carica di generale di cavalleria, e nel desiderio di passare dalla posizione nicodemitica all'aperta professione della fede riformata.
Nell'aprile 1557 il B. risulta a Basilea in attesa di Giacomo Aconcio insieme col quale aveva organizzato la fuga. Da Celio Secondo Curione, conosciuto l'anno precedente, ottenne il ro luglio 1557 una lettera di presentazione per il Bullinger, il capo della Chiesa riformata zurighese, dal tipografo Pietro Pema aiuti e consigli. Non si sa per quanto tempo sia rimasto a Basilea. Certo è che si recò a Zurigo con l'Aconcio, e vi incontrò Bemardino Ochino, i due Sozzini, P. M. Vermigli, Johannes Wolf, Josias Simmier, Jacob Fries e altri esuli inglesi "mariani". Fausto Sozzini chiamerà il B. "un amico vecchissimo e carissimo".
Il 16 ott. 1557 scrisse da Zurigo una Lettera di Francesco Betti romano, all'illustriss. et eccellentiss. S. Marchese di Pescara suo padrone, ne la quale da conto a sua Eccellenza de la cagione perché licentiato si sia dal suo servigio,che uscì a Basilea nello stesso anno, con tutta probabilità per le stampe del Perna. La Lettera spiega le ragioni della fuga e attesta l'esultanza per la raggiunta libertà di fede in terra svizzera. Il tono dello scritto è luterano-valdesiano. Alla Lettera replicò violentemente il noto polernista, cattolico Girolamo Muzio (Risposta a Francesco Berti,Pesaro 1558), con il quale il B. iniziò un lungo duello polemico.
Lasciò Zurigo nell'estate dei 1558 per ritornare a Basilea, dove l'Aconcio pubblicò presso il Perna il suo De methodo,dedicato al Betti. Insieme si trasferirono a Strasburgo nell'agosto del 1558. Il 2 germaio e il 21 mano 1559 il B. scriveva da questa città a Joharmes Wolf. A Strasburgo pubblicò una Risposta di M. Girolamo Mutio Iustinopolitano ad una lettera di F. Betti… chiarissimamente confutata,che polemizza passo passo con l'opuscolo del Muzio: anche questo scritto è di impronta evangelistica in senso anticattolico e filoluterano.
Partito l'Aconcio per l'Inghilterra, del B. non si hanno più notizie precise. Forse seguì l'amico in Inghilterra, certo è solo che verso la fine dell'estate del 1562 egli risulta di nuovo a Basilea, dove mantenne una fitta corrispondenza con l'Aconcio. Un ricco mercante, amico degli antitrinitari, Nicola Carnulio, associa in una lettera del 1563 il nome di Fausto Sozzini (Dario) a quello del B., allora in "attesa" a Zurigo. Non è noto, però, se il B. fosse in questo periodo solo di passaggio, o se invece risiedesse stabilmente in questa città. Durante l'inverno 1563-1564 incontrò sicuramente l'Aconcio, venuto nel continente per consegnare al Perna il manoscritto dei Satanae stratagemata.Nel giugno del 1565 s'iscrisse all'università di Basilea, e dovette avere un ruolo di qualche rilievo, se Pierre de La Ramée lo ricordò con termini elogiativi nella sua allocuzione Adsenatum populurnque Basiliensem.
In corrispondenza con Francesco Pucci, che convinse ad abbandonare l'Inghilterra e a venire a Basilea per partecipare a una disputa sullo stato del primo uomo ante lapsum,il B. mantenne ottimi rapporti con Mino Celsi, Giovanni Bernardino Bonifacio e Basilio Amerbach.
Il destinatario della lettera del 1566,nella quale l'Aconcio spiega la sua dottrina "de natura Christi", è assai verosimilmente il Betti. Respingendo le sollecitazioni di amici italiani che, incoraggiati dal cardinale inquisitore R. Pio, lo invitavano a desistere dalla sua apostasia, il B. continuò a difendere appassionatamente la sua fede religiosa e a procurare informazioni e libri ai compagni di fede. Nel 1567mandò a Giacomo Castelvetro una copia del Catalogum testium veritatis di Matteo Flacio Illirico. I rapporti con il Celsi sono attestati da una lettera che questi gli indirizzò nel maggio del 1570.
Intanto il Muzio aveva continuato la polemica con un nuovo opuscolo, Le malizie bettine distinte in quattro parti,Pesaro 1565, al quale il B. rispose con le Difese di Francesco Betti sopra le colpe falsamente attribuitegli nel libro intitolato le malizie bettine,Trajetto 1574. Nel 1589, poco prima della morte, pubblicò una seconda edizione "riveduta et emendata" della sua Lettera… al S. Marchese di Pescara,sempre a Basilea e per le stampe del Perna, con una dedicatoria al cavaliere Orazio Pallavicini.
Da tutti questi scritti emerge chiara la sua ortodossia protestante: negli argomenti usati per la polemica contro il papa-anticristo, contro le indulgenze, il culto delle immagini, si può cogliere un'impronta spiritualistica di origine valdesiana, per altro né originale né marcatissima, per il resto tutto rimane nella più perfetta ortodossia. Come si concili questa ortodossia protestante con i rapporti assai cordiali intrattenuti con tanti "eretici", è difficile precisare. Si dovette trattare tuttavia di relazioni personali assai poco connesse con le questioni dottrinali che agitavano allora gli emigrati italiani per motivi di fede.
Del B. si ricorda anche una traduzione di uno scritto di Galeno da Pergamo, Del modo da conoscere et medicare le proprie passioni dell'animo,Basilea 1587.
Il B. morì a Basilea il 30 ag. 1590. Dall'inventario dei suoi beni redatto dall'amico Amerbach risulta che la sua posizione economica era assai buona: la sua attività di prestatore doveva rendergli notevolmente. Aveva sposato in tarda età la vedova di Paolo Colli, Ester, dalla quale ebbe due figli, Flaminio e Paolo.
Fonti e Bibl.:F. Pucci, Lettere. doc. e testimonianze,II,a cura di L. Firpo e R. Piattoli, Firenze 1959, pp. 129 s.; L. Perini, Note e doc. su P. Perna libraio-tipografo a Basilea,in Nuova riv. stor.,I (1966), pp 155 s., 171, 172 ss.; F. Meyer, Die evangel. Gemeinde in Locarno….Ziffich 1836, I, p. 149; II, pp. 152, 246; D. Cantimori, Eretici ital. del Cinauecento,Firenze 1939, ad Indicem;C.D. O'Malley, lacopo Aconcio,Roma 1955, pp. 15 s., 66 ss.; L. Firpo, F. Pucci a Basilea,in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di B. Nardi,Firenze 1955, pp. 257 s., 260 ss.; 295; G. Busino, Italiani all'univer. diBasilea dal 1460 al 1601,in Bibl. d'humanime er renaissance,XX(1958), p. 505.