BON, Francesco Augusto
Attore e autore drammatico, nato a Venezia nel 1788 da genitori patrizî, morto a Padova nel 1858. Mutò il suo secondo nome Antonio in Augusto dacché Maria Luisa duchessa di Parma lo chiamò una volta, per sbaglio, Augusto. L'amore per un'attrice, Assunta Perotti, lo fece attore nella compagnia comica in cui essa recitava. Nel 1816, sempre restando attore, esordì come autore drammatico, e alle prime commedie presto altre ne seguirono, tante da raggiungere una cifra totale di circa 60. Come attore il B. fece anche parte della storica Compagnia reale sarda; nel 1842 fu professore nell'Accademia filodrammatica di Milano, nel 1846 fu a capo della Compagnia lombarda; dal 1856 diresse l'Istituto filarmonico-drammatico di Padova. Aveva sposato in prime nozze, nel 1811, Luigia Ristori, vedova del comico Antonio Bellotti, di cui adottò il figliuolo, che prese il nome di Luigi Bellotti-Bon. Negli ultimi anni della sua vita passò a seconde nozze. Tra i figli di primo letto gli sopravvisse anche l'attrice Laura Bon (v.).
Sul B. attore ci è rimasto un giudizio, in sostanza non favorevole, di Ernesto Rossi, che nei suoi Studi drammatici dice di lui: è preciso; recita benissimo, ma tutto ciò non basta a formare un buon attore". Quale autore, il B. mosse dall'imitazione dei commediografi francesi, che al principio del suo secolo già tenevano il campo: più tardi, progredendo nell'arte, cercò di rifarsi soprattutto ai modelli del Goldoni, sicché il suo nome suole annoverarsi fra i meno scialbi goldoniani del primo Ottocento; ma in realtà il suo amore per l'intrigo fervido e festoso risente sempre del suo prediletto Beaumarchais. Facile, non privo di fantasia, più attento alla piacevolezza che alla verità psicologica, e spesso assai frettoloso, egli fu caro al gusto delle platee; perciò, lui vivente, i capocomici che non riuscivano ad aver suoi lavori, gabellavano per sua questa o quella commedia raffazzonata alla meglio dal francese, il che suscitò più d'una protesta da parte del B. (v. Gazzetta Ufficiale di Venezia nel 1822; ma il caso si ripeté anche nel 1830 e nel 1831).
Un intreccio tra candido e complicato, ma svolto con garbo, nel viavai di figure le quali a nostro gusto oggi sembrano, meglio che caratteri, ingenue macchiette, egli trattò nell'Importun0 (1817; più conosciuto col titolo L'Importuno e l'astratto); in Così faceva mio padre (1823) riecheggiò le note dei "burberi" goldoniani; alla nitidezza di figurine goldoniane tornò nel grazioso disegno della commedia Niente di male (1830); nel Testamento di Figaro (1837) riprese e compì a suo modo la trilogia non finita dal Beaumarchais. Ma la sua opera più simpaticamente applaudita per tutto l'800, e che talvolta si rappresenta anche oggi dalle nostre compagnie dialettali, è Ludro e la sua gran giornata (1832; cui tennero dietro a guisa di trilogia Il matrimonio di Ludro nel 1836 e La vecchiaia di Ludro nel 1837): fusione abbastanza felice di motivi proprî del Beaumarchais, e d'altri cari al Goldoni, ma anche ritorno alla originaria commedia classica, l'italiana, la plautina e la menandrea: prima di essere Figaro e L'uomo di mondo, Ludro ricorda i faccendieri che sono al centro della commedia antica, a servizio dell'amore e della gioventù contro la grettezza dei vecchi, l'avarizia, il duro puntiglio. Più che osservatore della natura, più che artista il quale avesse da esprimere un mondo suo proprio, il B. fu un uomo di teatro, che si dilettò in abili riprese, e variazioni garbate, di motivi già svolti dagli autori che amava. Fu anche giornalista; e lasciò le sue memorie col titolo Avventure comiche e non comiche di F. A. Bon, tuttora inedite.
Bibl.: L. Ciampi, La commedia italiana, Roma 1880; G. Costetti, La compagnia reale sarda, Milano 1893.