GIORGIOLI, Francesco Antonio
Figlio di Giovanni Pietro e Maria Sibilla Buzzi, nacque intorno al 1655 nel Canton Ticino.
La data della sua nascita non è riportata nei registri parrocchiali di Meride, località dove la famiglia è documentata dalla prima metà del Cinquecento (Keller-Schweizer, 1972, p. 13), né a Viggiù o a Clivio, paesi di provenienza della famiglia della madre, per cui si presume che egli sia nato in altra località. Tuttavia si può desumere l'anno di nascita del G. dalle carte del censimento condotto a Meride nel 1696, dove risulta che egli era, a quella data, quarantunenne.
Numerose furono le famiglie di artisti provenienti da questa zona del Canton Ticino; ma la loro attività è legata tradizionalmente al lavoro del marmo. Solo i Giorgioli risultano essere stuccatori e scultori lignei, mentre il G. fu il primo pittore della famiglia.
Il padre, Giovanni Pietro, detto il Longo, fu maestro intagliatore e tenne bottega a Lugano, lavorando di frequente con un altro figlio, Carlo Giuseppe, minore del G. di tre anni: entrambi risultano essere, infatti, a Torino tra il 1669 e il 1671 e poi in varie riprese, tra il 1679 e il 1688, nella chiesa di S. Virgilio a Gandria. Carlo Giuseppe lavorò spesso anche accanto al fratello maggiore; si sa inoltre che fu impiegato come intagliatore a Friburgo nel 1701 presso un nobile non identificato (Martinola, 1963, pp. 47 s.).
La prima notizia riguardante il G. risale al 1677, quando sposò Margherita Roncati. È possibile ipotizzare che i primi anni di apprendistato del pittore si siano svolti nella bottega dei Roncati, poiché in tale famiglia, anch'essa originaria di Meride, risultano essere presenti, oltre a scalpellini e scultori, anche pittori, tra i quali, in particolare, Giovan Battista, cugino di Margherita.
Per conoscere l'attività e i frequenti spostamenti del G. di fondamentale importanza risultano essere le numerose lettere che egli inviò all'amico Alfonso Oldelli, un artista divenuto in seguito notaio a Meride. Una di queste lettere accerta la presenza del G. nel 1678 a Milano da dove spedì un disegno che proveniva dalla bottega di Michele Angelo Vanelli per un tabernacolo da eseguire a Meride, ma non è chiaro se l'artista lavorasse in questa bottega o fosse semplicemente amico del pittore (Id., 1975, p. 323).
Il soggiorno milanese del G. dovette prolungarsi in un lasso di tempo sufficientemente lungo per poter spiegare le componenti lombarde della sua pittura, particolarmente incline a riproporre in chiave delicatamente patetica alcune caratteristiche della cultura figurativa espressa dai pittori dell'Accademia Ambrosiana, in particolare Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone, ma anche Camillo Procaccini.
Nel 1680 il G. si recò a Roma insieme con il cugino della moglie Giovan Battista Roncati e qui si trattenne stabilmente fino al 1683, escluso un soggiorno di circa sei mesi a Firenze nella seconda metà del 1681. A Firenze lavorò molto - egli stesso affermava in una lettera di "andar continuamente operando" (Id., 1963, p. 53) - e fu fatto gentiluomo; del suo operato tuttavia non rimane nulla. A Roma eseguì sicuramente incisioni, come testimonia l'acquaforte raffigurante I quattro martiri incoronati dagli angeli (Roma, Istituto nazionale per la grafica) e dovette eseguire anche affreschi di cui non resta traccia; tuttavia le commissioni romane non dovettero essere in gran numero e senz'altro furono mal pagate se, nell'inverno del 1682, il G. sembrò cedere di fronte alle difficoltà economiche e desiderare il rientro in patria.
Negli anni tra il 1683 e il 1687 fu a Lugano, dove già era la bottega del padre e del fratello, realizzando nella chiesa di S. Antonio, tra il 1683 e il 1684, un affresco con l'Esaltazione della Croce al cospetto della Trinità; della decorazione in stucco si occupò lo stuccatore luganese Girolamo Rossi amico del G. e suo futuro collaboratore in Germania. Nel 1685, per la cappella di S. Carlo al Sabione in Rossa, nei Grigioni, eseguì una pala d'altare con la Madonna del Rosario tra i ss. Carlo e Domenico, firmata e datata. Sempre nei Grigioni, intorno al 1686, portò a termine una serie di lavori tra i quali due cicli di affreschi firmati: il primo, molto rimaneggiato, nel coro della chiesa di S. Bernardo in Leggia con Storie di s. Bernardo; il secondo, per gli altari laterali della chiesa di S. Rocco in Soazza, raffigurante episodi della vita di s. Rocco e la Morte della Madonna.
Alla metà degli anni Ottanta si possono riferire anche la Via Crucis dipinta sui muri del giardino dell'ospizio dei cappuccini a Soazza, alcuni affreschi eseguiti a Mesocco nella parrocchiale di S. Domenico (cappella di S. Francesco) e nella chiesa di S. Stefano, una pala d'altare per S. Bernardo in Rossa e gli affreschi nella cappella di S. Carlo Borromeo a Lostallo raffiguranti la Concessione del Rosario a s. Domenico. In quest'ultima opera, in particolare, il pittore sembra trarre nettamente ispirazione da dipinti di Cherubino e Giovanni Alberti in S. Silvestro al Quirinale a Roma.
Ottenuta una certa tranquillità economica, il G. nel 1687 lasciò nuovamente la Svizzera per recarsi a Venezia dove si trattenne per un breve periodo che sembrerebbe essere stato più di studio che di lavoro; da qui si recò direttamente a Vienna, dove si fermò per circa due mesi, per poi partire alla volta di Varsavia dove arrivò nell'aprile del 1688. Nella città polacca era stato chiamato per l'interessamento del suo conterraneo Giovan Pietro Tencalla, architetto e ingegnere che lavorava sia per la corte austriaca, sia per quella di Varsavia. Qui risiedette insieme con il fratello Carlo Giuseppe, che vi era giunto intorno al dicembre del 1687 e vi lavorava autonomamente. Committente del G. fu il gran maresciallo della Corona Stanislaw Herakliusz Lubomirski padrone del castello di Ujazdów, dove il G. dimorò insieme con il fratello; per Lubomirski eseguì gli affreschi nella cupola, nel tamburo e nei pilastri sottostanti della chiesa di Czerniaków secondo precise indicazioni del committente, il quale tuttavia si rifiutò di redigere un vero e proprio contratto e pagò, a detta dell'artista, assai poco l'opera.
Il G. dipinse al centro della cupola S.Antonio in preghiera con in alto una Gloria di santi e, in basso, i Miracoli del santo; nel tamburo, quattro affreschi con Angeli musicanti e, nei pilastri sottostanti, alcune figure di Angeli. La ricca decorazione a stucco che incornicia, ma che più spesso si fonde con la pittura, si deve, con ogni probabilità, a Carlo Giuseppe. In quest'opera si misura l'effetto che su G. dovette avere la visione della volta del Gesù a Roma che egli tentò di riprodurre anche nell'idea berniniana di unione delle arti.
Il pittore si trattenne in Polonia fino a tutto il 1689. L'anno successivo si recò con ogni probabilità nel Canton Ticino: risalgono, infatti, a questo anno i pagamenti per la decorazione della cappella Rosenkranz nella chiesa parrocchiale di Corzonesco raffigurante la Madonna in gloria. Nello stesso periodo lavorò anche a S. Stefano a Tesserete e a S. Silvestro a Meride. Nella chiesa di S. Stefano, in particolare, dipinse su lastre di rame i Misteri del Rosario e, nel 1686, alcuni affreschi nella cappella dei Morti raffiguranti le Anime del purgatorio (Piffaretti, p. 87). Sempre in questo volgere di tempo, fu impegnato in un vasto ciclo di affreschi (la Glorificazione della Trinità, la Crocifissione, la Fuga in Egitto, la Nascita di Cristo) nella casa parrocchiale di Magliaso, che dovette occuparlo per parecchi mesi.
Nel 1691 il G. si recò in Germania, a Eisenberg, dove, insieme con l'amico stuccatore Girolamo Rossi, fu probabilmente al servizio del duca Christian di Eisenberg, il quale, già dal 1677, aveva dato avvio alla costruzione di un castello e di una chiesa in stile barocco italiano. Nell'autunno dello stesso anno il pittore si spostò a Coburgo; da lì si recò più volte a Weimar, dove si fermò per quasi tutto il 1692 alla corte del duca Guglielmo che in quegli anni faceva decorare il suo castello, distrutto nel 1774.
Nel 1693, in seguito a una disposizione di una sua zia suora orsolina, il G. avviò i lavori per l'intera decorazione delle pareti del coro e della cupola della chiesa di S. Silvestro a Meride con Storie di s. Silvestro e Costantino e la Madonna in gloria. I lavori nella chiesa dovettero svolgersi in due riprese e concludersi entro il 1702; si ha anche notizia di un tabernacolo ligneo eseguito nel 1699 da Carlo Giuseppe per questa chiesa (Keller-Schweizer, 1972).
Nel 1694 cominciò a lavorare per la chiesa abbaziale del convento dei benedettini a Pfäfers nel Cantone di San Gallo, dove era stato preceduto, già da alcuni mesi, da tre stuccatori suoi conterranei, Giovan Pietro Neuroni, Giovanni Bettini e Antonio Peri, forse proprio scelti da lui.
Si tratta di oltre duecento affreschi, fra grandi e piccoli, e di sette tavole entro grandi riquadri a stucco destinati ad accogliere le pitture e non più a fondersi con esse secondo quanto il G. aveva sperimentato in Polonia. In particolare, nella sagrestia il G. dipinse la Leggenda della fondazione del convento; e nella navata, vari episodi biblici e neotestamentari.
Nel 1695 morì la moglie, lasciandogli sette figli; in questo stesso anno il G. si risposò con Iacoba Vassalli di Riva San Vitale, dalla quale ebbe altri sei figli. Nello stesso anno fu nel castello di Willisau presso Lucerna, dove eseguì tre grandi affreschi di carattere mitologico, e nel castello di Heidegg, ove realizzò un ciclo di affreschi con le Allegorie delle Virtù. Terminato questo lavoro, tornò a Pfäfers per completare i lavori nel coro della chiesa. Nel 1696 iniziò a lavorare per i benedettini di Muri che stavano trasformando la loro chiesa in stile barocco. Nella navata affrescò Scene della vita di Gesù e i Misteri del Rosario; nelle cappelle laterali, Storie di santi e l'Incoronazione di Maria; nella volta del transetto, Il Salvatore docente con i Quattro Evangelisti e angeli. L'anno dopo lavorò nella chiesa parrocchiale di Baden dove ebbe come aiuto il figlio undicenne Giovan Pietro.
Alla fine del Seicento risalgono anche gli affreschi con Storie bibliche nel castello di Schneisingen in Argovia, dove, grazie a un recente restauro, è venuta alla luce la firma del pittore. Da qui il G. si trasferì nello Svitto, dove affrescò nell'abbazia di S. Meinardo a Etzel, insieme con il figlio, entro stucchi realizzati da Neuroni, le Storie del santo (Piffaretti, p. 123).
Nel 1705 lavorò ancora a Muri e, ancora con il figlio, fu nello Schwarzwald, dove è documentato nella chiesa conventuale di St. Blasien. Nell'ottobre del 1707, raccomandato dall'abate di Muri al confratello abate di Rheinau, arrivò in questa località per decorare la chiesa abbaziale; in tutti questi lavori ebbe sempre come aiuto il figlio.
Il grande ciclo di affreschi che riveste la navata, la volta del coro e il transetto della chiesa, è considerato, per qualità e vastità, il capolavoro dell'artista; nella volta del coro raffigurò una Gloria di santi; nella navata, Storie della Vergine; e nelle cappelle laterali, la Passione e la Resurrezione di Cristo. Dalla sua corrispondenza legata al periodo passato a Rheinau si può conoscere anche l'accesa religiosità del G.: da una lettera indirizzata nel 1709 dall'abate del convento all'artista, si sa per esempio che questi, tra i compensi per la sua opera, aveva caldamente richiesto una reliquia di s. Silvestro per l'omonima chiesa di Meride (Martinola, 1963, p. 49). Nella stessa lettera, a riprova della soddisfazione dei benedettini per il lavoro del ticinese, egli viene definito "nobilis et pictor peritissimus" (Keller-Schweizer, 1972, p. 47).
Negli ultimi anni della sua attività, il G. eseguì alcuni affreschi nella parrocchiale di Disentis, conclusi nel 1713, e, nuovamente a Muri, dipinse "in domo Capituli" (Simona, p. 796); nello stesso periodo si recò nuovamente in Germania, nel Baden, per lavorare nell'abbazia di St. Trudpert e, tra il 1712 e il 1717, nella cappella del castello di Karlsruhe, ora distrutta. Tra il 1718 e il 1719 dovette essere a Herznach (Argovia) dove nella chiesa di S. Nicola curò, insieme con Neuroni, la decorazione del coro; nel 1721 fu impegnato nella plebana di St. Fridolin a Säckingen in Baviera. Poco dopo questa data, si ritirò, con ogni probabilità, definitivamente a Meride. Qui tra il 1723 e il 1725, dipinse nella casa dei Roncati un'Allegoria delle arti con, a sostituzione della firma, un suo Autoritratto.
Il G. morì a Meride, il 15 dic. 1725 "all'età di circa settanta anni" (Martinola, 1963, p. 49).
Nella pittura del G. emergono con chiarezza sia la componente lombarda sia quella romana di stampo classicista, in particolare l'arte dei Carracci, di Guido Reni e del Domenichino, a testimonianza di un soggiorno a Roma che dovette avere notevole importanza sulla sua formazione pittorica; nell'arte del G., entrambi gli elementi sono sempre presenti, reinterpretati e fusi in chiave sentimentale e patetica. Dal punto di vista tecnico il pittore fece largo uso del bulino nella preparazione degli affreschi, anche su vaste superfici, utilizzando sempre una pennellata minuta, a tratteggio, con colori pastello e un notevole impiego della tinta ocra sfumata.
Della numerosa prole del G., solo due figli, Giovan Pietro e Quirico Antonio, seguirono il mestiere paterno. Il primo ebbe anche numerosi incarichi autonomi e, intorno al 1720, lo si trova attivo nel collegio dei gesuiti di Trnava (Slovacchia; in ungherese Nagyszombat). Del secondo si sa con certezza che nel 1725 si trovava a Wiesenthal e l'anno dopo a Mannheim dove dipinse per le monache agostiniane la cupola della chiesa del convento; lo stesso risulta essere morto in un documento del 1730 nel quale i mercanti italiani a Mannheim acquistavano una sua tavola raffigurante una Madonna tra gli angeli per ornare la loro cappella nel cimitero locale.
Fonti e Bibl.: C. Rossi, G. F.A. da Meride, in Rivista storica ticinese, 1938, n. 1, pp. 18 s.; Id., Artisti ticinesi nella Svizzera tedesca, ibid., 1943, n. 34, pp. 86 s., 134, 137; L. Simona, F.A. G. pittore e i suoi collaboratori e congiunti, ibid., pp. 793-797; E. Lavagnino, Gli artisti italiani in Germania, III, Roma 1943, pp. 95, 166; E. Poeschel, Die Kunstdenkmäler des Kantons Graubünden, Basel 1945, V, tavv. 47, 146, 272, 324 s., 383-385; VI, tavv. 272, 325; G. Martinola, Lettere dai paesi transalpini degli artisti di Meride e dei villaggi vicini, Bellinzona 1963, pp. 47-76; E. Keller-Schweizer, Piccola antologia di F.A. G., in Arch. stor. ticinese, n.s., X (1969), pp. 125-142; A. Crivelli, Artisti ticinesi in Europa, Locarno 1970, p. 45; G. Martinola, Inventario delle cose d'arte e di antichità del distretto di Mendrisio, I, Canton Ticino 1975, pp. 322-327, 334-337, 537-545; E. Keller-Schweizer, F.A. G. (1655-1725). Ein Beitrag zur Geschichte der schweizerischen Barockmalerei, Zürich 1972; M. Karpowicz, F.A. G. a Varsavia, in Boll. stor. della Svizzera italiana, XC (1978), pp. 112-117; Id., Artisti ticinesi in Polonia nel '600, Canton Ticino 1983, pp. 171 s.; G. Piffaretti, F.A. G. pittore di Meride 1655-1725, Locarno 1998; E. Augustoni, G. F.A., in Diz. biografico dell'arte svizzera, I, Zurigo-Losanna 1998, p. 405; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 85.