MALASPINA, Franceschino
Nacque in Lunigiana, forse a Mulazzo, poco dopo il 1275 da Moroello, marchese di Mulazzo dello Spino Secco, e da una Berlenda di cui non è noto il casato. Nel novembre 1308 avrebbe avuto circa 30 anni a dire dei corrispondenti del re aragonese Giacomo II, che, descrivendolo come un "valent hom", ne riferivano l'età apparente. Le prime attestazioni della sua attività compaiono poco dopo la morte del padre (verso il 1285).
Non è del tutto certo che si riferiscano a lui alcune testimonianze assai precoci, ricordate dalla tradizione genealogica: la prima risale al 1285 e comproverebbe la sua partecipazione alla vendita del castello di Madrignano a Cubitosa d'Este, moglie di Opizzino Malaspina; l'altra, datata 18 o 28 genn. 1293, è uno strumento notarile con cui il marchese Alberto di Corrado l'Antico spartiva con i nipoti, tra cui il M., alcuni beni fino a quel momento indivisi.
Certo è che, giovane e probabilmente ancora celibe, ma già signore di un ampio territorio, regolamentò nel novembre 1296 con i cugini Moroello di Manfredi di Giovagallo e Opizzino di Federico di Villafranca la reciproca successione nel caso che uno di loro morisse senza eredi maschi, vincolando nello stesso documento la vendita dei beni comuni all'ambito della consorteria, per evitare di smembrare il patrimonio. Per alcuni rami di quest'ultima il M. divenne uno dei punti di riferimento nel periodo delle travagliate vicende dei contrasti tra guelfi e ghibellini.
Data al 1304 la notizia di una sua impresa militare ai danni del territorio pontremolese, prima di una lunga serie di fatti d'armi che a varie riprese lo impegnarono nel tentativo di ripristinare il controllo su un'area pertinente alla giurisdizione anticamente riconosciuta alla famiglia.
Con poche schiere di armati egli si impadronì in quell'occasione della villa di Teglia e delle valli di Zeri e di Rossano, nel distretto di Pontremoli. In breve mosse quindi contro alcune terre comprese nella diocesi lunense (Ponzano, Bibola, Santo Stefano, Bolano), sulle quali il vescovo deteneva una giurisdizione promiscua in comune con alcuni rami dei Malaspina; si spinse quindi fino a Sarzana, che mal soffriva la dominazione episcopale. L'azione era solo l'ultimo di una lunga serie di episodi che già avevano esasperato il contenzioso con il primate lunense, all'epoca il genovese Antonio di Nuvolone da Camilla. Figlio di Caracosa Fieschi e cugino di Alagia, moglie di Moroello Malaspina di Giovagallo, imparentato per giunta con il ramo di Olivola della stessa famiglia, il vescovo Antonio approfittò della propria posizione per risolvere le contese con i riottosi vicini lunigianesi. Si giunse quindi a un accordo concluso grazie alla nota e celebrata mediazione di Dante Alighieri: già ospite del M. a Mulazzo dall'agosto precedente, il poeta si prestò come procuratore di quest'ultimo e dei congiunti Moroello e Opizzino e la mattina del 6 ott. 1306, ante missam, ebbe procura nella piazza della Calcandola di Sarzana; incontrò nel castello il vescovo, malato e sofferente, e il fratello di lui, Percivalle. Dello stesso vescovo di Luni, peraltro, il M. fu nominato esecutore testamentario nel 1307, a conferma di un radicale mutamento delle relazioni tra i due, conseguente all'epilogo della vicenda.
Risale a epoca non molto posteriore l'avvio di contatti del M. e di alcuni consorti - Moroello di Manfredi, Corradino di Opizzino, e gli altri figli di Opizzino suoi cugini - con emissari di Giacomo II d'Aragona, impegnato a rendere effettivo in Sardegna il dominio derivatogli dall'investitura ottenuta il 6 apr. 1297 da Bonifacio VIII.
Nella seconda metà del Duecento, fin dall'epoca della fine di fatto del Giudicato di Torres con la morte senza eredi dell'ultima regina Adelasia (1259), i Malaspina avevano dato corso a una strategia di consolidamento dei propri possessi concentrati in luoghi strategici del Logudoro: Osilo, le curatorie di Montes, Figulinas e Coros, gli scali di Frigianu e Santa Filitica, il castello di Serravalle, Bosa, la curatoria di Anglona. Gli Aragonesi compresero presto che un accordo con i feudatari lunigianesi era imprescindibile per arrivare a una rapida conquista delle posizioni necessarie al controllo della regione. Nel primo decennio del Trecento però si era fatta difficile la posizione del M. e dei suoi congiunti. All'acuirsi dei contrasti con Sassari, essi, temendo un'alleanza genovese-pisana con la città, avevano ottenuto aiuti da Lucca e Firenze; da tempo inoltre cercavano di opporre resistenza all'espansionismo pisano e proprio per questo avevano incentivato una politica matrimoniale di alleanza con famiglie dell'aristocrazia genovese interessate del pari a contrastare l'egemonia toscana in Sardegna: a scelte di questo tipo si rifaceva anche il matrimonio del M. con una nipote di Opizzino Spinola (della quale ignoriamo il nome), divenuto da poco capitano del Popolo a Genova. In tale delicato equilibrio tra forze concorrenti si inseriva dunque il mutuo interesse a un'intesa con la Corona aragonese.
Fin dall'autunno 1306 si era dato il via ad abboccamenti, mediati da emissari che non sempre avevano contatti diretti e personali con i marchesi. Dopo una serie di colloqui nei quali il M. e i cugini Moroello di Giovagallo e Corradino di Opizzino incontrarono emissari del re d'Aragona tra Pontremoli, Sarzana e Lucca (che svolgeva in questa circostanza un'importante opera di mediazione), si giunse nel novembre 1308, proprio a Lucca, a una prima bozza ufficiale di accordo: in base a esso i marchesi avrebbero ottenuto in feudo dal re le loro terre, prestandogli in cambio omaggio e alleanza.
A quanto risulta dalla corrispondenza aragonese, il M. non partecipò personalmente a quella fase delle trattative: è possibile che a quella data egli fosse impegnato in Lombardia, a fianco del cognato e potente alleato Giberto da Correggio, signore di Parma, che fronteggiò in quei mesi del 1308 le minacce portate al suo dominio dalle fazioni cittadine. Giusto con l'intento di porre fine con una spedizione armata al dissenso che faceva capo alle famiglie dei Rossi e dei Lupi, il Correggio ricorse all'aiuto dei propri collegati, tra cui il Malaspina. Nonostante le premesse del novembre 1308, intanto, la trattativa con gli Aragonesi ebbe una fase di arresto. Pressati dalla minaccia pisana e impegnati nella lotta contro Sassari, i marchesi cercavano di individuare l'alleato migliore. Il M. si risolse pertanto a chiedere aiuto ai parenti genovesi, ma Opizzino Spinola dichiarò che avrebbe accettato la richiesta a condizione che i marchesi si unissero con Pisa contro Giacomo II, oppure vendessero le loro terre ai Pisani, operazione di cui sottolineava i notevoli proventi. Alla rischiosa colleganza pisana, però, e alla possibilità che Pisa si appoggiasse ai Genovesi e alle rivendicazioni di Sassari, il M. finì col preferire l'alleanza con il legittimo sovrano, a patto che questi inviasse subito rinforzi per la difesa dei possessi malaspiniani nell'isola. Si disimpegnò quindi diplomaticamente con lo Spinola dicendo che avrebbe consultato i cugini, invitando nel contempo il re ad agire con cautela per occultare le trattative che avevano luogo a Lucca, e che si conclusero nel giugno 1309. In base agli accordi definitivi, i marchesi si riconoscevano vassalli del re, che concedeva loro la signoria dei castelli di Bosa e Osilo con le loro pertinenze.
Risalirebbe a quel torno di mesi, ma si tratta di un documento dubbio, un breve soggiorno in Germania, per curare certi affari delicati.
Di lì a poco il M. tornò a occuparsi principalmente delle vicende peninsulari. All'arrivo in Italia di Enrico VII di Lussemburgo nel 1310, egli fu infatti tra i primi signori ghibellini a rendergli omaggio, in ciò allineato sulle posizioni prevalenti in seno al casato (con eccezioni eminenti, come quella di Moroello di Giovagallo, alleato di Firenze a capo dello schieramento antimperiale). Nel 1311 ottenne il vicariato imperiale a Parma, nomina cui non fu probabilmente estraneo il cognato Giberto, già invitato a presenziare all'incoronazione regale di Enrico VII in S. Ambrogio a Milano (6 genn. 1311).
In cambio del sostegno prestato al sovrano, Giberto, non riuscendo a ottenere per sé la nomina a vicario di Parma, avrebbe infatti ottenuto l'incarico per il M., che, preceduto dal giudice Guelfo dei Figliadoddoni, esercitò per breve tempo (fino al settembre 1311) la carica: ebbe forse a subire nel volgere di pochi mesi le conseguenze del deteriorarsi dei rapporti tra Giberto ed Enrico. Dalla parte di quest'ultimo il M. rimase comunque schierato negli scontri che contrapponevano le forze imperiali a quelle della Lega guelfa.
Sullo scorcio del 1312 si rese protagonista con i consorti Moroello e Corradino di Villafranca dell'occupazione di Aulla, sottoposta ai Lucchesi ma rivendicata dai Malaspina di Oramala. Che il M. perseguisse con queste azioni il disegno di accrescere i propri domini anche a danno dei congiunti è dimostrato dalla pertinacia con cui, anche quando gli Oramala si sottomisero all'imperatore, e Moroello a Lerici garantiva a Enrico VII la propria disponibilità a restituire la postazione, il M. tardò ad allontanarsene. Pontremoli, intanto, sfuggita al controllo dei Lucchesi travagliati da discordie intestine, veniva da Enrico VII affidata il 6 luglio 1313 alla signoria del cardinale Luca Fieschi; recatosi personalmente sul posto, quest'ultimo si dedicò alla complessa opera di ripristino della giurisdizione pontremolese sulle aree occupate dai Malaspina. A istigazione di costoro, e probabilmente proprio del M., si ribellò di lì a poco la terra di Rocca Sigillina, eleggendo a suo signore Seratto dei Seratti. Si aprì così una serie di scontri che videro il M. ricorrere nel 1315 all'aiuto di Giberto da Correggio; fallito un primo tentativo di riscossa con l'intervento del figlio Simone, Giberto si vide costretto a scendere personalmente in Lunigiana. La questione si risolse solo nel 1319, con la mediazione di Roberto d'Angiò re di Napoli: l'accordo prevedeva la conferma ai Pontremolesi del possesso delle valli di Zeri e Rossano, mentre al M. fu riconosciuto il possesso della villa di Teglia, prossima ai possessi mulazzesi.
Altri eventi degni di nota erano però intercorsi negli anni del conflitto pontremolese, primo fra tutti la morte di Enrico VII a Buonconvento (24 ag. 1313). Avendo in conseguenza di ciò i Pisani offerto la signoria della città a Uguccione Della Faggiuola, questi proseguì la lotta contro le rivali guelfe Firenze e Lucca. Quest'ultima, visto invaso il proprio territorio, decise di ricorrere ad aiuti esterni e procedette anche a un accordo con alcuni dei Malaspina, che le fornirono sostegno contro l'aggressore. Il M., accanto al congiunto Corradino, fu tra i più cospicui soccorritori, con i suoi 160 cavalli. Non è dato di sapere con chiarezza quale fu l'incarico che i ghibellini di Genova gli offrirono sul finire del 1317 e di cui gli scriveva il cognato Niccolò detto Marchesotto di Filattiera alludendo alla proposta di uno stipendio di ben 85 fiorini mensili per la sua persona, più una paga conveniente per le spese del suo seguito: di quella lettera il M. inviò copia a Castruccio, che a sua volta ne informò il Comune di Pisa, come si ricava da una provvisione dei Savi del 15 genn. 1318. Però la risposta dei governanti pisani fu tale che non si intende se fu consigliato ad accettare, o se gliene venne fatto divieto, e neppure in cosa realmente consistesse quest'ufficio; è probabile comunque fosse quello di capitano generale della parte ghibellina di Genova, lo stesso che avrebbe detenuto proprio Castruccio nel secondo semestre del 1320 (cfr. Sforza, p. 51). Quando questi mosse guerra a Spinetta, nell'estate 1319, affermando nel contempo la propria autorità sopra vari castelli, il M. fu indicato dallo stesso Castracani quale arbitro designato a valutare i possibili danni subiti da quelle terre nel corso delle azioni militari.
È certo che negli ultimi anni della sua vita, mentre Castracani imperversava in Lunigiana, il M. si unì a lui in un'alleanza sempre più stretta, al punto che questi fu nominato il 5 genn. 1320 tutore dei suoi figli minorenni; uno di loro, Giovanni, avrebbe sposato nel 1326 Caterina, figlia di Castruccio. Dopo questi fatti non abbiamo più notizie consistenti dell'operato del Malaspina.
Il M. morì poco più tardi, non sappiamo dove né in quale circostanza, ma verosimilmente prima della stipulazione del summenzionato strumento di tutela del 5 genn. 1320 (nel 1321 i figli Giovanni, minore, e Morello agivano sotto la ricordata tutela di Castruccio).
Il M. dovette essere tutt'altro che privo di interessi culturali. Se è certo eccessivo ipotizzare riunisse intorno a sé una piccola corte di lustro mecenatesco, sono però da ricordare i già menzionati legami con l'Alighieri. Il M. fu inoltre citato in alcuni versi di Sennuccio Del Bene, poeta fiorentino di parte bianca. In un compianto per la morte di Enrico VII, "Da poi ch'io ho perduta ogne speranza", forse dalla Provenza, Sennuccio si congedava con queste parole: "Canzon, tu te n'andrai dritta in Toscana / a quel piacer che mai non fu il più fino, / pietosa conta il mio lamento fero; / ma prima che tu passi Lunigiana, / ritroverai il Marchese Franceschino; / e con dolce latino / li narrerai che in lui alquanto spero; / e come lontananza mi confonde; / pregal, ch'io sappia ciò che ti risponde".
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