FLORIDUS
In greco antheròs, in contrapposizione a austeròs. È termine della critica letteraria ellenistica per definire quella composizione o lèxis che eviti "di far apparire in piena luce tutte le singole parti; di inframmettere spazî o tempi lunghi; di adoperare lentezza o staticità, in modo che le parole si susseguano continuamente tra loro come fluenti senza mai ristagnare. Essa vuole che i singoli membri siano collegati e intessuti tra loro producendo l'impressione visiva di una lèxis unica; assomiglia a eleganti tessuti o pitture che abbiano le parti illuminate mescolate e alternate da parti in ombra. Usa ritmi non troppo grandi ma mediocri e brevi; ed ama usare molte figure (schèmata), non arcaiche e pesanti, ma delicate e attraenti, piene di lusinga e di teatralità" (da Dion. Hal., p. 170 R).
È evidente che questa definizione dedicata alla espressione letteraria può facilmente essere estesa anche all'arte figurata. Troviamo infatti una classificazione tecnica dei colori in austeri e floridi (Plin., Nat. hist., xxxv, 30) e sono floridi l'azzurro, il rosso sangue, il verde erba, l'indaco, il giallo oro, la biacca; vediamo che Apelle cercava di attutire la eccessiva vistosità dei colori floridi, spalmando sul quadro una mano di vernice neutra. Nel caso poi di Famulus-Fabullus (Plin., Nat. hist., xxxv, 120; v. fabullus) abbiamo la documentazione che f. è sinonimo di umidus (v. umidus).
Una recente ricerca sul significato di questi termini vorrebbe escludere ogni notazione coloristica per limitarne il valore quali meri termini tecnici, coi quali si distinguerebbero le vernici (colori floridi) e le tinte di fondo (austeri). Il che potrebbe, tutt'al più, essere un valore secondario, dato ai termini sorti al di fuori della pratica delle arti figurative.
Bibl.: W. Lepik-Kopaczyńska, Colores floridi u. austeri in d. antiken Malerei, in Jahrbuch, LXXIII, 1958 (1959), p. 79 ss.