FLORIANO (Florianus)
Quanto sappiamo della sua vita si trae essenzialmente da due lettere che egli inviò "ex monasterio Romeno" al vescovo di Treviri Nicezio (circa 526-566) e che, inserite nella raccolta delle Epistolae Austrasicae, ci sono state conservate da un codice Vaticano del sec. VI, il Pal. lat. 869, noto come Codex Carolinus.
F. nacque sul finire del sec. V o nei primi del secolo VI, con ogni probabilità a Milano. Egli si dichiara infatti "proprius concivis" del santo vescovo Ambrogio e dice che suo padrino di battesimo era stato Ennodio, il quale fu appunto diacono della Chiesa milanese almeno dal 499 sino al 511 (o al 514), quando divenne vescovo di Pavia. Ignoriamo il nome e il rango dei suoi genitori: la sua famiglia, comunque, doveva appartenere all'aristocrazia provinciale, come sembra potersi dedurre dall'accurata formazione culturale e religiosa che gli fu impartita.
In epoca a noi ignota, ma senza dubbio quand'era ancora fanciullo, F. fu inviato, probabilmente dai suoi genitori, in Gallia, ad Arles, presso il vescovo Cesario (502/503 - 27 ag. 543), il quale lo accolse nella sua familia, lo aggregò al clero locale e lo avviò agli studi elementari. Lo stesso F. narra che da lui ricevette la sua prima istruzione. Ignoriamo se egli abbia proseguito e perfezionato i suoi studi di grammatica e di rettorica ad Arles o in Italia, dopo il suo ritorno in patria. Ignoriamo del pari - contro quanto è stato anche di recente affermato nella letteratura storica - in quale ambiente culturale egli abbia maturato quella rara conoscenza dei classici della letteratura romana o quella particolare bellezza della sua espressione latina, che gli vengono riconosciute per concorde testimonianza di autorevoli scrittori a lui contemporanei. Le fonti non ricordano infatti il nome di alcuno dei suoi maestri, a parte quello di s. Cesario di Arles.
Tornato in Italia, F. abbracciò la vita religiosa, facendosi monaco nell'abbazia di Romenum: la data di questi avvenimenti non è indicata dalle fonti, ma è da collocare tra la fine del secondo e il terzo decennio del secolo poiché F. risulta in giovane età al momento in cui prese l'abito religioso.
Del monastero ora scomparso di Romenum non ricorre nelle fonti altra memoria che quella contenuta nelle già ricordate lettere di F. a Nicezio di Treviri. Sulla identificazione del luogo in cui esso sorgeva gli studiosi hanno a lungo discusso, giungendo tuttavia a conclusioni assai discordanti. Tra queste appare condivisibile la teoria del Gundlach secondo la quale il monastero di Romenum doveva trovarsi nell'ambito dell'arcidiocesi di Milano, forse proprio nel territorio fra Milano e Brescia, come assunto anche di recente dal Riché: lo starebbe ad indicare il fatto che F., dopo il suo rientro in Italia, appare sottoposto all'autorità del vescovo di Milano.
Nel monastero di Romenum F. fu avviato alla lettura e all'esegesi dei libri dell'Antico e del Nuovo Testamento, di cui approfondì in seguito lo studio e la meditazione. Sotto l'autorevole guida di Teodato, che egli definisce "abbatem meuin et archimandritam meum" e che, secondo quanto egli stesso ebbe in seguito a dire, "mihi Sacras exposuit Scripturas", si costituì in tal modo una solida formazione religiosa e morale. Fu inoltre aggregato - non sappiamo a che titolo e se prima o dopo la sua professione monastica - al clero milanese, come risulta provato dal fatto che egli non solo si professa "peculiaris famulus" e "familiaris alumnus" di s. Ambrogio, ma definisce anche suo "dominus" il vescovo Dazio, che resse la diocesi di Milano almeno dagli anni 535/537 sino al febbraio-marzo del 552.
Discepolo prediletto di Teodato, alla morte di questo, F. fu eletto dai suoi confratelli a succedergli, come abate, nella guida della comunità di Romenum. là probabile che questi ultimi due avvenimenti possano essere posti tra il 535 e il 537 - gli anni in cui Aratore iniziò la stesura della sua trasposizione poetica degli Atti degli Apostoli (Leonardi, p. 726) - e la primavera del 544, quando l'opera venne resa pubblica. Nella tradizione manoscritta che ce l'ha conservata essa è preceduta sempre da tre lettere in versi dell'autore, una di presentazione del poema al papa Vigilio, la seconda di dedica all'amico Partenio e la terza, indirizzata "reverentissimo viro Floriano abbati", nella quale quest'ultimo viene pregato, con accenti di stima profonda e affettuosa, di voler sottoporre ad attenta revisione - e non solo dal punto di vista stilistico e formale - il poema, di cui gli si faceva contestualmente pervenire copia.
Anche quel poco che sappiamo del governo abbaziale di F. si trae dalle già ricordate lettere da quest'ultimo inviate a Nicezio di Treviri. Da esse risulta che il monastero di Romenuin attraversò un periodo di gravi difficoltà tra lo scorcio del quinto e gli inizi del sesto decennio del secolo, nel momento in cui si compì nella penisola la tragica fine del Regno e del popolo ostrogoto (549-553) e Narsete, il vittorioso generale bizantino, condusse con estrema durezza, nell'Italia settentrionale, le sue campagne contro i Franchi d'Austrasia e il loro re Teodebaldo (549-555). La connessione tra le vicende militari e gli "innumerabilia mala", da cui F. si dice assillato, non dovette essere soltanto cronologica, data la collocazione geografica di Romenum.
Non è per noi possibile indicare, nemmeno approssimativamente, la data, il luogo e le circostanze della morte di F., perché nessuna notizia su di lui e sul monastero di Romenum ricorre nelle fonti dopo il 555. Gli studiosi che fanno di F. un abate di Saint-Honorat des Lérins pongono tuttavia la sua scomparsa negli anni 578-579, perché, a partire dal 579, risulta al governo di quella comunità un Marino.
Di F., oltre alle due lettere a Nicezio di Treviri, ci è pervenuto soltanto un carme esplicativo degli Epigrammata di Prospero di Aquitania, il noto scrittore ecclesiastico e cronista latino vissuto tra il 390 e il 460. Il carme è stato conservato dal cod. Ambros. 1, 85sup., dei sec. XV, dove appare al E 6r, inserito solo parzialmente in un commento anonimo alla citata opera di Prospero d'Aquitania, e dal cod. Ambros. O, 74 sup., del sec. IX, nel quale è stato trascritto integralmente ma senza indicazione di paternità al f. 117r, in calce agli stessi Epigrammata. Esso consente di avere un'idea - sia pure superficiale e ben circoscritta, data la brevità del componimento - della poetica di F., dei suoi mezzi espressivi e della consistenza della sua stessa cultura. L'opulenza raffinata del suo stile dimostra non solo una perfetta padronanza della lingua e degli artifici della rettorica, ma anche una profonda conoscenza tanto della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa (s. Agostino), quanto degli autori latini cristiani e profani. Teso ai valori religiosi cristiani, F. utilizza secolari tradizioni espressive e le sfida nel gioco delle allegorie, dei traslati, delle allusioni semantiche, a confrontarsi con la realtà del mondo e della spiritualità contemporanea. E quanto mostra di apprezzare in lui Ennodio, come risulta da due lettere di risposta da quest'ultimo indirizzate a F., cui egli si rivolge con le qualifiche di "Fraternitas Vestra" e di "Domine mi". "Suscepi epistolam. tuam, Romana dote locupletem et stilum Latiarem in ipsa principiorum luce monstrantem" scrive infatti nella prima (I, 15) e "Adhibita, credo, adversus me fuisset Tulliani proftmditas gurgitus, Crispi proprietas, Maronis elegantia" nella seconda (I, 16), alludendo alle parole del suo corrispondente.
"Christi gratia spiritualiter eruditus", così Aratore definisce F. lodandolo perché "primaevus adhuc, senibus documenta dedisti, / e quibus in Caelum vitae pararet iter". È lo stesso Aratore, inoltre, che ci informa della ricchezza della biblioteca di F. e della varietà dei testi in essa contenuti.
Allo stato attuale delle ricerche, nulla possiamo dire circa il valore e la portata dell'opera di revisione condotta da F. sul testo della Historia apostolorum di Aratore. Essa viene ricordata ancora sei secoli dopo da Corrado di Hirschau (1070-1150), il quale, nel suo Dialogus super auctores, sottolinea che Aratore "opus suurn corrigendum commendat abbati Floriano".
Per ragioni di ordine cronologico non può venire identificato in F. quel "Florianus, vir spectabilis", destinatario di un dispaccio, non datato ma da attribuirsi agli anni 507-511, del re Teoderico, conservatoci dalla raccolta delle Variae di Cassiodoro.
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