VEZZANI, Flora (Orsola Nemi)
Nacque a Firenze l’11 giugno 1903 (ma in Grieco, 1961, p. 58, si riporta 1905), figlia di Faliero, ufficiale di fanteria, e Sofia Brunelli.
Nella prima infanzia ebbe un rapporto problematico con la madre, donna d'indole fragile e incline alla dipendenza da morfina; per converso, sviluppò un forte attaccamento al padre.
A due anni contrasse la poliomielite, per effetto della quale soffrì di problemi alle gambe per tutta la vita: da adulta vide nell’esperienza della malattia infantile una tra le ragioni del rafforzamento della sua tempra morale, intellettuale e spirituale. Visse per poco tempo a Firenze: si trasferì ancora bambina a La Spezia, città che da allora divenne per lei una sorta di tranquillizzante rifugio. Nel 1913-14 iniziò a frequentare il collegio delle suore belghe della Provvidenza dell’Immacolata Concezione di Badia a Ripoli, un istituto che godeva di buon nome e che rappresentò l’unica tappa ‘ordinaria’ di una formazione altrimenti forzatamente frammentaria e discontinua.
Nel 1915 si verificò un altro evento drammatico che incise profondamente nella sua vita: il 21 ottobre, a Monfalcone sul Carso, suo padre cadde. L’anno dopo fu insignito della medaglia d’oro al valor militare, per aver condotto il battaglione durante il conflitto nonostante una ferita alla testa. Flora, fin da allora, fu sempre orgogliosa di quella impresa, alla base del culto per la figura paterna e, più in generale, dell’ammirazione per gli atti di eroismo bellico e patriottico.
In seguito alla morte di Faliero, la famiglia Vezzani versò in condizioni di ristrettezza economica che costrinsero Flora a lasciare il collegio. Si trattò di un distacco doloroso, poiché l’istituto era stato l’ambiente ideale per la sua formazione.
Tornò dunque alla Spezia, ove trascorse due anni insieme con la madre, ospite della nonna e della zia. In quel periodo, tuttavia, il ‘rifugio’ divenne una sorta di piccola prigione, poiché il difficile rapporto con la madre e l’aver dovuto rinunciare alla formazione scolastica furono causa di malessere. Flora vi fece fronte immergendosi nella lettura, che da allora divenne centro della sua esistenza: esigenza culturale e insieme evasiva. Ispirata dalla contemplazione del mare (sempre presente nella sua opera), e sospinta da una forte istanza espressiva e comunicativa, iniziò a comporre alcuni versi, frutti ancora acerbi accordati alle sue poche letture. La madre comunque apprezzò quelle ‘primizie’, al punto che nel 1923 decise di sottoporle a un amico di famiglia, il bibliotecario e dantista Giuseppe Lando Passerini, che vi percepì del potenziale e raccomandò caldamente che Flora riprendesse gli studi. Quello stesso anno, dunque, iniziò a essere seguita privatamente da un insegnante di italiano e latino, che le permise di ampliare le sue conoscenze; la buona padronanza del francese acquisita nel collegio le permise anche di leggere in lingua scrittori come Alexandre Dumas père o Gustave Flaubert.
In quegli anni scrisse il suo primo romanzo, Rococò, che però non provò neanche a pubblicare, confinata com’era nella tranquilla vita di provincia e senza contatti con il mondo dell’editoria e della cultura. Continuò a scrivere poesie e solo nel 1938 decise di recuperare il manoscritto per partecipare a un concorso letterario indetto dal Giornale di Genova. Nel febbraio del 1939 il romanzo rientrò nella rosa dei vincitori (quattro su settanta candidati).
Quello stesso anno lesse sulla Fiera letteraria la richiesta di un lettore di alcune annate arretrate dalla rivista; Flora, che le possedeva, lo contattò, e i due si incontrarono poco dopo. Autore della richiesta era un giornalista americano, Henry Furst, corrispondente del New York Times che viveva in Italia sin dal 1929. I due iniziarono una relazione che durò per quasi quarant’anni. Fin dai primi incontri Flora lo mise a parte della sua ricca produzione poetica ancora inedita, e Furst, ben inserito nell’élite culturale del tempo, se ne fece promotore. Determinante fu l’incontro con Eugenio Montale, che apprezzò le poesie e ne fece pubblicare tre in rivista (Primavera in mare, Venerdì santo, Conforti: in Letteratura, III [1938], 1, pp. 55-57). Fu per giunta la prima autrice a pubblicare su Letteratura.
Da quel momento Flora Vezzani divenne «Orsola Nemi», pseudonimo con il quale non solo firmò tutte le sue opere, ma che divenne il suo nome anche in privato, tra gli amici che la chiamavano affettuosamente ‘Orsolina’ o ‘Orsoletta’, mentre solo il fratello ‘Chico’ e la madre continuarono a chiamarla Flora.
Lo pseudonimo porta già in sé elementi utili a inquadrare una possibile «poetica», e che restituiscono anche un ritratto intimo e privato. Il nome Orsola vuol essere un pascoliano tributo al padre, morto nel giorno di Sant’Orsola, ma il richiamo alla santa ha anche naturalmente echi di natura religiosa: la martire, protettrice degli orfani, degli scolari, e delle ragazze, sembra l’ideale rappresentante di una giovinezza travagliata, per una donna che fu sempre fervente cattolica. Non sarebbe opportuno, tuttavia, forzare interpretazioni, come dimostra lo stesso cognome scelto dalla scrittrice, Nemi, contrazione del Nemini latino, vòlto ad affermare con forza il rifiuto di etichette precostituite, l’identificazione con singoli aspetti della propria esistenza o l’appartenenza ‘a qualcuno’.
Dopo questa prima pubblicazione, grazie a Henry Furst, Orsola Nemi fece alcune importanti conoscenze intellettuali tra cui Enrico Caruso, Emilio Cecchi, Leo Longanesi, Arrigo Benedetti.
Frattanto Rococò, già comparso a puntate nel Giornale di Genova, fu pubblicato in volume da Bompiani (Milano 1940) e riscosse un buon successo: si trattava di una storia sentimentale scritta in uno stile semplice che aveva il suo principale punto di forza nella lingua asciutta, fluida, sintatticamente ordinata e quasi ‘favolistica’.
La carriera di scrittrice sembrava ormai brillantemente avviata, ma subì un’improvvisa battuta d’arresto quando, nel 1940, Furst dovette far ritorno in America dopo aver tentato, senza successo, di arruolarsi nella Legione straniera di stanza in Francia. Orsola Nemi si trovò dunque nella condizione di dover trovare con urgenza una fonte di sostentamento, e dopo un breve soggiorno nella casa del giornalista a Recco, iniziò un inquieto peregrinare, durante il quale, peraltro, la rievocazione nostalgica del ‘nido’ tornò spesso a visitarla. In quel periodo si prese anche cura del piccolo Moritz, un bambino che Furst aveva adottato tempo addietro.
Dopo una breve collaborazione con il Giornale di Genova, per cui scrisse alcuni racconti, si trasferì a Pietrasanta, dalla madre. Iniziò poi a lavorare per Bompiani, scrivendo alcune voci per il Dizionario delle opere e dei personaggi (tra cui quella di Grazia Deledda), e per Longanesi, correggendo traduzioni. Nel 1942 si trasferì a Milano, dove rimase per un anno in qualità di segretaria e traduttrice per Bompiani. I contatti con Furst si erano nel frattempo rarefatti, fino a interrompersi completamente con l’entrata in guerra degli Stati Uniti. Fu questo motivo d’angoscia per Orsola, che nel frattempo vedeva pubblicato anche il suo primo volume di poesie: Cronaca (Milano 1942).
Nel 1943 si trasferì a Roma, lasciando Bompiani e iniziando a lavorare stabilmente per Longanesi, per il quale tradusse L'Éducation sentimentale di Flaubert, prima vera grande impresa come traduttrice. Erano anni in cui la sua attività di scrittrice fu in un certo senso sacrificata, poiché le traduzioni le garantivano guadagni immediati.
Ciononostante scrisse diverse fiabe, approdo naturale del suo stile, della sua poetica, della sua lingua. Alcune comparvero nel Giornale dei lavoratori, in una sezione riservata ai bambini in cui si firmava «il Gufo della torre». Una in particolare, Nel paese di gattafata fu pubblicata anche a parte, in un’edizione impreziosita dalle illustrazioni di Giorgio de Chirico (con sei tavole fuori testo, Roma 1944; e da ultimo ristampata con postfazione di M. Rozza Gentile e illustrazioni di S. Ruzier, Milano 2017).
Nel 1945 Orsola fece ritorno a Recco, dove si ricongiunse con Henry Furst e da allora la sua feconda vena creativa tornò a esprimersi al meglio. Nel 1949, oltre a pubblicare un nuovo libro (Maddalena nella palude, particolare romanzo storico con interessanti coloriture gotiche) iniziò la sua attività di giornalista con la Gazzetta del popolo, cui sarebbero seguite le collaborazioni con il Messaggero e il Borghese (entrambe dal 1954). I primi anni Cinquanta furono però ancora all’insegna degli spostamenti tra Recco, Cervo e La Spezia, finché, per esigenze lavorative (e in particolare per la comune collaborazione con Longanesi), Furst e Nemi decisero di acquistare casa a Roma, in Trastevere, pur preservando la propria indole riservata e conducendo vita ritirata e poco propensa alla mondanità.
Rotta a Nord (Firenze 1955), pubblicato per Vallecchi, è un originale romanzo in cui si narra un drammatico viaggio in mare verso un luogo misterioso, il ‘cimitero delle navi’, la cui esistenza viene rivelata a un capitano da un fantasma, durante una seduta spiritica. E il mare è l’assoluto protagonista: in tutta la sua drammatica irruenza si fa potente metafora di vita e morte, mentre il viaggio assume i connotati di un’allegoria esistenziale su cui aleggiano l’ignoto e il mistero, come inquietanti spettri. Finalista al premio Strega del 1955, Rotta a Nord è senz’altro tra i migliori romanzi di Orsola Nemi. Seguì una raccolta di racconti, I gioielli rubati (Milano 1958), e il romanzo Il sarto stregato (ibid. 1960), in cui viene impiegato il topos favolistico dell’oggetto magico che dà a chi lo possiede poteri straordinari (in questo caso un cappotto che instilla in chiunque lo indossi la volontà di diventare scrittore). Nel 1961, per il centenario dell’Unità, scrisse una patriottica pièce per il teatro, Camicie rosse, votata a un’ammirata esaltazione delle gesta eroiche dei Mille.
Sul finire degli anni Sessanta la salute di Furst declinò rapidamente, e forse anche per questo i due decisero di unirsi in matrimonio il 22 aprile 1967. Quello stesso anno, il 15 agosto, il giornalista statunitense morì.
Orsola Nemi si adoperò affinché i libri che erano appartenuti al marito fossero devoluti alla biblioteca dell’Istituto britannico di Firenze, con la sola richiesta che non fossero smistati, ma conservati unitariamente. Tre anni dopo, per onorare la memoria di Furst, curò per Longanesi la pubblicazione di una raccolta dei suoi scritti: Il meglio di Henry Furst, con prefazione di Mario Soldati e introduzione di Ernst Jünger (Milano 1970).
Nel 1969, intanto, era stata pubblicata a Milano una raccolta di articoli (Il taccuino di una donna timida, ov'erano confluiti gli articoli scritti per il Borghese tra il 1955 e il 1965; in uno di questi polemizzava con Moravia, che in un suo precedente scritto aveva ricollegato certe divinità africane al cattolicesimo), che aprì un triennio particolarmente florido, in cui la scrittrice, oltre a tornare alla fiaba (Il tesoro delle galline, ibid. 1970) arricchì ulteriormente la sua già variegata produzione con un almanacco (L’astrologo distratto, Roma 1971) e un saggio, I cristiani dimezzati (Milano 1972), in cui criticava l’atteggiamento di molti contemporanei che vivevano la religione come un fatto sconnesso dalla vita reale, idolatrando per converso i nuovi feticci della società contemporanea (la scienza, la tecnologia). Dal punto di vista di Orsola Nemi, era inevitabilmente incompleta un’esistenza priva del pieno ‘riconoscimento’ di Dio, e in tal senso era critica anche nei confronti dei cristiani, rei di ritrarsi troppo spesso accettando passivamente lo status quo, senza adoperarsi per diffondere la Verità (sebbene ella stessa, nel saggio, dubitasse dell’efficacia del dialogo, che per addivenire a un punto di incontro deve portare a un’autocritica che renda riconoscibili gli errori insiti in ciascuna opinione).
Dopo la morte del marito, Orsola Nemi si ritirò nella sua residenza di La Spezia, dove visse in solitudine, dedicandosi alla cura dei suoi tanti gatti e circondata di ricordi. Ricevette periodicamente le visite dei vecchi amici di sempre, e continuò a offrire sporadici contribuiti ai giornali per cui scriveva, ma soprattutto lavorò all’ultimo grande progetto della sua vita, imbastito anni prima con Furst: una biografia di Caterina de’ Medici (Milano 1980).
Morì, a La Spezia, l’8 febbraio 1985 e fu tumulata nel cimitero locale, accanto al marito.
Orsola Nemi fu una fervente cattolica (anche redattrice dell’Osservatore romano), ideologicamente da collocare nelle zone del liberalismo nazionale con alcune posizioni certo nettamente conservatrici (in un’intervista a Grazia, per esempio, dichiarò «Non sono femminista. Non appartengo alla schiera di coloro i quali sostengono che donne e uomini sono uguali e hanno gli stessi diritti e doveri […] ma stanno bene insieme, questo sì»: Grieco, 1961, p. 58). Intellettuale ben inserita nell’élite del tempo, fece al contempo della riservatezza, della timidezza e della discrezione la sua marca distintiva. La letteratura fu per lei insieme strumento per penetrare il reale e comprenderlo, e per evadere o sublimarlo. La sua cifra stilistica più originale risiede senz’altro nel particolare rapporto con la fiaba, in specie nel sapere intessere abilmente elementi magici, fantastici o gotici in romanzi di aperta impronta realista, in un momento storico in cui gli scrittori si trovavano a dover ‘rispondere’ alla lacerante esperienza della guerra.
Oltre alle opere citate nel testo, si ricordino: Lena e il Bombo (Milano 1944); Anime disabitate (Roma 1945); Le signore Barabbino (Milano 1965); Racconti meravigliosi 1944-49, a cura di S. Bartolini (Firenze 2018). Per un elenco delle sue traduzioni, per una puntuale bibliografia, e per eventuali, ulteriori approfondimenti, si rimanda al sito internet: https://orsolanemi.wordpress.com/.
G. Grieco, Orsola Nemi, in Grazia, 5 novembre 1961, pp. 58-61; Diz. degli scrittori italiani contemporanei pseudonimi (1900-1975), a cura di R. Frattarolo, Ravenna 1975, ad vocem; L. Ricaldone, «Contraddire» da destra. Il caso di «Il sarto stregato» di Orsola Nemi (1960), in Italies, IV (2000), 4, pp. 387-401; G. De Turris, I non-conformisti degli anni Settanta: la cultura di destra di fronte alla contestazione, Milano 2003, pp. 94-100; F. Rotta Gentile, Orsola Nemi. Tra vita e letteratura, tesi di laurea, Università degli studi di Genova, a.a. 2005-06; Due scrittori a Cervo: Henry Furst ed Orsola Nemi, in Cervo. Storie di pittura piemontese del Novecento in Liguria (catal.), a cura di D. Lauria - A. Sista, s.l. [ma Imperia] 2008, ad ind.; M. Serra, Quando scrivere è un’opera di discrezione, in Sette, 21 dicembre 2012, pp. 82 s.