PONZIO, Flaminio
PONZIO, Flaminio. – Nacque a Viggiù, presso Varese, nel 1561, primogenito di Giovanni Antonio Ponzio maestro di scuola (nato nel 1522) e di Elisabetta Buzzi (1539-1575), come risulta dallo Stato delle anime della parrocchia di S. Stefano, redatto a Viggiù, pieve di Arcisate, in preparazione alla visita pastorale che il cardinale Carlo Borromeo avrebbe effettuato nell’estate del 1574 (Frigerio - Galli - Trapletti, 1995). Giovanni Antonio Ponzio era cugino dell’architetto Martino Longhi il Vecchio, grado di parentela contratto sposando Elisabetta Buzzi, figlia di un fratello di Martino (Fratarcangeli - Lerza, 2009, pp. 79 s.). Flaminio era dunque secondo cugino di Martino Longhi, ed è fuori dubbio che alla presenza in Roma di questi si legò anche la sua. Egli vi giunse in età giovanile e, in diverse occasioni, fu collaboratore di Martino, dal quale imparò i segreti del mestiere. La prima testimonianza relativa alla sua presenza in area romana risale al 1585, come risulta dal pagamento per lavori condotti a Tivoli per il cardinale Luigi d’Este fino al 1587 (Fratarcangeli - Lerza, 2009, p. 9 n. 2). Lavorò per la Confraternita dell’Ospedale del S. Salvatore con Martino Longhi il Vecchio e, dopo la morte di questi, fino al 1610 prese la direzione dei lavori dell’ospedale e l’incarico di consulente della confraternita (Curcio, 1979). A Roma sposò Agata di Baccio Jannotti; i loro nomi compaiono in una dedica nella tela con l’Annunciazione inviata alla chiesa parrocchiale di S. Stefano inViggiù, e attualmente collocata in una nicchia ricavata in un altare marmoreo barocco. In essa, dopo il restauro del 1997, è chiaramente leggibile la dicitura: «FLAMINIUS PONTIVS ET AGATHA ROMANA CONIVGES EX DEVOTIONE F.F. ROMAE ANNO IUB. MDC» (Orsenigo, 1998, p. 119 n.). Da un atto rogato l’8 giugno 1599 risulta che Flaminio, insieme ad Agata, sua prima moglie, acquistò una casa in via Alessandrina dagli eredi di Ercole Crescimbene (canonico della basilica di S. Giovanni in Laterano) per una somma di 990 scudi (Fratarcangeli, 1999).
Fino a oggi si è creduto che l’architetto avesse acquistato l’area per edificarvi la sua casa, ma, grazie a questo documento, si può dedurre che egli acquisì un edificio per effettuarvi degli interventi nella disposizione dei vani interni e, soprattutto, nella facciata.
Esso venne demolito in occasione dell’apertura di via dei Fori Imperiali, e la facciata fu smontata e rimontata a piazza S. Maria in Campitelli, variando l’altezza degli ambienti del piano ultimo. Avulsa dal luogo in cui la facciata era stata concepita, diventa oggi difficile cogliere la derivazione dei nessi da essa stabiliti con il contesto urbano.
Il piccolo edificio, che insisteva su un lotto di forma trapezoidale, fu adattato al tipo sangallesco a corte, che si era diffuso a Roma nel primo Cinquecento, cercando di renderlo quanto più simmetrico sia in pianta sia in facciata. La distribuzione interna dei vani è ottenuta mediante un corridoio posto quasi in asse con il fronte stradale; lungo il suo lato sinistro vi sono disposte due stanze regolari in sequenza, mentre sul destro, nel triangolo rettangolo di risulta, vi è, alla base verso la strada, una stanza di forma trapezoidale nel cui vertice è stata ricavata una scala a pianta semicircolare che immette ai piani superiori e che riceve luce, sui pianerottoli, dal cortile interno.
Ponzio mostra, in quest’opera, una notevole capacità soprattutto nel reimpaginare la piccola facciata già inserita nella cortina di via Alessandrina, che, dopo il suo intervento, si presenta suddivisa in due partiti orizzontali: il primo comprendente il piano terra e il mezzanino, il secondo il piano nobile e l’attico. La doppia ripartizione del prospetto è distinta, oltre che da una fascia marcapiano modanata, anche da un’altra fascia marca-davanzale più semplice, quasi a voler segnare una sorta di attico intermedio. Al suo interno, in corrispondenza delle finestre, sono inserite decorazioni a bassorilievo con forte valenza chiaroscurale racchiuse all’interno di una cornice rettangolare piatta. Significativo è il forte verticalismo conferito al centro della facciata con la successione serrata del portale bugnato – che rievoca molti tra quelli disegnati da Ludovico Cardi, detto il Cigoli –, nonché della finestra del mezzanino inserita tra i mensoloni che sorreggono l’aggetto del balcone del piano nobile: tale soluzione tiene conto della lezione michelangiolesca di palazzo Farnese e di porta Pia, preludio a soluzioni barocche.
Troviamo influenze d’impronta michelangiolesca anche nelle porte e finestre della basilica di S. Sebastiano fuori le Mura (1609), come nella configurazione stessa del portale di accesso agli oratori presso la chiesa di S. Gregorio al Celio (oratori di S. Andrea, S. Silvia e S. Barbara), sul Clivio di Scauro, nel quale egli creò, lungo l’asse centrale, un accentuato sviluppo verticale e, superando il muro di recinzione, enfatizzò il tema del portale facendolo assurgere a episodio architettonico completamente autonomo.
Nel portale è già riscontrabile la poetica di Ponzio, che sempre più tenderà a perseguire l’integrazione fra gli elementi, incastrandoli piuttosto che fondendoli in un’unità continua, innescando un processo diverso dal noto ‘intreccio michelangiolesco’ e molto più prossimo a quello che, poco più tardi, Pietro da Cortona avrebbe consolidato nella poetica barocca ‘dell’uno-molteplice’ (Benedetti, 1980).
Una delle opere di maggiore importanza realizzate da Ponzio è la cappella Paolina in S. Maria Maggiore, la cui costruzione gli fu affidata da Paolo V il 9 agosto 1605, subito dopo la sua elezione al soglio pontificio (16 maggio 1605). La cappella, la cui prima pietra per la fondazione venne posta il 9 agosto dello stesso anno (Ostrow, 1996, p. 320 n. 88), fu costruita per ospitare la famosa icona della Madonna, la Salus populi Romani, presente da sempre nella basilica Liberiana e oggetto di grande devozione del pontefice e di Carlo Borromeo, canonizzato proprio in quegli anni. Essa, quindi, fu eretta per essere ‘santuario’ della sacra icona e, al tempo stesso, sepolcro di papa Borghese.
Nella cappella Paolina Ponzio fece uso di una dinamica plasticità dichiarata sia dagli elementi scultorei inseriti nella fascia dei capitelli che collegano i quattro pilastri, sia dal colore a campo unito, che egli conferì a questi ultimi, rimarcandone la funzione strutturale.
L’effetto di maggiore ricchezza attribuito alla cappella Paolina, rispetto alla cappella Sistina di Domenico Fontana (realizzata in S. Maria Maggiore sotto Sisto V, a partire dal 1585), è dato dalla presenza di quattro coretti che si aprono lungo le braccia longitudinali e dalle teste alate dei cherubini che incorniciano in alto e in basso le nicchie dei coretti medesimi. Notevole è anche la differenza nell’uso dei marmi: laddove Domenico Fontana tende a dissolvere, con la decorazione a marmi colorati, la valenza tettonica delle paraste e dei campi murari tramite un accentuato disegno grafico, Ponzio introduce a vaste campiture i marmi colorati sulle pareti e sui pilastri contribuendo, in tal modo, a conferire un effetto di maggiore preziosità e unità della concezione spaziale che si evolve verso una concezione plastica di uno spazio coinvolgente, preludio al Barocco. Anche l’architettura esterna della cappella mostra, in maniera inequivocabile, l’originalità dell’architetto, soprattutto rispetto alle soluzioni adottate per l’esterno della cappella Sistina. Il braccio della pianta cruciforme nella cappella Paolina viene dissimulato con un andamento obliquo della muratura che si raccorda al corpo di fabbrica in perfetta armonia. A differenza dell’opera di Domenico Fontana, Ponzio muove e anima la superficie raggiungendo una ricca plasticità.
Sul fianco destro della cappella Paolina Ponzio costruì la sacrestia, dotata di un elegante altare con due piccole colonne di alabastro, di armadi con intagli e bronzi, di un soffitto con ricche cornici di stucco, nonché di dipinti di Domenico Cresti, detto il Passignano.
I lavori per la decorazione dell’interno della cappella Paolina, sia scultorea sia pittorica, iniziarono nel 1608. Alla grande fabbrica presero parte, sotto la sua direzione, numerosi muratori, scalpellini, scultori e pittori. Cospicua fu la presenza di artisti viggiutesi: tra gli scultori Silla Longhi e Ippolito Buzzi unitamente ai maestri scalpellini Stefano Longhi ed Erminio Giudici. Tra i pittori, invece, fu presente Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, ormai alla fine della sua carriera, Ludovico Cardi, detto il Cigoli, cui venne affidata la decorazione della cupola e il bolognese Guido Reni, all’apice della sua carriera, impegnato in diversi cantieri sotto la direzione di Scipione Borghese.
A Ponzio fu affidato l’incarico di costruire negli stessi anni, a destra dell’ingresso della basilica, un corpo di fabbrica che contenesse anche la nuova sacrestia. La sua facciata, raccordata con il lato destro del portico, presenta il caratteristico ‘ordine a fasce’ (Fratarcangeli - Lerza, 2009, p. 49 n. 173). Lo sviluppo delle lesene e delle fasce orizzontali e verticali origina una modulazione della superficie articolata su cinque fasce verticali delle quali le due più esterne chiudono entrambi i lati con una coppia di fasce binate. Ne consegue un’intensificazione di elementi verso l’asse centrale caratteristica dell’architetto. Lo slancio delle fasce prosegue oltre la cornice e suddivide la balaustra che corona l’edificio
Un altro aspetto rilevante dell’architettura di Ponzio, nel suo contesto storico, fu l’utilizzo delle colonne binate in particolare nel cortile di palazzo Deza-Borghese, (cui lavorò a partire dal 1605), e nel portico della basilica di S. Sebastiano fuori le Mura. L’utilizzo che egli ne fece a sostegno di terminazioni arcuate, quasi a comporre una ritmica sequenza di serliane, non trova paragoni nella produzione romana precedente. Martino Longhi il Vecchio introdusse a Roma l’uso tipicamente lombardo delle colonne binate, ma Ponzio, di certo, ne fece un canone arricchendolo. Meritano attenzione la realizzazione del cortile e la facciata terminale dell’edificio su via di Ripetta.
Intorno al 1608 il cortile di palazzo Borghese era già chiuso, sul quarto lato, tramite una loggia a cinque arcate articolate su due ordini binati, ionico quello superiore, tuscanico quello inferiore.
Tale loggia, posta a chiusura del cortile, ricopre tuttora diverse funzioni: definisce la terminazione del cortile, costituisce il filtro di transizione tra quest’ultimo e il giardino, e rappresenta una quinta per il giardino stesso. Con essa il Ponzio creò un significativo artificio: un asse prospettico centrale longitudinale, che dall’ingresso attraversa tutto il cortile spingendosi fino al giardino. L’architetto adoperò un accorgimento altrettanto significativo evidenziando l’apertura dell’arcata disposta lungo l’asse centrale del secondo livello attraverso l’utilizzo di due coppie di colonne in granito rosa. Un accorgimento in cui non possiamo non riconoscere la sua impronta espressiva di rilevante originalità.
Un’altra caratteristica interessante in palazzo Borghese è l’ala verso Ripetta (realizzata tra il 1608 e il 1614), che contribuisce alla forma peculiare del palazzo, e che gli valse il nome di ‘cembalo di Borghese’, oltre al novero tra le quattro meraviglie di Roma. Essa si presenta in maniera diversa rispetto alla parte dell’edificio precedentemente edificata ed evoca l’aspetto e il carattere di una villa suburbana al centro di Roma. La facciata rivolta verso il Tevere cambiò aspetto con l’intervento di Carlo Rainaldi del 1676 che aggiunse una terrazza al piano terra coperta da ballatoio e sostenuta da colonne tuscaniche e pilastri. La loggia superiore, a tre arcate, mostra un’accurata elaborazione dei conci di chiave e un fregio con ridondanti triglifi che inducono a considerare l’ipotesi di un intervento di Giovanni Vasanzio, già collaboratore di Ponzio nel 1611 negli interventi per il Quirinale. Alla morte del suo maestro (1613), Giovanni Vasanzio rivestì la carica di architetto papale, grazie alla protezione del cardinale Scipione Borghese Caffarelli.
Molte sono le cappelle che Ponzio realizzò nell’Urbe: tra le principali e più significative, dopo la Paolina in S. Maria Maggiore, vi fu la cappella Altemps in S. Maria in Trastevere (1585-89). Qui lavorò insieme con Martino Longhi il Vecchio e contemporaneamente al palazzo Altemps; alla morte di Longhi, dal 1591, fu affiancato da Onorio Longhi. Ancora, possiamo ricordare: la cappella Colonna in S. Giovanni in Laterano (1597-1605); la cappella Naro in S. Maria sopra Minerva (1588-1602); la cappella di S. Diego (cappella Herrera) in S. Giacomo degli Spagnoli, oggi Nostra Signora del Sacro Cuore (1602-07); la cappella Rucellai in S. Andrea della Valle (1603-05); la cappella Colonna ai Ss. Apostoli (1602-04). A Ponzio si deve anche il portale d’ingresso di villa Borghese e, insieme a Carlo Maderno e Giovanni Fontana, la costruzione nel 1607, a Frascati, dell’acquedotto, del ninfeo e della peschiera della villa Torlonia. Sempre a Frascati, partecipò ai lavori di edificazione di villa Taverna (1604-05), coinvolgendo Giovanni Battista Mola, attestato nel 1618-20 quando la villa era gìà stata acquistata da Scipione Borghese nel 1614 (Curcio, 1979, p. 117). Anche a Nepi è ormai certa la presenza di Ponzio nel 1598 per «li modeni della porta et capitelli et frontespizio della facciata et disegno della porta» della chiesa di S. Tolomeo, il cui prospetto è opera di Domenico Paganelli (Miarelli Mariani, 1971).
In quanto consulente dell’Università degli Orefici, operò interventi di consolidamento e restauro nella chiesa di S. Eligio degli Orefici di Roma (1603-04 e 1612). Tra il 1602 e il 1605 intervenne nel palazzo del Quirinale, allora palazzo pontificio, per il quale realizzò la lunga ala orientale e la cappella del Presepio, insieme ad altre sale poste nell’ala nord (Wasserman, 1963, pp. 232-238 n. 248). Tra il 1609 e il 1611 completò la casa della Dateria sul fianco orientale del palazzo.
Nel 1611 realizzò alcuni progetti per il palazzo Rospigliosi-Pallavicini (Baglione, 1642, 1935, p. 135 n. 23), che la morte gli impedì di condurre a termine, e che fu realizzato in seguito da Giovanni Vasanzio (Fratercangeli - Lerza, 2009, pp. 61 s. nn. 226-227). Predispose i progetti anche del casino Borghese (oggi galleria) e dell’ordine superiore della facciata della basilica di S. Sebastiano fuori le Mura (Antinori, 1995, p. 113).
Nelle chiese realizzate da Ponzio troviamo spesso, all’interno, teste alate di putti nelle chiavi di volta degli archi, ma anche all’esterno a coronamento dei portali principali, unitamente alla reinterpretazione degli stemmi araldici dei committenti: basti ricordare i capitelli ionici della facciata della ‘Platonia’, dietro l’abside della basilica di S. Sebastiano, nei quali sono inseriti draghetti borghesiani, con ali dispiegate, a formare l’avvio delle volute; il blasone dello stambecco (arma degli Altemps) che funge da mensola dei davanzali delle finestre del pianterreno nella facciata della villa Altemps, reiterato con numerose varianti fino all’esasperazione.
In tutto il Cinquecento, e in gran parte del Seicento, assistiamo a un fenomeno di ‘vitalizzazione’ delle forme inorganiche e di una sintesi dell’organico, con elementi desunti dalla natura che trova la sua espressione più sintomatica nei cartocci e nelle loro incorniciature (Weise, 1959). Nelle opere di Ponzio non si riscontra un’adesione a questa corrente stilistica, ma piuttosto significative reinterpretazioni, originalmente elaborate, di motivi decorativi derivanti da quelli antichi romani, una volontà di flessione verso un plasticismo di rilevante interesse, anticipatore del Barocco.
Morì a Roma nel 1613 all’età di cinquantadue anni.
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