FITOGEOGRAFIA (XV, p. 499)
Anche un esame sommario della più recente produzione fitogeografica permette di constatare un crescente interesse ai problemi di carattere storico-genetico; la riconosciuta esigenza di una collaborazione più profonda fra fitogeografi, geofisici, geologi e pedologi; l'opportunità di integrare il più possibile la f., in senso stretto, nella biogeografia, per una visione più completa dei problemi tanto affini e interferenti, che nascono dall'esame della distribuzione delle piante e degli animali; infine dalla tendenza a rivolgere vieppiù l'attenzione alle piante e ai paesaggi vegetali di interesse pratico ed economico.
Mentre proseguono le ricerche fitogeografiche sistematiche su singole specie o gruppi superiori di piante, cresce particolarmente l'interesse per ricerche sulla storia delle flore specialmente del Terziario e del Quaternario. Continua a recare grandi servizî il metodo dell'"analisi pollinica", fertile di risultati specialmente per illuminare le più recenti vicende interglaciali e postglaciali del clima e della vegetazione, ma anche quale ausilio agli studiosi della preistoria (concordanze fra quadri vegetali e industrie umane). Una opportuna critica controlla l'attendibilità di conclusioni basate sulle proporzioni quantitative del polline - le quali non possono dare senz'altro la composizione delle antichissime formazioni forestali - e suggerisce molta cautela nello stabilire troppo facili concordanze cronologiche fra successioni accertate in territorî a diversa latitudine e altitudine. L'analisi pollinica vale oggi, specialmente per: a) datare giacimenti preistorici; b) conoscere le correlazioni fra fasi forestali e fasi climatiche, in particolare con la cronologia glaciale; c) ricostruire paesaggi e formazioni vegetali; d) rilevare la presenza dell'uomo. Quest'ultimo aspetto è certo uno dei più recenti; risale a J. Iversen (1941) e si fonda sul riconoscimento di pollini di specie erbacee caratteristiche del disboscamento o delle praterie, o di specie coltivate (cereali, legumi, noce, castagno, ecc.), o ancora di specie ruderali costanti commensali dell'uomo. Con tali criterî H. Nilsson, nello Jutland, ha indicato ad esempio l'apparizione dei Megalitici apportatori di una agricoltura attiva, e H. Godwin (1944 e 1948) ha messo in evidenza due periodi di agricoltura attiva in Inghilterra, uno nel Bronzo medio e superiore, l'altro alla fine dell'età del Ferro. Sono di sussidio allo studio dei pollini esami estesi anche ai resti di vegetali macroscopici (frammenti di foglie, semi, legni, ecc.) e microscopici (sulle Diatomee in particolare, che posson recare utili notizie sui caratteri dell'ambiente). Alla valutazione dell'età dei resti vegetali, e organici in genere, reca grande contributo il recente metodo di controllo del loro contenuto in Carbonio radioattivo (C 14), metodo elaborato sin dal 1949 da W. F. Libby e collaboratori, di Chicago. I risultati sono specialmente utili per il Postglaciale, sebbene non vadano esenti da errori. I carboni di Picea e Larix del Paleolitico delle celebri grotte di Lascaux (Dordogna) hanno dato un'età di 15.516 ± 900 anni. Un controllo dei dati offerti dal C 14 può essere ottenuto confrontando su materiali di età altrimenti determinabile (per esempio legni di Sequoia, resti di tombe egizie, ecc.). È comprensibile che l'accumularsi di dati storici sulle più recenti vicende delle flore, dei climi, dell'insediamento dell'uomo, vada assumendo decisiva importanza per l'interpretazione delle attuali distribuzioni delle piante, dei paesaggi vegetali, delle stesse strutture vegetali.
Sintesi epiontologiche sulla vegetazione forestale centro-europea, come quella di J. Podpera, che interessa molto anche la vegetazione italiana (G. Negri, 1946,1947) traggono argomento e sostegno dalla conoscenza della storia postglaciale dei popolamenti forestali. Uno sforzo di sintesi storica anche più completo e complesso, che tien conto ampiamente di queste vicende, è offerto da E. Schmid, le cui "fasce di vegetazione" (Cingulus o Vegetationsgürtel) sono grandi unità a carattere geografico, filogenetico, epiontologico; secondo lo schema pubblicato nel 1945 le fasce proprie dell'emisfero Nord sarebbero le seguenti: 1) Serie artico alpina (Carex-Elyna; Vaccinium uliginosum-Loiseleuria); 2) Serie subartica di taiga (Larix-Pinus cembru; Picea); 3) Serie temperata standard (Fagus-Abies; Quercus-Tilia-Acer); 4) Serie temperata metamorfosata (bosco steppico a Pulsatilla; steppa a Stipa; semideserti ad Artemisia; deserti ad Haloxylon); 5) Serie temperata mediterranea xeromorfosata (Quercus pubescens; Stipa tortilis; Steppe montane mediterranee; Acantholimon-Astragalus tragacantha); 6) Serie subtropicale standard (Laurocerasus; Cupressoidee); 7) Serie subtropicale xeromorfosata (Argania sideroxylon; Quercus ilex); 8) Serie tropicale standard (fasce delle foreste tropicali); 9) Serie tropicale xeromorfosata (fasce xeriche tropicali; deserti paleotropicali); 10) Serie delle fasce costiere relitte subtropicali e temperate (Genistee-Ericoidee; Quercus robur-Calluna). Sono "fasce standard" quelle che si son potute sviluppare ed evolvere senza disturbo in condizioni ottimali; sono "fasce metamorfosate" quelle la cui composizione floristica ha subìto modificazioni notevoli, ad esempio in senso xerico per mutamenti del clima. Lo Schmid considera anche possibili "trasgressioni", cioè spostamenti di una flora sotto la spinta di mutamenti climatici: per esempio la trasgressione glaciale del "bosco steppico a Pulsatilla" nella regione mediterranea.
L'indagine storico-genetica su singoli "ceppi" si vale oggi di un metodo particolarmente redditizio: l'indagine "citogenetica", che consiste nell'esame e interpretazione dei "numeri cromosomici" e dei "cariogrammi" proprî di singole specie o sottospecie. Quando questa indagine non pretenda di esaurirsi in sé stessa, ma si affianchi a tutti gli altri metodi fitogeografici tradizionali, può recare grandissimo aiuto per l'interpretazione di fatti distributivi, e per la stessa ricerca dei centri d'origine. Un aspetto particolare è rappresentato dallo studio delle relazioni fra poliploidia e geografia delle piante.
L'accrescersi del corredo cromosomico induce nelle piante non solo modificazioni morfologiche, ma anche biologiche, al punto che un poliploide può presentare un'ecologia - cioè un modo di reagire alle condizioni ambientali - assai diversa da quella dei diploidi da cui ha origine; ne consegue che anche la distribuzione altitudinale o latitudinale di una razza poliploide potrà presentare caratteri ben distinti. Lo stesso comportamento fotoperiodico subisce profonde variazioni; è stato dimostrato ad esempio da A. Ernst (1941) su Antirrhinum maius che la razza tetraploide di questa specie è più marcatamente longidiurna e richiede quindi per fiorire un giorno più lungo. In generale pare che la poliploidia aumenti con la latitudine dall'Africa Settentrionale attraverso l'Europa verso la regione artica (G. Reese); si ammette pure che la poliploidia conferisca capacità di propagazione in ambienti meno favorevoli. Fra le ínterpretazioni generali meno incerte ricordiamo quella di A. Stebbins: "Forse la generalizzazione più sicura che si possa fare sui poliploidi è che essi sono più numerosi in regioni che solo recentemente sono state aperte alla colonizzazione delle piante, o che sono state soggette a grandi mutamenti recenti nella loro flora".
La tendenza a integrare la fitogeografia tradizionale in una sintesi biogeografica a più ampio respiro non vuol significare che la geografia delle piante e quella degli animali debbano cessar di durare come distinte discipline, ma piuttosto che si sente vieppiù la necessità di valorizzare fra i fattori determinanti dei fatti fitogeografici e zoogeografici, i fattori "biotici". Recentemente L. Dansereau (1957) sintetizza i più salienti aspetti dell'indagine "biogeografica" in cinque livelli che offrono un'idea della grande complessità cui assurgono le ricerche sulla geografia delle piante e degli animali.
Un primo livello storico comprende indagini storico-geografiche delle piante e degli animali: indaga la loro origine, propagazione e regressione, le migrazioni e smistamenti in relazione ai mutamenti climatici, gli areali e le affinità degli areali; flore e faune, tipi di areali sono le unità fondamentali. Un livello bioclimatico comprende indagini climatologiche e vegetazionali; e le unità fondamentali sono: zone di vegetazione e formazioni, tipi climatici, isofene, isobiocore. Un livello sinecologico comprende indaginï autoecologiche, pedologiche e vegetazionali, perseguendo la conoscenza delle popolazioni vegetali e animali; ne sono unità fondamentali ecosistemi o comunità. Un livello autoecologico comprende ricerche di fisiologia, anatomia e genetica, onde riconoscere il modo di reagire di singole specie o razze di fronte ai fattori dell'ambiente; unità: gli ecotipi. Finalmente un livello industriale (che potremmo anche chiamare antropico) che comprende ricerche antropogeografiche, agrarie e forestali, storiche e sociologiche, accentrate sul "paesaggio" influenzato dalla presenza dell'uomo; unità pratiche sono, a questo livello, i tipi di utilizzazione del suolo (Land use).
Tale visione sintetica culmina con finalità pratiche ed applicative della fitogeografia. Ma da tempo la f. è posta a servizio di esigenze anche squisitamente economiche; specialmente da quando ha preso sviluppo l'indagine sull'origine e distribuzione delle piante coltivate, problemi non teorici, anche se possono aver dato occasione a speculazioni teoriche. L'acclimatazione delle piante utili non è più empirica, ma viene fondata su un corpo di conoscenze naturalistiche essenzialmente di carattere ecologico, fisiologico, storico-geografico.
Che la storia delle specie assuma grande importanza in tal caso è stato dimostrato in particolar modo dai botanici russi (V. I. Baranov, A. Roussanov, ecc.); è stato constatato ad esempio che i cereali xerofitici originarî delle zone tropicali dell'Africa e dell'Asia si adattano al clima severo del Pamir meglio dei tipi ecologici mesofitici del Nord. I fondamenti teorici sulla conoscenza dei centri d'origine delle specie e razze coltivate sono merito di N. Vavilov, il quale ha indagato su vastissimo materiale proveniente da tutti i paesi del mondo con criterî cariologici, genetici, fisiologici, agronomici, ecc. Secondo Vavilov la zona di massima concentrazione di entità ereditariamente costanti corrisponde al centro d'origine della pianta coltivata. Anche la coincidenza di un massimo numero di forme endemiche, e di forme a caratteri geneticamente dominanti, contribuiscono, secondo Vavilov, a localizzare un centro d'origine.
Altro indice dell'orientarsi della f. verso ricerche di carattere applicativo è l'intensificarsi di studî per la conoscenza e tipologia di formazioni vegetali di alto interesse economico: le praterie e le foreste. Questo vasto e importante campo di ricerche ci conduce a constatare come oggi grandissima parte della produzione fitogeografica appartiene a quel livello che L. Dansereau denomina "sinecologico", e che costituisce ormai una nuova fertile branca della biogeografia: lo studio delle comunità o associazioni vegetali: la "fitosociologia" o in senso più lato "fitocenologia" (v. fitosociologia, in questa App.).
Bibl.: H. Meusel, Vergleichende Arealkunde, Berlino 1943; E. V. Wulff, An introduction to historical plant geography, Waltham, Mass., 1943; L. Croizat, Manual of phytogeography, L'Aia 1952; F. Firbas, Waldgeschichte Mitteleuropas, Jena 1952; R. Good, The geography of flowering plants, Londra 1953; H. Walter, Einführung in die Phytologie, Stoccarda 1951-56; L. Dansereau, Biogeography, Montreal 1957; F. Firbas, H. Gams, H. Merxmüller, in Fortschritte der Botanik, Berlino 1949-59.