GIORGI, Fillide (Filli)
Nacque a Firenze il 20 genn. 1883 da Fausto, impiegato del ministero delle Finanze, e da Ernesta Gori.
Nel 1899 si iscrisse, direttamente al secondo anno di corso, all'Accademia di belle arti di Firenze; qui frequentò le lezioni di G. Fattori e A. Rivalta e studiò insieme con l'amica pittrice Leonetta Pieraccini che abitava a Poggibonsi e soggiornava spesso in casa Giorgi. Le due amiche conobbero e insieme apprezzarono il pittore G. Costetti, già assai noto in quegli anni, che frequentava anch'egli assiduamente casa Giorgi, come testimoniano vari ritratti da lui dipinti dei familiari della pittrice.
Da tale esempio le due amiche avrebbero tratto le indicazioni per una pittura rapida e scabra, pensata come emanazione interiore, sulla scorta della espressiva galleria di ritratti che Costetti andava realizzando negli stessi anni. Fin dall'inizio della propria attività la G. fu infatti consapevole di voler proporre il rinnovamento della macchia nell'accezione del maestro Fattori, alla luce delle esperienze sul colore maturate in ambito postimpressionista e secessionista.
Anche E. Cecchi fu amico assiduo di casa Giorgi dove conobbe la Pieraccini, che avrebbe sposato nel 1911. Dopo l'improvvisa morte del padre, nel 1902, per la G. fu difficile continuare gli studi, che comunque riuscì a concludere nel 1904, cominciando a lavorare e a esporre per proprio conto. Nel 1906 fu presente alla Promotrice di Genova e alla Mostra curlandese di Bologna, mentre realizzò vari ritratti, fra i quali quello della Sorella Vittoria, ora presso il Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, e quelli di Guido Approsio e della Marchesa Lencisa (entrambi di ubicazione ignota) esposti alla Società di belle arti di Firenze nel 1907. Riprese a frequentare l'Accademia nel 1908, iscrivendosi alla scuola libera del nudo, dove le furono compagni D. Rambelli e E. Drei, oltre all'amica Leonetta; seguì i movimenti artistici del momento, si abbonò a La Voce, studiò e visitò gallerie e musei italiani e stranieri, nei viaggi intrapresi tra il 1906 e il 1909 in Francia, Svizzera e Germania. In questo periodo divenne amica di Juliette Bertrand, che insegnava al Grenoble di Firenze e che, grazie alle amicizie di casa Giorgi, sarebbe divenuta divulgatrice e traduttrice delle opere di B. Cicognani, G. Papini e C. Malaparte. Frattanto, attraverso Costetti, la G. conobbe Arrigo Levasti, di tre anni più giovane di lei, giunto da Modena per studiare filosofia, frequentare la "biblioteca filosofica" di G. Papini e collaborare insieme con questo, con G. Vailati e con G. Prezzolini al Bollettino filosofico, scrivendo successivamente anche per La Voce e Lacerba. Nel 1914 partecipò alla II Esposizione della Secessione romana con due nature morte non identificate, e nel novembre sposò Levasti, andando a vivere a Firenze in viale Milton, sopra lo studio di Costetti e della scultrice Evelyn Scarampi, che divenne sua grande amica. Nel 1915 fu invitata alla III Esposizione della Secessione romana, con tre nature morte scelte personalmente da G. Chini (F. Levasti…, p. 323).
Nei dipinti di questi anni certe invenzioni compositive possono rimandare al gusto viennese, ma più forte è già il sicuro riferimento cézanniano, nella materia squamosa, quasi scultorea delle lamelle di pigmento, quest'ultimo esaltato e intenso, sulla scorta di una moderna interpretazione di P. Cézanne, come andava allora diffondendosi in Toscana: esempi di queste scelte sono opere quali Arrigo e i tulipani del 1913 circa (Roma, collezione privata: ibid., tav. IV), Natura morta con fondo a fiori del 1914 circa (Roma, collezione privata: ibid., tav. III), Natura morta, tavola apparecchiata del 1915 (Firenze, Galleria d'arte moderna), nelle quali il preziosismo coloristico, il rigore costruttivo delle immagini e la resa sintetica dei volumi non può che rimandare al contemporaneo esempio del pittore fiorentino O. Ghiglia, interprete autorevole di un'originale versione di Fattori rivissuta sulla scorta dei colori di V. Van Gogh e P. Gauguin e del plasticismo di Cézanne.
Nel 1916 Arrigo Levasti fu chiamato a Roma sotto le armi; e la G. visse tra Firenze e Montepiano, dove aveva condotto le sorelle, cagionevoli di salute, che cercò sempre di aiutare soprattutto dopo la morte della madre avvenuta in questo stesso anno. Contemporaneamente riuscì a vendere alcune acqueforti in Francia, attraverso l'interessamento dell'amica Bertrand; la G. aveva iniziato a incidere fin dai primi anni di attività: si ricordano, in particolare, due incisioni del 1915 circa con Arrigo e Vittoria in giardino e la natura morta Tromboncini e vasetto (entrambe Roma, collezione privata: ibid., figg. 19 s.). Risale a quest'epoca l'amicizia con la pittrice Vittoria Morelli che la introdusse nell'ambiente romano, facendole conoscere numerosi artisti tra i quali C. Socrate e A. Spadini, parimenti frequentati da Arrigo, che alla fine della guerra tornò a Firenze; la famiglia aveva intanto stretto amicizia con il musicista V. Gui, che, grazie all'interessamento di Arrigo, fu chiamato a dirigere dal 1928 l'orchestra di Firenze.
Nel 1920 la G. inviò cinque dipinti all'Esposizione internazionale d'arte moderna di Ginevra, dove riscosse gran successo, e si preparò alla I Biennale romana del 1921, nella quale espose tre nature morte, grazie all'interessamento di E. Cecchi; parallelamente venne invitata alla I Esposizione del paesaggio italiano sul Garda, alla quale partecipò con una natura morta e due paesaggi. Attraverso E. Prampolini partecipò nel 1921 all'Esposizione d'arte italiana d'avanguardia prima a Praga e poi a Berlino, dove due sue opere furono rubate; per tale motivo nel 1922 la G. si recò con il marito in questa città dove fu ospite pressi i coniugi Gehrig che divennero intimi amici della coppia e punto di riferimento costante per il mercato tedesco. A Oskar Gehrig, lettore di storia dell'arte all'Università di Rostock, si devono anche una serie di articoli su Der Cicerone e Die Welt dedicati all'opera della pittrice italiana. Forse a causa della spagnola, contratta nel 1922, la G. non si presentò all'appuntamento attesissimo della Primaverile fiorentina, grande esposizione alla quale peraltro parteciparono molti artisti a lei cari, anche della scuola romana, come Socrate e Spadini.
La sua maniera pittorica si stava frattanto orientando verso nuovi significativi riferimenti proponendosi di giungere a uno stile personale, inteso come cadenza interiore, attraverso un'espressione volutamente ingenua, come in certi esempi di Henri Rousseau o, per altro verso, della narrativa dell'amico B. Cicognani. Così nella Fiera (Padova, collezione Dagnini: F. Levasti…, fig. 59) e nel Lampionaio (già Praga, collezione Lotte Elias, ora disperso: ibid., fig. 62), entrambi del 1920, e ancora nella Giostra del 1921 (Berlino, collezione Woche: ibid., fig. 71) o nel Piccolo mercato del 1922 (Berlino, già collezione Gehrig: ibid., fig. 75), la pittrice attinse a un repertorio quasi naïf, popolato di burattinai e saltimbanchi, verdurai, contadini e bancherelle, alla ricerca di una sorta di felice ingenuità, come affermava in una lettera del 1920 alla Pieraccini (Ragionieri, p. 19), che lei trovava nel mondo delle fiere e delle giostre di paese, alla ricerca dell'essenza semplice e istintiva della vita.
Nel 1924 partecipò alla II Fiera d'arte fiorentina, poi al IV Concorso Ussi, dove presentò il dipinto Il teatro (Roma, collezione Previtali: F. Levasti…, tav. XXII), che non vinse il premio, ma fu molto apprezzato dalla critica; nel 1925 partecipò alla mostra organizzata per l'anniversario del Reichstag di Berlino, con gran risalto della critica tedesca; nel 1927 fu presente al Salon des Indépendants di Parigi, dove le vennero richiesti due dei suoi quadri più famosi, La fiera e Il teatro, che le valsero l'interessamento di Waldemar George e la segnalazione sull'importante rivista L'Amour de l'art. Nel 1928, attraverso l'amica Vittoria Morelli, venne invitata alla Mostra degli amatori e cultori di belle arti a Roma, in occasione della quale il Governatorato comprò Piazza Indipendenza (ubicazione ignota), per esporla alla Galleria Mussolini. Risale a questi anni l'intensa amicizia con il letterato e giurista fiorentino P. Calamandrei, che oltre agli interessi artistici e culturali, condivise con i coniugi Levasti un crescente sentimento antifascista. Nonostante le lusinghiere affermazioni, la G. conobbe in questi anni notevoli difficoltà economiche sul mercato italiano, cui continuarono a corrispondere tuttavia le vendite in Germania tramite la costante intermediazione dei coniugi Gehrig; nel 1929 partecipò infatti con ben venti dipinti, di cui sei nella collezione Gehrig, e varie acqueforti, alla mostra allestita al Kunstverein di Münster che si concluse con l'acquisto ufficiale da parte di questa istituzione di due opere (il quadro Baracche e un'acquaforte) e con incoraggianti recensioni sui giornali locali e di Colonia. Nello stesso anno, a Firenze, presso palazzo Antinori, la G. realizzò un'impegnativa mostra personale, ove espose oltre quaranta opere, suscitando notevole interesse da parte della critica italiana che le dedicò numerosi articoli, tra i quali si ricordano quelli comparsi nel dicembre del 1929 su La Nazione, l'Illustrazione toscana e IlNuovo Giornale nonché, nel settembre del 1930, sul Giornale d'Italia.
Appartengono a questo periodo, a cavallo tra il terzo e il quarto decennio, opere come Vita semplice del 1929-30 (già Berlino, collezione Gehrig: F. Levasti…, fig. 108), I carbonai del 1931-32 (Roma, collezione Previtali: ibid., tav. XXIX), Angoli di case del 1934 (Stati Uniti, collezione Ferrando: ibid., fig. 119), Giochi di bimbi del 1938 (già Firenze, collezione Levasti, ora disperso: ibid., fig. 147): luoghi senza storia, scene di quartiere e di vita quotidiana, animati da un ritmo lento e scandito, colto con intima delicatezza e sentimento quieto, espresso con tono più assorto rispetto alle opere precedenti.
Negli anni Trenta, mentre peggiorava progressivamente la situazione politica in Germania, crebbero le difficoltà con il mercato tedesco, nonostante la confermata amicizia con i Gehrig, che spesso mandavano giovani artisti e musicisti tedeschi a Firenze, ospiti di casa Levasti. In questo periodo, dopo la morte improvvisa nel 1935 di Maria Gui, i Levasti si strinsero intorno alla famiglia Gui, particolarmente vicini alla figlia Oriana, da poco sposata con il maestro F. Previtali, che diverrà assiduo collezionista dell'opera della Giorgi. Nelle difficoltà crescenti anche in Italia, la G. iniziò a condurre vita ritirata, brevemente interrotta nel marzo del 1936 da una personale alla saletta Rizzi di via Rondinelli a Firenze e da collettive, una delle quali, intitolata "I Rassegna della donna italiana nel campo delle arti figurative", si tenne con gran successo di pubblico alla galleria Gian Ferrari di Milano. L'anno successivo uscì, su commissione dell'amico Calamandrei, il libro di S. Ramat dedicato alla pittura della G. nel quale venivano pubblicate le sue opere più conosciute dal 1920 al 1934; tale pubblicazione consentì all'artista di essere ammirata con interesse anche da L. Venturi che nel 1945 le scrisse per complimentarsi (ibid., p. 205). Nel 1937 espose con successo un gruppo di disegni alla mostra allestita al Metropolitan Museum di New York dall'International Federation of business and professional women e, nel 1938, all'Esposizione internazionale disegni e cartoline di Vienna; in questo stesso anno partecipò con il dipinto Il teatro all'Esposizione internazionale del Carnegie Institute di Pittsburgh.
Con l'inizio della seconda guerra mondiale il lavoro si diradò; e la G. si dedicò prevalentemente al disegno. A causa dei bombardamenti che colpirono la casa studio di viale Milton molte sue opere vennero danneggiate; e l'artista con la famiglia si ritirò nella villa dell'amica Scarampi a Bagno a Ripoli, sulle colline fiorentine.
Dopo la fine della guerra, nel 1947, fu nominata a Firenze vicepresidente del Club delle artiste pittrici e curò con discreto successo l'esposizione di arti grafiche realizzata, nel febbraio del 1948, a Kansas City con diciassette artiste italiane e poi replicata, nel marzo, al Lyceum di Firenze. Negli anni successivi, a causa di una grave pleurite, la G. condusse vita ritirata, continuando tuttavia a dipingere e disegnare vedute dal tono fiabesco, paesaggi, nature morte fedeli alla sua interpretazione della realtà legata alla semplicità del quotidiano. Sue opere furono esposte negli anni Cinquanta a Londra presso la galleria Suffolk, a Roma presso la galleria Po, a Firenze presso il Lyceum, la Casa di Dante e palazzo Strozzi (nell'ambito della mostra "Mezzo secolo d'arte toscana 1901-1950"). Nella primavera del 1959 si impegnò nella personale organizzata con grande successo dalla fiorentina Accademia delle arti del disegno, ove vennero raccolte tele e opere grafiche delle collezioni degli amici Previtali, Gui, Contini Bonacossi, Calamandrei, per un numero complessivo di 76 opere. Tale esposizione le consentì di ottenere il premio Carmine e i complimenti di Antonio Maraini, presidente della stessa Accademia.
Nel corso degli anni Sessanta, colpita da una grave paralisi, fu costretta a interrompere la sua attività. Morì a Firenze il 24 sett. 1966.
Il ricco fondo Levasti di proprietà della famiglia Previtali venne successivamente donato dallo storico dell'arte G. Previtali, legato da affetto filiale ai coniugi Levasti, alla Biblioteca Marucelliana di Firenze. Nel 1988 fu allestita un'importante mostra antologica presso l'Accademia delle arti del disegno e presso la stessa Marucelliana.
Fonti e Bibl.: G. Costetti, L'esposizione di via della Colonna, in La Tempra, 31 genn. 1916; A. Levasti, Esposizione Florentina Ars, in Pagine d'arte, 15 dic. 1918; Esposizione nazionale d'arte. I Biennale romana (catal.), Roma 1921; Esposizione personale di Filli Levasti (catal.), Firenze, 1929; S. Ramat, Pittura di Filli Levasti, Firenze, 1937; Esposizione personale di Filli Levasti (catal.), Firenze 1959; F. Levasti, 1883-1966 (catal.), a cura di V. Masini, Firenze 1988; S. Ragionieri, Dallo stile alla cadenza interiore, ibid., pp. 11-31; G. Di Genova, Storia dell'arte italiana del '900. Generazione maestri storici, Bologna 1993-95, I, pp. 205, 434-436; II, pp. 1002 s.; III, pp. 1769 s.