RE, Filippo
RE, Filippo. – Nacque a Reggio Emilia il 20 marzo 1763 da Rinaldo e da Marianna Vezzani in una famiglia benestante di origine lombarda impegnata nel commercio di stoffe.
Fin dal 1720 il duca Francesco III d’Este aveva nominato il nonno paterno, Antonio, titolare della gestione delle gabelle, concedendogli nel 1753 il titolo di conte per lui e i suoi discendenti.
Filippo frequentò i primi studi a Ravenna presso il Collegio dei gesuiti, ma quando nel 1773 la Compagnia di Gesù fu soppressa, tornò a Reggio Emilia per frequentare il locale seminario-collegio. Nel 1781 ottenne il diploma in scienze matematiche e da allora si dedicò pressoché interamente agli studi botanici e all’agricoltura nei terreni di famiglia: un fondo a Villa Cella e una vera e propria riserva naturale che i Re possedevano nella Valle di Campegine dal 1724. Ma fu soprattutto nel giardino dello storico palazzo natale di via Fontanelli che lo scienziato compì le sue prime osservazioni e coltivazioni. Il giardino divenne così un luogo di studio, attrezzato per la coltura vivaistica.
Dei fiori, degli alberi e degli arbusti di ogni tipo, l’ultimo – un grande melograno addossato al muro di casa – sopravvisse fino al 1939. Sulla casa ancora oggi una lapide lo ricorda con la scritta «In questa casa nacque lungamente abitò e venne a morire Filippo Re e l’orticello qua dentro si gloria di essere stato caro ed utile al principe degli agronomi, 1763-1817».
Nel 1790 il liceo di Reggio istituì la cattedra di agraria e Re ne assunse la docenza. Nel periodo rivoluzionario e giacobino (1796-99), la sua partecipazione alla vita pubblica fu cauta e moderata, ‘una testa non riscaldata’ come amava definirsi, contrariamente al fratello Antonio (soprannominato Robespierre) più radicale, fervente giacobino nel 1796, ma poi governatore di Reggio nel 1815 al ritorno dei duchi. Re si impegnò in politica solo per un breve periodo, fra il 1796 e il 1797 al tempo della Repubblica Cisalpina, come capitano della guardia civica, presidente della Municipalità e membro della commissione di polizia, mentre dedicò la totalità del tempo ai suoi studi prediletti.
Figlio del Settecento, Re ne possedette il tipico spirito del viaggiatore, che lo portò a osservare con curiosità paesaggi, fenomeni naturali, aspetti umani e sociali delle contrade attraversate. I suoi diari di viaggio e le lettere alla cognata Catterina Busetti (moglie di Antonio), sua confidente per tutta la vita, ne offrono una ricca testimonianza. Qui si autodefinisce ironicamente «Arlecchino viaggiatore», «Arlecchino politico», «uomo prudente» (Diario, pp. 55, 61). Questo gusto per il comico e lo spiccato senso critico in un’epoca in cui la sensibilità si muoveva verso nuove forme di pathos tra il sublime e la malinconia, furono un suo carattere distintivo, espressione di pacatezza e di modestia riflessiva che egli stesso riconobbe come proprio umorismo ‘lombardo’ (in famiglia era chiamato Flipazz).
Pur permeato di riformismo illuminista, visse in modo traumatico la fase rivoluzionaria e repubblicana, temendo che la sollevazione indotta dall’arrivo delle armi francesi generasse arbitrio e anarchia. Così, dal 24 giugno al 2 luglio 1798, ai tempi della Costituzione Cisalpina e del primo Direttorio, si allontanò da Reggio in subbuglio per percorrere, insieme al sacerdote Giandomenico Fioroni, l’Appennino reggiano, dove ebbe la possibilità di approfondire le sue cognizioni con studi e ricerche sulle condizioni economiche e sociali della montagna, pubblicando poi un resoconto (Viaggio, 1798) nel quale affermava come l’insegnamento agronomico non fosse per lui fondato solo sull’esperienza fisica e chimica, ma anche su un atteggiamento contemplativo e un sincero amore per le bellezze del creato.
Nei primi anni dell’Ottocento fu segretario della Società agraria di Bologna e titolare della cattedra di agricoltura all’Università felsinea, di cui venne nominato rettore dal 1805 al 1806. Autore di studi e pubblicazioni sulle malattie delle piante, la concimazione dei terreni e l’erba medica, fu promotore di un’inchiesta sull’agricoltura dalla quale nacquero gli Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia (1809-1814), ove dette risalto e valore alle varietà e alle differenze dell’agricoltura italiana.
La vita di Re si caratterizzò dunque primariamente per l’impegno come studioso di agricoltura e per l’insegnamento agrario (cattedra di agraria a Reggio Emilia 1790-98, di Bologna 1803-14 e Modena 1814-17), di cui è considerato uno dei precursori. Le sue prime lezioni furono raccolte nel 1794 e poi pubblicate nel 1798 con il titolo di Elementi di agricoltura. Composto nella quiete di Collagna, il volume recepisce le acquisizioni della fisica, della chimica, della medicina e della biologia del Settecento, configurandosi come «la prima opera agronomica italiana, all’inizio del secolo XIX, ad ottenere un rilievo di carattere europeo» (Barigazzi, 1989, p. 41).
Come Albrecht Thaer per la Germania, Re è stato considerato per l’Italia il fondatore di una teoria e di una pratica agronomica basata sulle conquiste scientifiche. A differenza di Thaer, però, l’agronomo di Reggio Emilia si rifaceva soprattutto a una tradizione agraria ‘nazionale’ e la sua opera era tesa a un’esaltazione di questa, contro quella che lui definiva «l’anglo-gallo-mania» degli uomini d’agricoltura (Dizionario, 1808-1809, p. 53). Con gli Elementi d’agricoltura e gli Annali egli non approdò, come aveva fatto Thaer, alla propaganda di un’agricoltura capitalistica: l’agricoltura doveva sì essere esercitata per il raggiungimento di un ‘guadagno’ massimo, ma questo avrebbe dovuto essere ottenuto con la minima possibile spesa e non con un largo impiego di capitali. Pur con un contenuto non progressista in fatto di sistemi agricoli, Re innalzò tuttavia le scienze agrarie italiane a un livello moderno e indicò, sul piano della tecnica, un’organica linea di innovazioni di importanza fondamentale. Ciò dette un impulso decisivo al proliferare di un’impegnata letteratura e alla diffusione della sperimentazione e dell’istruzione agraria.
La prima formulazione dell’agronomia intesa come attività sperimentale, dove pratica e teoria si fondono, si trova in una lettera indirizzata al letterato Giulio Montanari della Mirandola: vi si afferma che l’agricoltura è «oggetto il più interessante la pubblica autorità» e, mutuando concetti tipici della fisiocrazia, che l’uomo deve impiegare ogni sforzo per «arrecarle i maggiori vantaggi» poiché è l’«unica e reale» sorgente delle ricchezze dal cui uso dipende «la felicità delle popolazioni», procurandoci essa «gli onesti comodi della vita» (Al signor Giulio Montanari, 1795, p. 15).
La sua vasta cultura, che spaziava dalla botanica all’entomologia, alla chimica, alla fisica, alla mineralogia, è attestata nel Saggio di bibliografia georgica (1802), uno studio che esalta il valore pragmatico della scienza e si oppone alle credenze popolari e ai ‘lunari’ tipici del mondo rurale, dichiarandosi nemico della «benigna influenza della Luna» sulla vegetazione (p. 52). Nel successivo e corposo Dizionario, Re tracciava un dettagliato profilo bibliografico di autori di agricoltura a partire dal Cinquecento, sia che li considerasse geniali precorritori della rotazione delle colture o della concimazione con i fosfati, come Camillo Tarello o Agostino Gallo, sia che li stroncasse, come Vincenzo Tanara.
All’Italia come Paese arretrato, composito e bisognoso di una rinascita basata su un comune sguardo scientifico, Re dedicò l’opera più significativa, gli Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia, che possono essere considerati la prima rassegna agronomica nazionale, di cui fu fondatore e direttore dal 1809 al 1814. Si trattava in sostanza di un ‘catalogo delle agricolture’, che compose avvalendosi di numerosi corrispondenti dalle province del Regno napoleonico scelti tra i maggiori esperti dell’attività rurale. Fu grazie a questo periodico e agli altri scritti che Re divenne un punto di riferimento per gli studiosi di agronomia e, successivamente, per quelli di storia dell’agricoltura.
Emilio Sereni lo colloca in una terza fase del ruolo storico di Bologna nella diffusione delle conoscenze agrarie in Italia, dopo l’opera innovatrice medievale di Pier Crescenzi e quella seicentesca di Vincenzo Tanara. Per Sereni, Re è portatore di una sensibilità culturale e scientifica non separata dall’impegno pratico; impegno già evidente nei primi studi di botanica, basati su attività di osservazione, sperimentazione e classificazione e nella necessità di ancorare l’agricoltura alle condizioni regionali. Sereni sottolinea anche come le pratiche della rivoluzione agronomica inglese fossero già presenti in Italia con Camillo Tarello (Sereni, 1960, pp. 901-908).
Nel 1814, con la Restaurazione, Re fu sospeso dall’insegnamento e rientrò a Modena come docente universitario di agraria e botanica oltre che intendente ai Reali giardini.
Morì di tifo a Reggio Emilia il 26 marzo 1817. Nato all’inizio di una delle più terribili carestie, si spense dunque al tempo di una nuova crisi della produzione agraria, lui che aveva dedicato la vita al miglioramento dell’agricoltura italiana.
Oltre ai cultori delle scienze agrarie, Re ha suscitato l’interesse degli studiosi di storia economica e della letteratura. Alberto Caracciolo (1973, p. 600) gli ha dedicato considerazioni significative nell’ampio affresco sulla storia economica italiana dal primo Settecento all’Unità, mentre Roberto Finzi (1992, pp. 398 s.), affrontando il tema della mezzadria, ha ricordato l’attenzione dello studioso reggiano per la questione dei rapporti agrari e, soprattutto nei Nuovi elementi di agricoltura, per il giudizio negativo del ruolo dei braccianti giornalieri, contestuale a una valutazione positiva del rapporto mezzadrile. Ezio Raimondi (in Narrazione intorno a Filippo Re, 2006, pp. 25-35) ha visto in Re un grande sperimentatore, il continuatore, nella sfera agronomica, di Galileo Galilei, riconoscendogli un ruolo di primo piano nella storia della cultura italiana nel momento di passaggio dall’Ancien régime all’età napoleonica e alla restaurazione. Diverso è il giudizio di Antonio Saltini, per il quale Re non fu tanto un modernizzatore del sapere agronomico, quanto il propugnatore di una dottrina agronomica che nessun progresso segnava rispetto a quella degli autori latini di agricoltura. Per Saltini, Re è il protagonista che vanta il titolo di precursore del ‘risorgimento agronomico’, ma è anche lo studioso che dell’agronomia italiana incarna la pluridecennale arretratezza (Saltini, in Narrazione intorno a Filippo Re, 2006, pp. 59-70).
Opere. Della vasta produzione di Re, si indicano gli scritti particolarmente significativi per evidenziarne il percorso intellettuale e scientifico: Elementi di agricoltura, Parma 1789, Venezia 1802 e 1806; Al signor Giulio Montanari della Mirandola, convittore nel collegio di Reggio e principe di lettere, Parma 1795; Viaggio al monte Ventasso ed alle terme di Quara nel Reggiano, Parma 1798; Saggio di bibliografia georgica. Ossia Indice ragionato delle principali opere di agricoltura sì antiche che moderne, Venezia 1802; Saggio teorico-pratico sulle malattie delle piante, Venezia 1807; Elementi di economia campestre ad uso de’ licei del Regno d’Italia del cav. Filippo Re, Milano 1808 e 1850; Il giardiniere avviato nell’esercizio della sua professione, Milano 1808 e1812; Dizionario ragionato di libri d’agricoltura, veterinaria e di altri rami di economia campestre, Venezia 1809; Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia, Milano 1809-1814; Dei letami e delle altre sostanze adoperate in Italia per migliorare i terreni e del come profittarne, Mira 1810; Istruzione sul modo di coltivare il cotone, Milano 1810; Ortolano dirozzato, Milano 1811; Rapporto a sua eccellenza il signor ministro dell’Interno sullo stato dell’Orto agrario della Reale Università di Bologna, Milano 1812; Nuovi elementi d’agricoltura, Milano 1815, 1820, 1837; Saggio sulla coltivazione e su gli usi del pomo di terra e specialmente come valga a migliorare i terreni, Milano 1817; Saggio storico sullo stato e sulle vicende dell’agricoltura antica dei paesi posti fra l’Adriatico, l’Alpe e l’Appennino sino al Tronto, Milano 1817; Viaggio agronomico per la montagna reggiana e dei mezzi di migliorare l’agricoltura delle montagne reggiane, a cura di C. Casali, Reggio Emilia 1927; Diario di un viaggio per la Toscana e Lettere alla cognata Catterina Busetti Re dalla Toscana e dalla Liguria, a cura di C. Casali, Reggio Emilia 1928.
Fonti e Bibl.: I manoscritti e la corrispondenza di Filippo Re sono conservati nella Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, Manoscritti, Mss. Regg. D 85-90 (segnatura antica: CXV.B.1-6). I Musei civici di Reggio Emilia conservano il vasto erbario di Filippo Re, classificato secondo lo schema linneiano, che raccoglie 8031 specie le cui schede sono digitalizzate e disponibili in rete: www.municipio.re.it/catalogomuseo/musei.nsf/StoriaNaturale? OpenForm&rac=Erbario% 20Filippo%20Re&F=T (10 giugno 2016).
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