MORANDI, Filippo
MORANDI, Filippo (Filippo da Rimini). – Nacque a Rimini presumibilmente tra il 1408 e il 1410, giacché una notizia autografa di Bernardo Bembo, che si legge in calce agli epigrammi sopra Venezia (Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, classe II, 162, c. 115), lo dichiara morto quasi novantenne nel 1497.
Sempre citato come Philippus Ariminaeus (o Ariminensis o de Arimino), è stato possibile attribuirgli un nome di famiglia grazie a Margaret L. King (1978, p. 76): nell’atto di conferimento della cittadinanza (7 dicembre 1443: Arch. di Stato di Venezia, Senato Mar, reg. 1, c. 199v) è infatti chiamato «Filippo quondam Federigini de Morandis». Morandi stesso si dichiara più volte nei suoi scritti riminese ed è quindi infondata l’ipotesi di Apostolo Zeno, che possedeva un paio di manoscritti di sue opere, che provenisse da una famiglia «Ariminei » di Treviso.
La prima notizia certa si ricava da un cenno autobiografico nell’opera in lode dei Malatesta (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Strozzi, 111): Morandi ebbe modo di ammirare in Bologna il valore di Domenico Malatesta (meglio noto come Malatesta Novello, signore di Cesena), capitano della Chiesa per conto di Eugenio IV. La notizia rimanda al 1434 e lascia supporre una lontananza dalla patria (alla quale, a quanto sembra, non dovette più fare ritorno) già di qualche anno. Tuttavia, la ricostruzione di questo periodo nella biografia di Morandi presenta qualche problema: tre anni di insegnamento a Padova e altrettanti a Bologna, esibiti nel curriculum presentato nel 1463 per concorrere a una cattedra veneziana, non possono trovar posto che negli anni antecedenti al definitivo trasferimento a Venezia. Tale trasferimento dovette avvenire non più tardi della fine del 1435, giacché Morandi ottenne la cittadinanza una volta verificata la sua residenza in città da otto anni. Si può ipotizzare il soggiorno bolognese tra il 1432 e il 1435 (King) e quello padovano in anni precedenti, ma ciò sarebbe in contraddizione con la notizia fornita da una scheda di Giuseppe Garampi secondo la quale egli sarebbe stato maestro di grammatica a Roma nel 1436 (King [1978, p. 77], tuttavia, legge con Tonini [1884, p. 235] 1432, avvalorando l’ipotesi di un soggiorno romano di Morandi).
A Venezia nel 1441 declamò un’orazione davanti al doge e a Francesco Sforza e per quest’ultimo compose e fece recitare da un suo alunno un carme encomiastico (Siviglia, Biblioteca Colombina, 5.6.13, cc. 18r-19v, 23v-24v: il codice costituisce il maggior collettore di scritti di Morandi, giudicato dalla Prosdocimi [1993, pp. 41- 44] in gran parte autografo).
Nel 1443 Morandi risulta maestro nella scuola della contrada di Santa Marina e dal 1446 al 1450 insegnò nella scuola pubblica annessa alla Cancelleria a S. Marco. Nel 1448 ricevette l’invito di Ermolao Donato di essergli guida e compagno negli studi umanistici: allettato dalla proposta, gli inviò come saggio delle sue qualità il Symposium de paupertate, che poi, nel maggio del 1450 (secondo la data che si legge nel codice di Siviglia, c. 9v), entrato in rapporto con Francesco Barbaro, ridedicò al nuovo protettore. Una lettera non datata, ma riferibile all’inverno 1449-1450, rappresentò il primo passo per introdursi nel circolo di Barbaro e ottenerne l’appoggio. Morandi fu indotto a scrivere a Barbaro dietro sollecitazione dell’amico Andrea Contrario sia per esprimergli la sua ammirazione per l’opera letteraria (il De re uxoria) e per l’attività politica e militare, sia per invitarlo ad assumersi il compito, sul modello di Cesare, di scrivere la storia di Venezia e delle proprie gesta.
Il Symposium è un dialogo di cui sono interlocutori l’autore con il nome di Areophilus, Andrea Contrario con il nome di Tiburtinus e Giovanni Caldiera con il nome di Hippocratides. Il medico Caldiera propone le fonti classiche in lode della povertà e della fermezza davanti ai colpi della fortuna, adducendo citazioni letterarie ed esempi di personaggi storici. Ma la sua filosofia appare insufficiente a Contrario (definito sapiente nelle lettere sacre), che afferma la superiorità della dottrina morale cristiana e ribatte con calore gli argomenti dell’avversario, tacciato di epicureismo. In due codici marciani (Lat. VI.132 [dalla raccolta Farsetti] e VI.242 [dalla raccolta di Apostolo Zeno]), l’opera è accompagnata da un epigramma in lode di Sigismondo Malatesta dopo che ottenne il comando delle milizie venete (databile quindi al 1449) e da un carme in esametri in encomio di Venezia. Nell’esemplare custodito a S. Daniele del Friuli (Biblioteca Guarneriana, cod. 57) col Symposium si leggono anche 18 esametri in compianto di Caterina Caldiera, figlia poetessa di Giovanni, e di chi avrebbe potuto esserle sposo.
A questo stesso periodo sembrano risalire l’Invectiva in vanissimos oratores (Padova, Biblioteca capitolare, B.62, cc. 65v-77; Siviglia, Biblioteca Colombina, 5.6.13, cc. 40v-48v), nella quale viene esaltata la funzione, anche politica, dell’eloquenza e quindi dell’Umanesimo in una città come Venezia, e un’elegia (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat. XIV.45, pp. 175 s.; Verona, Biblioteca capitolare, CCCIII, c. 118) in cui Cassandra parla in prima persona e per la quale Morandi, nella lettera dedicatoria ad Andrea Contrario, evoca i modelli di Catullo e Properzio. Il Symposium e le composizioni metriche latine, nel loro dignitoso artigianato letterario, dimostrano una buona abilità, soprattutto nella tecnica versificatoria e nella ricerca di un decoro retorico non banale.
Poco dopo Morandi ottenne l’ufficio di cancelliere nell’isola di Corfù, presumibilmente per interessamento di Barbaro: di qui scrisse il 27 febbraio 1452 per congratularsi con lui per l’elezione alla carica di procuratore di S. Marco e qui compose in forma di epistola, raccogliendo notizie dai fuggiaschi, l’Excidium Constantinopolitanae urbis, che al ritorno in patria, avvenuto entro il 1453, dedicò sempre a Barbaro.
Il racconto di Morandi non contiene particolari elementi di novità rispetto a relazioni precedenti sulla caduta di Costantinopoli, ma rimane testimonianza importante per la vicinanza cronologica all’avvenimento, per un certo sapore di informazione di prima mano, capace di far percepire, anche con la sua tendenziosità filoveneta e la sua impostazione retorica, l’impressione che la terribile notizia dovette suscitare in Occidente.
Si tratta dunque dell’opera di maggior interesse di Morandi: nel 1870 Giuseppe Valentinelli, prefetto della Biblioteca Marciana, aveva fornito copia del ms. Lat. XIV.250, in cui è conservata, a Philip Anton Dethier che aveva intenzione di pubblicarla nei Monumenta Hungariae historica, ma i volumi relativi, contestati dall’Accademia ungherese e revocati sono oggi introvabili; dopo l’edizione approntata da Agostino Pertusi, filologicamente non impeccabile, ma importante per una lunga introduzione (che, tra l’altro, ne mostra la dipendenza dalla Cronica di Zorzi Dolfin), da ultimo si può leggere nell’edizione critica di Renata Fabbri. Alla morte di Barbaro (gennaio 1454), Morandi ebbe l’onore di recitare davanti al Senato un’Oratio in funus Francisci Barbari, conservata di seguito all’Excidium nel codice marciano. Secondo una notizia riferita da Angelo Maria Querini (1741, p. DXLV) partecipò anche a una raccolta di versi messa insieme per la stessa occasione. Non vi sono notizie precise per il decennio successivo: la Biblioteca nazionale Marciana (Lat. XIV.266, cc. 306-307) conserva una piccola serie di epigrammi latini, alcuni dei quali testimoniano predilezioni o avversità letterarie, anche nei toni malevoli di talune dispute umanistiche: un accorato compianto per la morte di Lorenzo Valla (1457) e, insieme, un epigramma su Poggio ucciso dalla moglie troppo giovane (1459) e un epitaffio in cui Basinio da Parma è definito uno stolto della cui morte (1457) il mondo intero si rallegra.
Nella primavera del 1463 Morandi partecipò al ballottaggio per la successione all’altro riminese Pietro Perleoni nell’insegnamento di humanae litterae nella scuola pubblica annessa alla Cancelleria a S. Marco, lo stesso cui aveva rinunciato nel 1450. Ottenuto l’incarico, lo tenne fino all’estate del 1466; quindi entrò nella cancelleria del patriarca Maffeo Gerardi (Flaminio Corner riporta documenti del 1476 e del 1487 da lui redatti e sottoscritti).
Nel frattempo, tra il 1469 e il 1470 aveva composto la già citata operetta in encomio dei Malatesta: nella lettera di dedica a Roberto Malatesta, oltre a ricordare le proprie origini riminesi scrive anche di avere quattro figli suoi concittadini devoti e pronti, insieme al loro padre, a mettersi al suo servizio: un tentativo di ottenere un onorevole ritorno in patria che però non ebbe esito.
L’opera consiste in una successione di encomi di Carlo, di Pandolfo, di Gaetano Roberto, di Domenico (Malatesta Novello), di Sigismondo e infine di Roberto, l’allora signore, in cui l’informazione storica è trascritta in termini di enfatizzazione retorica, che si rivela nella maniera più vistosa nelle concioni in discorso diretto messe in bocca a ciascuno di cui si parla. Ma l’operetta è, soprattutto, un pamphlet filomalatestiano (e, insieme, filoveneto), carico di umori polemici nei confronti della politica ostile di Paolo II, il pontefice regnante dimentico dei tanti benefici che la Curia romana aveva ricevuto nel passato dai signori di Rimini. L’opera è chiusa da un’elegia in lode di Roberto e da un’epigrafe antipapale che riafferma la legittimità del potere malatestiano.
L’ultima opera nota di Morandi consiste in una raccolta di epigrammi (Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, classe II, 162) che, nel loro insieme, compongono un panegirico di Venezia, secondo l’intenzione dichiarata nella dedica a Bernardo Bembo. Sono 42 brevi componimenti che di Venezia esaltano la prosperità, le virtù militari e civili, le istituzioni, le tradizioni, gli edifici, i possedimenti (Corfù, la Dalmazia, Creta, Cipro e, sulla Terraferma, Cervia, Verona, il Friuli, Padova, Treviso e Ravenna), in un latino talora efficace, non inabile a racchiudere nel breve giro dei componimenti effetti di sentenziosa argutezza.
L’annotazione che si legge in calce al manoscritto di questi epigrammi informa che quest’opera fu composta da Morandi ormai ottantenne e che, come si è detto, morì a Venezia nel 1497.
Opere. Di Filippo Morandi si leggono a stampa le due lettere a F. Barbaro in Francisci Barbari et aliorum ad ipsum epistolae, [a cura di A.M. Querini], Brescia 1743, pp. 213 s.; Appendix, pp. 119 s.; il Symposium de paupertate è pubblicato in M.L. King, A study in Venetian humanism at Mid-Quattrocento: Filippo da Rimini and his Symposium de paupertate, in Studi veneziani, n.s., II (1978), pp. 75-96; III (1979), pp. 141-186; IV (1980), pp. 27-44 (fondamentale anche per la ricostruzione biografica); l’Excidium Constantinopolitanae urbis si legge in A. Pertusi, La lettera di Filippo da Rimini, cancelliere di Corfù, a Francesco Barbaro e i primi documenti occidentali sulla caduta di Costantinopoli (1453), in Mnemosynon Sophias Antoniade (In memoria di Sofia Antoniadis), Venezia 1974, pp. 120-157, poi in Id., Testi inediti e poco noti sulla caduta di Costantinopoli, Bologna 1983, pp. 127-141 (con trad. it.), quindi in R. Fabbri, Per la memorialistica veneziana in latino del Quattrocento. Filippo da Rimini, Francesco Contarini, Coriolano Cippico, Padova 1988, pp. 17-40; l’elogio dei Malatesta è interamente trascritto (dal ms. Strozzi, 111 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze) in A.M. Bandini, Bibliotheca Leopoldina Laurentiana…, Firenze 1792, II, pp. 486- 496; alcuni degli esametri per Caterina Caldiera sono pubblicati da R. Sabbadini, Briciole umanistiche. XIII, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XLIII (1904), p. 245. Descrizioni di codici contenenti opere del M. si leggono anche in G. Baruffaldi, Relazione o sia esame d’un codice manoscritto del sec. XV nel quale si contengono diversi opuscoli appartenenti, per qualche titolo, a Bernardo Bembo…, in Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, XXVI (1742), pp. 172 s.; Biblioteca manoscritta di Tommaso Giuseppe Farsetti, Venezia, 1771, pp. 62-64; G. Valentinelli, Bibliotheca manuscripta ad S. Marci Venetiarum…, IV, Venezia 1871, pp. 204 s.; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-III, London-Leiden, 1963-83, ad indices.
Fonti e Bibl.: Rimini, Biblioteca Gambalunghiana, Mss., 195, pp. 274-276 (G. Garampi, Schede. Uomini illustri); A.M. Querini, Diatriba praeliminaris ad Francisci Barbari epistolas, Brescia 1741, pp. CCCCLIV s., DXLV; Francisci Barbari et aliorum ad ipsum epistolae, cit., Appendix, p. XL; F. Corner, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis nunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, Venezia 1749, I, p. 75; II, pp. 82-85, 89; Id., Ecclesiae Torcellianae antiquis monumentis nunc etiam primum editis illustratae, pt. 3ª, Venezia 1749, p. 423; G. Degli Agostini, Notizie istorico critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, Venezia 1754, I, pp. 110, 412 s., 427; A. Zeno, Lettere, Venezia 1752, II, pp. 411 s.; A. Battaglini, Della corte letteraria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in app. a Basinii Parmensis poetae opera praestantiora, Rimini 1794, pp. 210 s., 253-255; C. Tonini, La coltura letteraria e scientifica in Rimini…, Rimini 1884, I, pp. 233-236; R. Sabbadini, Centotrenta lettere inedite di Francesco Barbaro precedute dall’ordinamento cronologico dell’intero suo epistolario, Salerno 1884, p. 64; V. Cian, Per Bernardo Bembo. Le relazioni letterarie, i codici e gli scritti, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XXXI (1898), p. 56; P. Gothein, Francesco Barbaro. Fruh-Humanismus und Staatskunst in Venedig, Berlin 1932, p. 325; B. Nardi, Letteratura e cultura veneziana del Quattrocento, in La civiltà veneziana del Quattrocento, Firenze 1957, pp. 119 s.; P.H. Labalme, Bernardo Giustiniani. A Venitian of the Quattrocento, Roma 1969, pp. 98 s.; La caduta di Costantinopoli, a cura di A. Pertusi, Milano 1976, I, pp. XXVII, XXXIV; II, p. 502; F. Lepori, La scuola di Rialto, in Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, Vicenza 1980, II, p. 601; N. Giannetto, Bernardo Bembo umanista e politico veneziano, Firenze 1985, pp. 79, 178, 341 s.; M.L. King, Umanesimo e patriziato a Venezia nel Quattrocento, II, Il circolo umanistico veneziano, Roma 1989, pp. 598 s.; L. Prosdocimi, Codici di Andrea Contrario nel testamento di Michele Salvatico, in G.P. Mantovani - L. Prosdocimi - E. Barile, L’umanesimo librario tra Venezia e Napoli. Contributi su Michele Salvatico e su Andrea Contrario, Venezia 1993, pp. 36-48.