GESUALDI, Filippo
Nacque a Castrovillari, nel Cosentino, il 23 febbr. 1550 dal nobile Amostante Lia e da Giacoma Gesualdo, del ramo calabrese dei conti di Conza (dal 1561 principi di Venosa). Fu dal casato più antico, quello materno, che il G. assunse il cognome.
Avviato alla vita religiosa, entrò decenne come oblato nel convento cittadino di S. Francesco, retto dai frati minori conventuali. Nel 1566 fu ammesso al noviziato e poi mandato a studiare a Roma, Padova e Treviso. A Padova fu ordinato sacerdote nel 1573 ed ebbe l'incarico di lettore nello Studio, rivestendo poi la stessa funzione anche a Trento e a Roma.
Tra il 1573 e il 1593 il G. si dedicò quasi esclusivamente all'insegnamento in vari collegi italiani dell'Ordine e alla predicazione, dapprima nelle località di residenza quindi, dopo la speciale facoltà concessagli nel 1583, ovunque fosse richiesto. Il 17 maggio 1581 il capitolo generale riunito a Perugia gli conferì il grado di maestro e lo elesse scriba e segretario del generale A. Fera. Membro del collegio teologico di Napoli, fu reggente nello Studio napoletano di S. Lorenzo fino al 1586, in quello di Palermo fino al 1589 e in Padova, dove nel 1591 gli giunse la notizia della sua elezione a provinciale di Calabria, fino al 1592. Qui ebbe tra i suoi studenti Francesco di Sales, che si iscrisse anche alla Scuola compuntiva, un'associazione di preghiera e penitenza fondata dal Gesualdi.
Gran parte della produzione scientifica del G. è andata perduta in seguito alla soppressione del convento di Castrovillari in epoca napoleonica e alla dispersione del suo archivio, avvenuta tra il 1806 e il 1808. Resta così ancora oggi difficile ricostruire l'evoluzione del suo pensiero che, secondo i memorialisti conventuali, doveva comunque muoversi nel solco della tradizione teologica francescana di s. Bonaventura e di Duns Scoto. Nei commenti, anch'essi perduti, letti a Palermo e a Padova, del primo e del terzo libro delle Sententiae di Pietro Lombardo, il G. cercava di dimostrare la tesi dell'innocenza originale di Maria contro le affermazioni di Tommaso Contarini. Pur avendo acquisito un grande patrimonio di conoscenze, il G. non giunse a esprimere una dottrina autonoma, come si può indirettamente desumere dalla lettura della sua opera allora più popolare, la Plutosofia, nella quale si spiega l'arte della memoria (Padova 1592), una raccolta delle lezioni di mnemotecnica tenute a Palermo. Si tratta di una compilazione ispirata ad Aristotele e Quintiliano, e alla vasta pubblicistica cinquecentesca in materia (tra gli altri Lodovico Dolce e Giovan Battista Della Porta), privata dei riferimenti all'astrologia e alla medicina.
Invece, come segretario del Fera, rigido sostenitore delle istanze di riforma dei conventuali in conformità ai decreti tridentini, il G. dimostrò di possedere qualità di governatore e di condividere appieno con lui gli ideali riformistici, la spiritualità severa, l'austerità di vita. Una ulteriore buona prova di sé, offerta nelle funzioni di visitatore della provincia di Sicilia, lo mise in luce anche presso il pontefice Clemente VIII. Questi, eletto nel 1592, aveva posto tra gli obiettivi del suo pontificato la riforma dei regolari e in modo particolare dei francescani, avviata con una visita alla casa generalizia dei Ss. Apostoli, durante la quale nominò il G. assistente del generale dei conventuali F. Bonfigli e visitatore del sacro convento di Assisi. Quindi, il 5 giugno 1593, per un solo voto di scarto (su una quaterna di nomi tutti imposti da Clemente VIII e dal cardinale protettore dei conventuali Agostino Cusani), il G. ottenne dal capitolo romano l'elezione al generalato.
Il programma di governo del G. fu concertato con il papa subito dopo la sua elezione: Clemente VIII gli promise garanzie per la rielezione, l'aumento del numero di baccellieri da ammettere alla laurea e il tacito accordo di non avvantaggiare i gruppi di conventuali riformati che, analogamente a quanto era avvenuto in altri ordini religiosi, sostenevano l'opportunità di una ulteriore divisione dei francescani. Dal canto suo, il G. promise al papa di adoperarsi per far cessare la "mala amministrazione" dei suoi predecessori e ricondurre i frati all'osservanza del voto di povertà e della vita comune, compito che sarebbe stato impossibile portare a termine nell'arco di pochi anni. Perciò il G., tralasciando il problema dell'eccessivo numero di frati e dei conventi troppo piccoli, rivolse la sua azione verso la trasformazione dei conventi principali, a capo delle varie province, in sedi di noviziati riformati. Già ad Assisi, del resto, aveva per prima cosa chiuso il noviziato del convento, il principale dell'Ordine, perché non vi si praticava la vita comune. Un tale gesto non era mai stato compiuto prima d'allora, segno di un programma di ritorno alle origini cui gran parte dei suoi confratelli si sottomise, però, solo grazie al ripetuto uso dell'"obbedienza".
Per promulgare i decreti di Clemente VIII sulla riforma dei regolari, il G. cominciò, tra l'agosto e il settembre del 1593, con il fissare i Decretade casuum reservatione, disciplinando le confessioni dei membri dell'Ordine, quindi pubblicò, precedute da due dure lettere pastorali da Assisi e dalla Verna, i Decretipreparatori alla riforma dell'Ordine conventuale di S. Francesco, stampati a Napoli nel 1593 ma diffusi da Assisi, e di cui vi furono cinque edizioni nel 1593-94.
I Decreti abolivano le precedenti deroghe alla vita comune e al voto di povertà, obbligavano i conventi a tenere una minuziosa contabilità di tutte le loro entrate e un archivio, disciplinavano l'istituzione e l'obbligatorietà dei nuovi seminari per i novizi, pena il carcere conventuale per i recalcitranti.
Ciò fatto, il G. visitò una per una tutte le province conventuali italiane e spedì commissari in quelle estere per verificare l'applicazione dei decreti, concludendo il giro entro il capitolo di Viterbo, nel 1596.
Nell'Italia settentrionale la riforma si diffuse anche grazie alla popolarità di alcune semplici pratiche devozionali comuni, promosse dal G. al fine di stimolare i religiosi a vivere meglio la preghiera, l'umiltà e l'obbedienza, quali la disciplina del venerdì, la periodica confessione pubblica dei peccati e le processioni quaresimali, rimaste in uso nelle chiese francescane fino ad anni recenti. Al Sud invece la riforma soffrì l'ignoranza dei religiosi e l'ostilità del governo vicereale, con la parziale eccezione della Sicilia, ove era stata introdotta già al tempo della sua visita. Presto però nell'Ordine emerse l'opposizione dei diversi titolari di cariche, che giudicavano l'azione del G. troppo radicale.
Nonostante ciò, grazie all'appoggio del papa, il G. prevalse e nel 1596 fu rieletto a Viterbo per un secondo mandato; puntualmente diffuse i nuovi "decreti per la riforma" dei conventuali, stabiliti da Clemente VIII, che prevedevano tempi più lunghi per l'attuazione ma ribadivano il divieto di ogni "dannata proprietà". Il G. vi aggiunse alcune norme particolari come l'obbligo per ciascun religioso di stendere la lista dei propri beni, sotto la minaccia della scomunica in caso di loro occultamento, e il premio della quinta parte di essi al fratello che denunciasse un colpevole di falsa dichiarazione.
L'intromissione papale nel governo dell'Ordine e la drasticità delle misure adottate finirono però col produrre contrasti anche all'interno della ristretta cerchia di collaboratori del Gesualdi. Il procuratore generale F. Bruschi riprese la concessione delle dispense e dopo la morte di A. Cusani, nel 1598, gli oppositori del G. riuscirono a evitare all'Ordine protettorie cardinalizie fino al 1605, sottoponendosi a quella, esercitata di fatto ma non di diritto, del cardinale nipote Pietro Aldobrandini, che divenne il canale per far passare pressioni a favore dell'una o dell'altra parte.
Gli avversari del G., cui le costituzioni conventuali impedivano un terzo mandato, attendevano solo il capitolo del 1599 per eleggere al suo posto un "uomo sicuro". Invece Clemente VIII impose ai capitolari di riunirsi in territorio pontificio, ad Assisi anziché a Napoli, e di eleggere il G. ancora una volta; la scelta fu operata il 30 maggio, tra palesi accuse di "tirannia". Il G., giovandosi della riconferma, costrinse F. Bruschi alle dimissioni, ma non poté impedire la nomina, al suo posto, di un religioso segnalato dall'Aldobrandini, G. Pisculli.
Ciò si tradusse, insieme con la generale consapevolezza che questo sarebbe stato comunque il suo ultimo triennio, in un rallentamento della riforma. Rimanevano tuttavia una generale riorganizzazione degli studi conventuali, ripartiti dal G. in quattro categorie (logica, filosofia, teologia e "studio comune" per i meno dotati), e la sua stabile introduzione in alcune importanti località, tra le quali, in Italia, Todi, Bologna, Firenze e Assisi, dove effettivamente si riaprirono i noviziati e rifiorì la vita comune. Il resto dell'Ordine la attese fino alle costituzioni di Urbano VIII del 1628.
All'approssimarsi della fine del suo generalato, il G. ebbe in premio un vescovato, il 15 apr. 1602, che, se rappresentava un pubblico riconoscimento del papa per la sua azione, nemmeno avrebbe potuto scontentare i detrattori del G., giacché si trattava di Cariati e Cerenzia, una delle diocesi più povere della Calabria.
Al suo ultimo capitolo, tenutosi a Roma il 25 maggio 1602, il G. si dichiarò pronto a deporre la dignità vescovile e ad accettare, da semplice frate, qualsiasi punizione gli si volesse comminare per i suoi errori o le sue colpe nell'azione di governo; dal punto di vista personale però, nessuno fu mai in grado di muovergli alcun appunto. Prima di lasciare Roma, visitò la diocesi di Spoleto su incarico del cardinale Alfonso Visconti, futuro protettore dell'Ordine.
Perduti, insieme con le sue carte custodite nell'archivio di S. Francesco di Castrovillari, anche alcuni documenti relativi al suo episcopato, del G. vescovo si conservano solo le triennali relazioni sullo stato della diocesi. Al tempo della prima, scritta sulla base di testimonianze locali quando il G. ancora si trovava a Roma il 19 ott. 1602, Cerenzia, sulla Sila, non toccava i 500 abitanti, disponeva di 10 preti non istruiti e mancava delle risorse per erigervi il seminario e le prebende del teologo e del confessore. Cariati, sulla costa, più volte devastata dai Turchi, versava in uno stato ancora più miserabile. A motivo di tale povertà, unita alla propria, il G. ebbe gratuitamente i brevi di nomina.
Raggiunta Cariati in novembre, vi risiedette in maniera irregolare perché, ammalatosi nel 1603, si ritirò più volte a Castrovillari per curarsi. Inoltre, a partire dal 1608, le sue condizioni di salute non gli permisero più di compiere le visite ad limina, delegate a procuratori.
Se, almeno in parte, egli era dunque riuscito a introdurre le riforme tridentine nel suo Ordine, farlo a Cariati e Cerenzia si rivelò impossibile a causa dell'assoluta povertà, morale e materiale, della popolazione, per la diffusa ignoranza, per i soprusi dei signori locali. Nondimeno, per quanto fosse malato, il G. insegnò personalmente la dottrina cristiana e confessò. Ne risultò qualche miglioramento della situazione, tradottosi nell'istituzione di alcune confraternite laicali (associazioni da lui promosse in tutte le località dove aveva vissuto), nella predicazione popolare durante la quaresima e nella creazione a Cariati di un ospedale per i poveri e gli infermi.
In questa città morì il 12 dic. 1618, in fama di santità, e fu sepolto poveramente nella cattedrale.
Nonostante l'appellativo di beato presto accostato al suo nome, i restauri settecenteschi della chiesa cancellarono ogni traccia della tomba e così contribuirono a offuscare la memoria di uno dei più interessanti esponenti della riforma cattolico-tridentina nella storia degli ordini religiosi.
Opere. Il catalogo completo delle opere del G. è in F. Russo, F. G., Roma 1972, pp. 99-108. Perdute, come si è detto, le opere a carattere teologico, è invece interamente disponibile il contributo del G. alla riforma dell'Ordine: oltre ai vari Decreti, Pastoralis epistola, Bononiae 1593; Methodus visitandi, Romae 1594; Istruttioni e decreti intorno alla promotione delli frati agli ordini sacri, Verona 1594; Ordinationi per la clausura, coi decreti di Clemente VIII per la riforma, Bologna 1594; Decreti per l'istitutione della vita comune, Messina 1595; De novitiorum receptione, Bononiae 1601. Le relazioni di Cariati e Cerenzia sono in Arch. segreto Vaticano, Congregazione del Concilio, Relazioni di visite ad limina, Cariati, cc. 386 ss.; Roma, Arch. generalizio dei Ss. Apostoli, Reg. Ord., 18, Regesta Ordinis minorum conventualium… an. 1581-1582.
Fonti e Bibl.: Regesto Vaticano per la Calabria, V, a cura di F. Russo, Roma 1979, ad indicem; Inventario e regesti dell'Archivio del S. Convento di Assisi, a cura di S. Nessi, Padova 1991, ad indicem; L. Di Fonzo, Series quaedam historico-statisticae O.F.M. conv. 1209-1960, Romae 1961, pp. 33, 42; P. Sposato, Aspetti e figure della riforma cattolico-tridentina in Calabria, Napoli 1964, pp. 211 s.; F. Russo, Storia della diocesi di Cassano al Jonio, II, Napoli 1967, ad indicem; IV, ibid. 1969, pp. 161, 163 s.; Id., Presenza francescana in Calabria in età moderna (secoli XVI-XVIII), in Ordini religiosi e società nel Mezzogiorno moderno, I, a cura di B. Pellegrino - F. Gaudioso, Galatina 1987, pp. 262, 266; G. Parisciani, La riforma tridentina e i frati minori conventuali, in Miscellanea francescana, LXXXIII (1983), pp. 502, 581, 611 ss., 639, 809; G. Bove, Il volto francescano della Calabria, Città di Castello 1986, pp. 51-55; A. Musco, F. G., in Francescanesimo e cultura in Sicilia: secc. 13-16, Atti del Conv. internaz.… ottavo centenario della nascita di s. Francesco…, Palermo… 1982, Palermo 1987, pp. 217 ss.; G. Aragona, Cerenzia, notizie storiche, Crotone 1989, pp. 155, 188 s.; G.F. D'Andrea, La situazione dei conventuali riformati italiani circa il 1620, in Miscellanea francescana, XCIV (1994), p. 309; P. Gauchat, Hierarchia catholica…, IV, Monasterii 1935, p. 135.