CUCCOLI, Filippo
Nato a Bologna il 2 dic. 1806 da Domenico e Rosa Ghedini, dopo aver frequentato le scuole dell'Archiginnasio, entrò all'età di quattordici anni nell'azienda tessile patema. La crisi del settore lo costrinse nel 1831 a cercare lavoro, prima a Rimini, dove militò anche al seguito del generale Zucchi, quindi di nuovo a Bologna presso la famiglia Iussi dove rimase per quasi tre anni in qualità di sottocuoco insieme con la moglie Maria Gasperini. La passione per il teatro dei burattini, che viveva a Bologna in quegli anni un periodo di enorme successo popolare, spingeva tutte le domeniche il C. a frequentare gli spettacoli dell'arena del Sole e dell'arena della Fenice dove, uscite dai palazzi, le maschere petroniane andavano riacquistando la loro fisionomia vemacola tradizionale; nel 1834, infine, egli lasciò la famiglia per seguire a San Giorgio di Piano un burattinaio. Tornato a Bologna, tentò di animare la maschera di Faggiolino, il monello "scaltro e audace, protettore dei deboli e bastonatore inesorabile dei prepotenti e dei tiranni" (Enc. Ital.), reso popolare all'inizio del secolo dal burattinaio Cavallazzi, ma non ebbe fortuna: superato in questo tentativo da un collega che operava in corte de' Galluzzi, il C. presentò allora al pubblico un "tipo" nuovo, il Sandrone, un contadino furbo ed ignorante che colleziona spropositi nel tentativo di parlare correttamente.
La provenienza di questa maschera è incerta: alcuni sostengono un'origine modenese, altri reggiana, ma in ogni caso il C. "diede al suo Sandrone una interpretazione tutta sua che lo distingueva dall'originale" (Cervellati, Storia dei burattini..., p. 202) e che probabilmente contaminava tradizioni diverse. Ben portante, con un faccione da sessantenne color dei vino - di cui è amico - pieno, rubicondo e sorridente, con un abbigliamento stravagante (giubba scura, panciotto a palline, calzoni al ginocchio e calze rigate), Sandrone conquistò immediatamente le simpatie dei Bolognesi che ne fecero un simbolo cittadino.
Le tre rappresentazioni giomaliere del C. alla fonte di Nettuno, al portico del Podestà e alla gradinata di S. Petronio raccoglievano un pubblico eterogeneo composto di letterati, artisti, giomalisti, borghesi e popolani che si divertivano alle trovate spiritose e salaci del burattino e vi scorgevano, a ragione o a torto, elementi di satira politica. I doppi sensi e i giochi di parole di Sandrone, citati dal Ricci, testimoniano se non altrodell'attenzione con cui venivanoseguitele sue battute: "A Filippo Cuccoli furono attribuite satire contro i governanti del suo tempo, risultate poi e da noi denunciate come apocrife, ma questo significa ugualmente che il malumore dei popolo si sfogava come poteva, ricorrendo magari ad un pretesto burattinesco" (Cervellati, ibid., p. 8). La fortuna del C. e, in genere, il favore del pubblico per questo tipo di spettacolo furono molto condizionati dalresigenza di superare gli steccati della censura e di creare forme di comunicazione libera e immediata; la tradizione popolare che vorrebbe nel C. un rappresentante dell'insofferenza del governo pontificio è comunque indicativa del significato sociale del teatro dei burattini e dei suoi eroi.
I giochi di parole dei C. più spesso cit i sono quelli col nome del gonfaloniere Davia: "Dà vi l'asen"; con quello del prelato Grasselini: "Leè un pore graslein"; con quello del legato Amici: "Chi è? - Amici - Amici quand i en fora: quand i en dentar i en tott ledar". A ricordato anche l'aneddoto per cui il C. durante uno spettacolo avrebbe alluso al tricolore facendo narrare ad un personaggio un sogno nel quale il sangue di un corvo cadeva su di una lastra di marmo bianco che giaceva in un prato. Fedele al motto un po' altisonante scritto sul suo casotto: "Arte scherzo istruzione diletto", il C. si sforzava - più che di dar vita ad un nuovo Pasquino - di migliorare il livello degli spettacoli di burattini, riproponendo alcune maschere della commedia dell'arte come Tartaglia, Brighella, Balanzone, creando un repertorio nuovo con oltre ducentosettanta titoli, definendo, infine, uno stile originale: "Filippo fu il vero iniziatore degli spettacoli di burattini a Bologna con quell'impronta e fisionomia che sono tuttora valide" (Cervellati, ibid., p. 235).
La popolarità del C. non era legata unicamente al suo mestiere di burattinaio, ma anche al suo impiego di pubblico banditore (nei giorni di asta usciva dalla porta di palazzo d'Accursio annunciandosi a suon di tromba e quindi gridando i bandi per tutta la città) e al ruolo del' Dottor Balanzone che sosteneva nella cerimonia di apertura del carnevale. Nel carnevale del 1869 fece il suo ingresso in piazza Maggiore nella berlina che era appartenuta al cardinale Oppizzoni, scatenando ancora una volta gli strali della satira politica, e nel 18-71 diede uno spettacolo improvvisato dietro il monumento di Nettuno dal titolo Il Carnevale di Bologna al tempo dei Lambertazzi e dei Geremei, ovvero gli amanti burlati, ovvero Sandrone marito fortunato, vale a dire la donna astuta, cioè pelare i merli senza farli gridare nello stile della commedia dell'arte, impersonando la parte del Sandrone. Con questa rappresentazione, riproposta al teatro Brunetti con enorme successo, il C. diede inizio ad un nuovo genere, quello dei "burattini in persona" che ebbe larga diffusione a Bologna alla fine del secolo e che ebbe nel figlio del C., Angelo, un valido interprete. Riformatore del teatro dei burattini nella tradizione della commedia dell'arte, il C. lasciò alla sua morte una cospicua eredità di intrecci comici e di narcisate in versi, alcune maschere di successo e una nuova consapevolezza dei mestiere di burattinaio: "Per dir tutto in una parola Filippo Cuccoli era lo spirito bolognese fatto persona. Consoliamoci che se il burattinaio è morto sopravvivono i burattini" (Mistrali).
Il C. morì a Bologna l'11 luglio 1872.
Fonti e Bibl.: F. Mistrali, Gli dei se ne vanno, in Il Monitore di Bologna, 23 luglio 1872; C. Ricci, I burattini di Bologna, in La Tribuna, 8 sett. 1886; Id., Teatri di Bologna nei secoli XVII e XVIII, Bologna 1888, pp. 665-671; Id., I burattini di Bologna, in La Lettura, III (1903), 12, pp. 1084-1085; A. Testoni, Bologna che scmnpare, Bologna 1905, pp. 115, 146; Id., Burattini e burattinai, in Il Resto del Carlino, 8dic. 1918; Un ricordo di A. e F. C., in L'Archiginnasio, XIII (1918), 1-2, pp. 71s.; C. Ricci, Figure e figuri del mondo teatrale, Milano 1920, pp. 246-258; A. Pandolfini Barberi, Burattini e burattinai bolognesi, Bologna 1923, pp. 13, 35; O. Trebbi, Maschere e burattini bolognesi, in Le Vie d'Italia, XXXVI (1930), 2, pp. 107-112; A. Cervellati, Le maschere e la loro storia, Bologna 1945, pp. 120-124; Id., Storia delle maschere, Bologna 1954, pp. 113, 173; Id., Storia di burattini e di burattinai bolognesi, Bologna 1964, pp. 202-218, 235-242; Encicl. dello Spett., III, coll. 1785 s.; Encicl. Ital., XIII, p. 74.