CARAFA, Filippo
Della nobile famiglia napoletana dei Carafa - del ramo della Spina (della Serra) -, nacque verso la metà del secolo XIV, probabilmente a Napoli. È, molto verosimile che non fosse figlio di Matteo Carafa e di Alegoria Piscicelli, come sostiene l'Aldimari (pp. 86 s.) seguito dal Litta, ma, come afferma una testimonianza contemporanea, di Pietro Carafa, figlio di Bartolomeo (III), che aveva sposato Roberta di Dinissiaco, figlia di Gazzo conte di Terlizzi e di Margherita Pipino. In questo caso Niccolò Carafa, consigliere regio e ambasciatore in Inghilterra, uno dei più zelanti partigiani di Bonifacio IX, sarebbe stato suo fratello.
Seguendo le tradizioni della famiglia abbracciò la carriera ecclesiastica e compì studi in utroque iure all'università di Bologna, allievo di Giovanni da Legnano, con il quale sarebbe rimasto legato per tutta la vita. Lo troviamo infatti come "d. Philippus domini Petri Caraffa de Napoli scolaris in studio bononiensi in iure" tra i testimoni di un atto di acquisto di un terreno a Monte Paderno da parte di Giovanni da Legnano, redatto il 30 ag. 1366 nella casa bolognese del famoso giurista, "in capella sancti Proculi" (cfr. Bologna, Archivio notarile, Rogiti de ser Paolo Cospi, filza unica, n. 66).
Non sappiamo quando il C. concluse gli studi conseguendo il titolo di dottore in decretis, né quando fosse elevato alla dignità di arcidiacono di Bologna, la prima nel capitolo dopo il vescovo. È, noto soltanto che già il 1º marzo 1372 presenziò in questa qualità all'esame di diritto civile di Giovanni dell'Aquila (Chartularium Studii Bonon., IV., p. 114 n. CLXVI), e in seguito, a molti altri esami. È, dunque errata l'opinione dell'Amorini secondo la quale il C. sarebbe diventato arcidiacono soltanto nel 1376. Come arcidiacono partecipò nel 1374 anche al concilio provinciale tenuto dall'allora vescovo di Bologna (Ghirardacci, II, p. 331). Tre anni più tardi, nel luglio del 1377, è ricordato come testimone nelle trattative che conclusero le ostilità tra Bologna e il pontefice esplose in seguito ad una rivolta della città contro i vicari della Chiesa; in virtù dell'accordo Bologna fu data in vicariato (per cinque anni, inizialmente) al giurista Giovanni da Legnano (4 luglio 1377). Durante l'anno accademico 1376-77 il C. tenne all'università un corso sul Liber sextus e sulle Clementine.
Poco tempo dopo la sua contrastata elezione papa Urbano VI trasferì il vescovo bolognese Bernardo de Bonneval, francese di origine e parente del suo predecessore, a Poitiers il cui vescovo aveva preso le parti dell'antipapa Clemente VII; al suo posto il papa nominò il C. "archidiaconum Bononiensem, decretorum doctorem, in subdiaconatus ordinem constitutum", come si legge nella bolla di nomina, non datata (Vat. lat. 6330, ff. 400v-401r). In questo modo viene smentita la notizia tramandata dalla cronachistica locale (per es. Muzzi, III, p. 446), secondo la quale il vescovo Bernardo sarebbe morto "colto da improvviso assalto apopletico". Il Bonneval fu trasferito invece da Clemente VII nel 1383 a Nîmes e nel 1390 a Limoges, dove morì nel 1403 (Eubel, I, pp. 301, 361). Secondo la tradizione locale il Comune di Bologna avrebbe influenzato il pontefice nella scelta del C., mandando alla corte papale suoi rappresentanti (Ghirardacci, III, p. 370). Ma più decisive dei desideri del Comune dovettero essere la devozione e l'amicizia del C. per Giovanni da Legnano, al quale il papa continuava ad affidare l'amministrazione di Bologna e i pareri giuridici del quale contribuirono parecchio a rafforzare la posizione di Urbano VI.
Considerazioni analoghe indussero il papa ad accogliere anche la richiesta dei Bolognesi, presentata personalmente da Giovanni da Legnano, di nominare un "cardinalis bononiensis": quando infatti il 18 sett. 1378 procedette alla nomma dei primi cardinali nella chiesa di S. Maria in Trastevere vi furono tra, i neoeletti sia il bolognese Bartolomeo Mezzavacca vescovo di Rieti sia il C. vescovo eletto di Bologna. Al C. fu conferito il vecchio titolo presbiteriale di S. Martino ai Monti (detto anche dei SS. Silvestro e Martino), ma egli conservò, grazie all'autorizzazione pontificia, anche l'amministrazione del suo vescovato "in spiritualibus et temporalibus". Per questo motivo fu chiamato generalmente "cardinalis Bononiensis". Il papa lo nominò anche legato "in Lombardiae et Marchiae Trivisanie partibus", come comunicò agli Anziani e al popolo di Bologna il 28 sett. 1378. In questa lettera è detto che la promozione del C. era avvenuta "ob honorem Civitatis Vestrae et multiplicia assumptae personae merita" (Ghirardacci, II, p. 372). Giovanni da Legnano fu incaricato di conferire, al suo ritorno a Bologna, il cappello cardinalizio ai due cardinali neoeletti. Quando nel 1378-79 Clemente VII con l'appoggio dei suoi seguaci cercò di incorporare nella sua sfera di ubbidienza la città di Bologna, il C. e Giovanni da Legnano riuscirono a far fallire questi tentativi e a conservare Bologna all'ubbidienza del pontefice romano. Quest'ultimo, grato dell'azione svolta, acconsentì a che la contea d'Imola passasse alla città, esaudendo così un antico desiderio dei Bolognesi. È conservato un documento del C. del 7 dic. 1378 a questo proposito (Archivio di Stato di Bologna, Bolle diverse, II, n. 27). Gli altri tentativi del C. di guadagnare per Urbano VI altri capisaldi dell'antipapa, in particolare i castelli di Bertinoro, Cesena e Castrocaro, si rivelarono estremamente difficili e divorarono somme enormi che dovettero essere coperte con l'affitto a Bologna di Cento e Pieve di Cento Per 3.000 lire (Ghirardacci, II, p. 376). Alla fine troviamo il C. effettivamente in possesso del castello di Castrocaro che amministrò fino alla fine del 1386, ma che poi dovette consegnare al vescovo di Imola, Emmanuele Fieschi, nominato governatore, e al chierico della Camera apostolica Iacopo Dardam nominato castellano. Allora Urbano VI promise di risarcire al C. tutte le spese sostenute "tam pro recuperatione quam custodia dicti castri" e dette ordini ai suoi collettori in questo senso (Reg. Vat. 311, ff. 11r-12v e 21r); ma non sappiamo se il C. fu poi veramente risarcito nella confusa situazione bolognese durante lo scisma. Ad ogni modo il C. rimase in contatto con il pontefice fino alla sua morte, come si può dedurre dal mandato di Urbano del 24 marzo 1389 indirizzato al C. che lo invitava ad appoggiare finanziariamente il generale dei domenicani fra' Raimondo da Capua, in viaggio come legato pontificio (Reg. Vat. 311, ff. 302v-303r).
Nel periodo in cui il C. amministrò il vescovato di Bologna fu aperta la tomba di s. Domenico e fatto eseguire un magnifico reliquario in argento, destinato ad accogliere la testa del santo, da Iacopo Roseto da Bologna (1383). Ciò tuttavia non avvenne alla presenza del cardinale, ma con il concorso di due vescovi, quello di Cesena e quello di Ostuni, circondati da anziani, gonfalonieri, molti studiosi e rinomati dottori e da molto popolo. Ma quando Giovanni da Legnano morì il 16 febbr. 1383, il C. non mancò di presenziare alle solenni esequie celebrate due giorni dopo nella chiesa di S. Domenico. Il cardinale era stato presente anche quando Giovanni da Legnano aveva testato, il 15 febbr. 1383. La rinuncia ad alcuni benefici da parte di questo, avvenuta il 22 genn. 1382, ci fa conoscere alcuni membri della "famiglia cardinalizia": Martino de Alemannia, arcidiacono di Aquileia, qualificato come auditore, Ugolino f. Nicolai de Magnis de Parma che ricopriva la carica di cappellano e Toniolo "q. Pauli Calvelli de Varignano", famigliare del C. (cfr. Chartularium, IV, p. 186 n. CCXCII).
Quando nella primavera del 1389 Bologna fu colpita dalla peste, il C. si rifugiò a Santa Maria di Valverde, fuori di porta S. Mamolo, borgo posto su una collina davanti alla città. Ma contagiato dall'epidemia, vi morì, dopo una degenza di sei giorni, il 23 maggio 1389.
Due giorni più tardi fu sepolto nella cattedrale di S. Pietro alla presenza di una "grandissima moltitudene de chirixi, de laici, de cira e de molta gente vestidi tutti de negro" (Pietro di Mattiolo, p. 21). Il corpo fu traslato nove anni dopo nella sagrestia nuova, dove si trova tuttora il monumento sepolcrale fatto restaurare nel 1644 dal suo parente Carlo Carafa, vescovo di Aversa e "prolegatus Bononie". Sebbene il C. avesse ottenuto già al tempo di Urbano VI la "licentia testandi", il papa fece confiscare una parte dell'eredità del cardinale, perché questi non aveva pagato tutti i servizi.
Fonti e Bibl.: Bologna, Arch. notarile, Rogiti di ser Paolo Cospi, filza unica, n. 66; Arch. di Stato di Bologna, Bolle diverse, II, n. 27; Arch. Segreto Vaticano, Instr. Miscell., n. 3007; Ibid., Reg. Vat. 310, 311, 312; Ibid., Oblig. et Sol. 52, f. 51r; Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 6330; Corpus chronicorum Bononiensium, III, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVIII, 1, a cura di A. Sorbelli, pp. 355 s., 370, 392, 443; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, Bologna 1657, II, pp. 331, 367, 370, 372, 376, 395, 430; Cronaca bologn. di Pietro di Mattiolo, a cura di C. Ricci, Bologna 1885, pp. 20 s.; Chartularium Studii Bononiensium, IV, Bologna 1919, ad Indicem; VI, ibid. 1921, pp. 202 s.; I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, a cura di U. Dallari, IV, Bologna 1934, p. 4; Il "Liber secretus iuris caesarei" della univers. di Bologna, a cura di A. Sorbelli, I, Bologna 1938, pp. 33 s.; G. N. Pasquali Alidosi, Li canon. della Chiesa di Bologna, Bologna 1616, p. 23; Id., Li dott. bolognesi di legge canon. e civile, Bologna 1620, p. 105; C. Falconi, Mem. histor. della Chiesa bolognese e suoi pastori libri VI, Bologna 1649, pp. 400-406; A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1666, II, pp. 13 s., 81; III, pp. 152 ss.; A. Ciaconius, Vitae,et res gestae pontificum Romanorum..., II, Romae 1677, coll. 647 s.; B. Aldimari, Historia geneal. della famiglia Carafa, I, Napoli 1691, pp. 86-97; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, II, Venezia 1717, col. 27; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolan., II, Mediolani 1745, coll. 796, 798; G. Fantozzi, Notizie degli scrittori bolognesi, V, Bologna 1786, pp. 34 s.; F. Tomba, Serie cronol. de' vescovi… di Bologna, Bologna 1787, pp. 62 s.; S. Muzzi, Annali della città di Bologna, III, Bologna 1841, pp. 443 s., 448-451; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, III, Venezia 1845, pp. 512-514; S. Amorini-G. Bosi, Manuale storico-statistico-topogr. della arcidiocesi bolognese, Bologna 1857, pp. 249-251; A. Gherardi, La guerra dei Fiorentini contro Gregorio XI, Firenze 1861, p. 30; N. Valois, La France et le Grand Schime d'Occident, II, Paris 1896, pp. 31, 148; M. Souchon, Die Papstwahlen in der Zeit des grossen Schismas, II, Braunschweig 1899, pp. 266 s.; F. Bosdari, Giovanni da Legnano,canonista e uomo politico del 1300, Bologna 1901, passim; O. Vancini, Bologna della Chiesa 1360-1375, in Atti e memorie d. R. Dep. di storiapatria per le province di Romagna, XXIV (1906), p. 239; Id., La rivolta dei Bolognesi al gov. deivicari della Chiesa(1376-77), in Bibl. stor. bolognese, XI, Bologna 1906, p. 115; G. Belvederi, La tomba del vescovo Bartolomeo de' Raimondi, in L'Archiginnasio, X (1915), pp. 248 s.; T. Casini, La diocesi bolognese e i suoi vescovi, in Biblioteca de 'L'Archiginnasio', s. 2, XV (1917), p. 26; A. Sorbelli, Storia della università diBologna, I, Bologna 1940, p. 100; P. A. D'Amato, Le reliquie di s. Domenico, Bologna 1946, p. 14; R. E. Weltsch, Archbishop John of Jenstein, The Hague-Paris 1968, pp. 11, 15; P. Litta, Lefamiglie celebri italiane,sub voce Carafa, tav. II; C. Eubel, Hierarchia catholica, I, Monasterii 1913, pp. 23, 47, 141; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 424.