SANTAROSA, Filippo Annibale Santorre De Rossi
conte di. – Nacque a Savigliano, presso Cuneo, il 18 ottobre 1783, primo dei quattro figli di Michele e della tredicenne Paolina Edvige Regard de Ballon, che morì nel 1790.
Dopo la morte della madre, seguì il padre, colonnello dell’esercito sardo, in Savoia, dove nel 1792 le truppe sabaude tentarono inutilmente di impedire l’invasione della Francia rivoluzionaria. Cadetto a Pinerolo nel reggimento paterno, riprese poi gli studi a Savigliano, da dove si allontanò ripetutamente per seguire il padre impegnato nelle operazioni militari contro la Francia. Nel 1794, le truppe repubblicane presero Loano e Oneglia – uniche enclaves sarde in terra ligure – attaccarono e costrinsero alla resa la fortezza di Saorge e raggiunsero il colle di Tenda. A fronte di queste ripetute sconfitte, Michele di Santa Rosa venne destituito e si restituì a Savigliano, salvo essere poi riabilitato e guidare le truppe di stanza a Mondovì, quando nel 1796 il giovane Bonaparte sbaragliò gli austro-sardi e costrinse il re Vittorio Amedeo III all’armistizio di Cherasco. Fedele al sovrano sabaudo, Michele si vide confermare il comando del reggimento di Asti, dove nel 1797, avendo sempre con sé il figlio, fu alla guida delle truppe che posero fine all’effimero esperimento della repubblica astese.
Di lì a breve, la caduta della monarchia e la repubblicanizzazione del Piemonte non gli impedirono di aderire al nuovo ordine: restituitosi a Savigliano, assunse infatti il comando della locale Guardia nazionale. Nel 1799, all’arrivo delle forze austro-russe, il padre ebbe i suoi guai, da cui lo trasse solo la morte, intervenuta agli inizi del 1800. Sembra che la breve stagione repubblicana avesse però molto influenzato il giovane Santarosa, che nelle proprie note, iniziate a redigere proprio nel 1800, prese a denunciare il dominio napoleonico in Italia e ad auspicare una sorta di unificazione della penisola. D’altronde, stando alla polizia francese egli aveva apertamente declamato contro le truppe transalpine e aveva conosciuto più d’una traversia in occasione di un breve viaggio a Lione. Negli anni successivi, aiutato dagli zii, molto ammorbidì però i giovanili furori politici, perché, dopo l’annessione del Piemonte alla Francia, compiuto un viaggio di formazione lungo la penisola, nel 1805 si portò a Parigi, dove soggiornò alcuni mesi quale guardia d’onore di Napoleone imperatore. Sembra tuttavia che la sua dedizione all’Impero fosse di facciata, perché sempre la polizia francese prese a tenerlo d’occhio, accusandolo di frequentare circoli vicini alla cessata monarchia sabauda e di declamare contro il governo.
Anche per questo motivo, Santarosa si restituì presto a Savigliano, dove nel 1806 contrasse matrimonio con Carolina Corsi, la figlia di un agiato nobiluomo di Nizza Monferrato, che gli avrebbe dato otto figli. Con il tempo, la politica della mano tesa di Napoleone verso le tradizionali élites di governo ebbe comunque successo anche con Santarosa, il quale nel 1809 si decise ad accettare la designazione a sindaco di Savigliano. Nell’ufficio si impegnò con assiduità e l’impegno gli valse, nell’aprile del 1812, la promozione a sottoprefetto della Spezia. Non sembra ne fosse entusiasta, ma in quella sede egli visse gli ultimi, difficili tempi dell’Impero napoleonico e dovette rispondere al suo superiore, il prefetto francese Maurice Duval, di scarso impegno nel controllo dei numerosi episodi di insubordinazione che vi avevano luogo. Senza ormai troppo celare il proprio disagio verso il dominio d’Oltralpe, Santarosa rimase comunque al suo posto sino all’aprile del 1814, quando l’arrivo delle truppe inglesi al comando di lord William Bentinck lo convinse a dare le dimissioni dall’ufficio e a rientrare a Savigliano anziché seguire la ritirata delle autorità civili e militari francesi.
È certo che proprio a quella stagione data l’interesse di Santarosa per il modello costituzionale siciliano, che lord Bentinck aveva dato all’isola nel 1812 per avviare, con un concreto esempio, la propria battaglia di libertà contro il dispotismo napoleonico nella penisola. Tutto questo rimase alla mente di Santarosa anche nei primi anni della Restaurazione, quando al ritorno del legittimo sovrano, Vittorio Emanuele I, la partecipazione all’ordine napoleonico non gli avrebbe impedito di essere prontamente riammesso tra i quadri dell’esercito sardo. Egli si illuse allora che per il Piemonte si avviasse una stagione di indipendenza e prese subito parte alla guerra del 1815 contro Napoleone, nel frattempo tornato dall’Elba. In qualità di capitano partecipò alle operazioni militari che portarono alla presa di Chambéry da parte delle truppe austro-sarde e quindi al saccheggio di Grenoble.
Dopo un breve soggiorno a Savigliano, nel 1816 ottenne l’incarico di capo di divisione del ministero della Guerra con il compito di partecipare al riordino delle forze armate piemontesi. A quel tempo avviò la stesura di un’opera, Delle speranze degli italiani, dove si tracciavano le coordinate del rinnovamento politico-culturale che egli auspicava per tutta la penisola, dove risuona chiaro l’esempio costituzionale della Charte concessa da Luigi XVIII al momento di rientrare in Francia. E sempre in quella stagione, prova di una passione politica che era venuta maturando assieme con la crisi del sistema di potere napoleonico, egli mostrò un vivo interesse per la storia siciliana, della quale – attraverso il meticoloso studio delle opere più significative – volle ricostruire il XIII secolo. Prese allora forma l’idea di redigere un romanzo epistolare, anch’esso rimasto incompiuto, dal titolo Lettere siciliane, ambientato nella Palermo degli anni immediatamente antecedenti il Vespro, dove alla storia d’amore tra Gualtieri e Francesca si accompagna un vivido ritratto dell’oppressione angioina.
Queste scelte dicono di come la passione per l’indipendenza nazionale si alimentasse della disillusione verso la natura retriva dell’ordine sabaudo appena restaurato. Non a caso, sempre in quegli anni, Santarosa non rimase insensibile al discorso politico dei circoli latomici e nel 1820 aveva di certo già aderito alla Federazione italiana, una società segreta, diffusasi a far data dal 1818 tra il Piemonte e la Lombardia, nella quale militavano – sotto il segno di una diffusa ostilità all’Austria – numerosi ufficiali e taluni aristocratici.
Nel 1820, prima il ritorno della Spagna alla costituzione gaditana del 1812, quindi la rivoluzione nelle Due Sicilie, dove fu adottata subito la medesima carta, favorirono anche in Piemonte le richieste di un cambiamento politico. La tensione crebbe quando si palesò, ormai sul finire dell’anno, che Vienna non avrebbe tollerato la costituzionalizzazione delle Due Sicilie e che un esercito era pronto a mettersi in marcia alla volta di Napoli. Il rifiuto dell’egemonia austriaca sulla penisola assieme alla volontà di porre fine al regime autoritario di Vittorio Emanuele I favorirono, agli inizi del 1821, episodi di insubordinazione che degenerarono nell’attacco della truppa agli studenti asserragliati nei locali dell’Università di Torino. A fronte di questi drammatici episodi, Santarosa si rivolse una volta di più al re, chiedendogli un gesto di generosità, ossia la concessione di una carta costituzionale che, improntata al bicameralismo e riconoscendo al sovrano il potere di veto, si voleva assai più prudente di quella gaditana. Il rifiuto dovette convincerlo dell’inutilità di insistere sul sostegno della Corona e spingerlo dalla parte dei circoli militari più radicali, propensi a un colpo di mano che costituzionalizzasse il Piemonte e lo preparasse alla Guerra all’Austria.
Quando, il 10 marzo 1821, la cittadella di Alessandria insorse in nome della carta gaditana e della guerra d’indipendenza italiana, Santarosa si affrettò a raggiungere i congiurati e insieme a Guglielmo di Lisio emise un proclama dove si confermava piena lealtà al sovrano, ma si sosteneva che l’esercito fosse stato costretto a intervenire per togliere il re dalla condizione di aperta sudditanza all’Austria. Giunto ad Alessandria, Santarosa venne subito fatto comandante della Guardia nazionale, e in quelle vesti ricevette la notizia dell’abdicazione di Vittorio Emanuele I a favore del fratello Carlo Felice – allora a Modena – e della reggenza nel frattempo assegnata al nipote Carlo Alberto di Carignano. Questi, da tempo avvicinato dai circoli liberali, il 13 marzo promise la concessione della carta gaditana e il giorno successivo formò un esecutivo, dove erano in malagevole equilibrio elementi dal differente profilo politico. Da Modena, Carlo Felice rifiutò però tutti gli atti della reggenza e intimò al nipote di portarsi subito a Novara e attendere i suoi ordini. Carlo Alberto, saputo della rotta dell’esercito napoletano a fronte dell’offensiva austriaca, si piegò presto e lasciò Torino dopo aver nominato come nuovo ministro della Guerra al posto del dimissionario Emanuele Pos marchese di Villamarina, proprio Santarosa.
Questi, posto così alla guida dell’esercito costituzionale, tentò un’estrema resistenza, protestando il proprio attaccamento a Carlo Felice – i cui atti riteneva però nulli, perché lo considerava prigioniero degli austriaci a Modena – e chiamando tutti i reparti alle armi nella certezza che la Francia sarebbe presto corsa in aiuto del nuovo ordine costituzionale. La guerra all’Austria non ebbe però luogo: agli inizi dell’aprile 1821, una prima scaramuccia tra drappelli costituzionali e reggimenti lealisti sostenuti dagli austriaci chiuse la partita prima che davvero potesse avere inizio. Il giorno successivo, a Torino, quanto restava del governo trasmise i propri poteri al decurionato cittadino e Santarosa prese la via dell’esilio puntando verso Savona.
Da qui dovette ripiegare su Genova e poi per mare toccò le coste della Francia, dove, una volta arrivato a Marsiglia, preferì dirigersi su Lione e da lì raggiungere Ginevra. Qui trascorse alcuni mesi attendendo alla stesura di un’opera, De la Révolution piémontaise, che costituiva la sua testimonianza degli avvenimenti appena accaduti, ma al tempo stesso tornava sulla questione costituzionale per sottolineare la diversità delle opinioni tra i rivoluzionari e confermare la propria predilezione per una carta sul modello britannico quale quella siciliana del 1812.
La diffidenza verso il testo gaditano spiega perché, a differenza di molti altri esuli, egli si tenesse lontano dalla Spagna costituzionale e preferisse invece, sempre sul finire del 1821, lasciare la Svizzera e raggiungere Parigi. Nella capitale francese, stando alle testimonianze di polizia, trovarono albergo quanti preferivano la Charte al testo gaditano e Santarosa fu tra i principali artefici dell’unione delle forze patriottiche italiane perché si adoperassero per tentare un colpo di mano in Liguria. Egli si giovò anche della popolarità subito conosciuta grazie alla pubblicazione anonima della sua fatica, che ebbe una seconda edizione e lo mise in contatto con i circoli liberali della capitale. Tra quanti lessero la sua opera fu Victor Cousin, con il quale contrasse un forte legame di amicizia, che gli venne molto utile per cercare di sfuggire alla polizia francese messa sulle sue tracce dalle pressanti richieste di Carlo Felice.
Nel marzo del 1822 – nonostante tentasse di professarsi esule innocente – Santarosa fu arrestato, accusato di cospirare contro l’ordine costituito e sottoposto a processo sotto l’incubo dell’estradizione a Torino. Dalle accuse venne mandato assolto nel mese di maggio, ma le autorità, pur scarcerandolo, ritennero preferibile allontanarlo da Parigi e trasferirlo ad Alençon. Da qui inutilmente protestò per le condizioni in cui erano tenuti i rifugiati politici, cui si impediva la libertà di movimento in terra francese e al tempo stesso si negava la possibilità di muovere altrove. Per tutta risposta, il governo lo fece trasferire, nel settembre del 1822, a Bourges, dove gli si fece presto sapere, a fronte delle sue insistite proteste, come fosse ormai meglio per lui partire per l’Inghilterra.
In ottobre si decise a lasciare la Francia: a Londra, ritrovò antiche amicizie, conobbe Giovanni Berchet e Ugo Foscolo, vide Jeremy Bentham e John Stuart Mill e cercò in ogni modo di tenere alta la causa costituzionale. Presto intervennero però le difficoltà finanziarie, che lo obbligarono a portarsi in un locale di campagna di proprietà dello stesso Foscolo e in seguito, nel 1824, a trasferirsi a Nottingham, dove gli era stato trovato un lavoro come insegnante di italiano e francese. Lì la situazione gli parve presto insostenibile e l’esempio della resistenza greca al dominio turco gli parve la sola via d’uscita che tenesse assieme la sua storia politica e le drammatiche difficoltà seguite all’esilio. Da qui l’idea di tornare alle armi, mettendo la propria spada al servizio degli insorti: avviati dei contatti con il Comitato ellenico di Londra, si decise a partire, convinto che in Grecia il precedente della sfortunata rivoluzione piemontese gli avrebbe consentito di avere un incarico nell’esercito degli insorti. La speranza di una nuova vita gli suggerì di scrivere alla moglie perché lo raggiungesse con i figli ad Atene, dove proprio il basso costo della vita avrebbe finalmente permesso alla famiglia di riunirsi.
Si imbarcò il 5 novembre 1824 e sbarcò a Nauplia il 10 dicembre, dove tuttavia le accoglienze furono molto fredde e non gli venne offerto nessuno degli incarichi cui aspirava. Santarosa rimase solo e trascorse alcuni mesi ad Atene senza nulla concludere. Decise allora di fare ritorno a Nauplia, ormai nell’aprile del 1825, dove a fronte dell’ennesimo rifiuto, nonostante altri gli suggerisse di fare ritorno in Inghilterra e sciogliere il proprio impegno d’onore a favore della libera Grecia, decise di arruolarsi come semplice volontario. Prese così parte alle operazioni intorno a Navarino assediata dai turchi.
Assegnato alla guarnigione di stanza nell’isola di Sfacteria, l’8 maggio 1825 cadde sotto il fuoco degli attaccanti e il suo corpo finì in una fossa comune.
Opere. La Révolution piémontaise, Paris 1821 (trad. it. La Rivoluzione piemontese nel 1821, con ricordi di V. Cousin, a cura di A. Luzio, Torino 1920); N. Bianchi, Memorie e lettere inedite di Santorre di Santarosa, Torino 1877; Delle speranze degli italiani, a cura di A. Colombo, Milano 1920; Storia del mio viaggio nel mondo, cap. XLI dell’Autobiografia, a cura di A. Olmo, Savigliano 1968; Lettere dall’esilio (1821-1825), a cura di A. Olmo, Roma 1969.
Fonti e Bibl.: Parigi, Archives nationales, Police, F/7, cart. 2255 (presenza a Parigi nel 1805); 2256 (informazioni sul suo conto dello stesso anno); 6653 (rifugiato politico); 6655 (suoi spostamenti per l’Europa, sue proteste a seguito della carcerazione e interrogatorio di V. Cousin); 6656 (elenchi di esuli).
P.C. Gandi, Biografia del conte Santorre di Santarosa, Savigliano 1869; C. Torta, La rivoluzione piemontese nel 1821, Milano 1908; A. Colombo, Santorre di Santarosa verso l’esilio. Da Torino a Genova (9-23 aprile 1821), Lucca 1920; Id., Santorre di Santarosa sottoprefetto alla Spezia, in Atti del XII Congresso nazionale della Società per la storia del Risorgimento italiano, Genova 1926, pp. 66-69; Id., La vita di Santorre di Santarosa (1783-1807), Roma 1938; L. Gigli, Santorre di Santarosa, Milano 1946 ; S. Mastellone, Un aristocratico in esilio: Santorre di Santarosa, in Rivista storica italiana, LV (1954), pp. 553-576; C. Carini, La cultura politica di Santorre di Santarosa, in Il pensiero politico, I (1970), pp. 59-90; Santorre di Santarosa, in Atti del Convegno di Savigliano, in Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo, XCI (1984), pp. 5-94; F. Ambrosini, Santorre di Santa Rosa. La passione e il sacrificio, Torino 2007.