FILIGRANA (anche filograna e filagrana, da filo e grana)
Tecnica speciale nella lavorazione dei metalli preziosi a fili sottili, chiamata anticamente lavoro di filo (Cellini) o lavoro di Venezia (fr. filigrane; sp. filigrana; ted. Filigran; ingl. filigree). Dalla filigrana di metallo adoperata nella fabbricazione della carta per imprimervi un contrassegno, il nome passò anche a quest'ultima (fr. filigrane, sp. filigrana; ted. Wasserzeichen; ingl. watermark).
Filigrana dei metalli.
La speciale tecnica nella lavorazione dell'argento e specialmente dell'oro detta filigrana (equivalente è l'indicazione di oreficerie a trina o trinate, quando la filigrana è a giorno) consiste nel curvare e nell'intrecciare filamenti di metallo, e di riunirli nei loro punti di contatto con saldature, pure di metallo e di borace, per mezzo del cannello da smaltatori. La delicatissima opera è per lo più protetta da un'intelaiatura di metallo a fili più forti.
In Egitto, piuttosto che filigrana nel vero senso della parola, si hanno lavori a traforo, con la unione di fili e di laminette o di verghette di metallo. Tipici sono a tal proposito i pendagli della collana della regina Tawosret della dinastia XIX (1345-1200 a. C.); ma vi sono già lavori di tale tecnica nella dinastia XVIII (1580-1345 a. C.); esempî ne sono stati ricuperati recentemente nella celebre tomba del Faraone Tut'anhamôn. Per il mondo egeo i primi esemplari di filigrana provengono dagli strati II e III di Hissarlik (2500-2000 a. C.); rari altri esempî si hanno nelle tombe a fossa di Micene, e nei tardi tempi micenei (Enkomi nell'isola di Cipro). Solo occasionalmente la filigrana si riscontra in ori di Efeso e di Rodi (sec. VIII e VII a. C.).
Invece nella splendida oreficeria etrusca, dalla fine del sec. VIII a. C., attraverso tutta la fase orientalizzante, la filigrana è largamente usata. Tra i primi monumenti sono da addurre per l'Etruria una spirale aurea per capelli a nastro trinato, da una tomba del sepolcreto delle Bucacce presso Bisenzio, e un braccialetto di elettro di Poggio alla Guardia di Vetulonia. A Vetulonia abbiamo gli esempî più insigni della tecnica a filigrana, la quale culmina nelle mirabili armille del tumulo della Pietrera. Oreficerie a filigrana si sono trovate in altre località dell'Etruria, a Tarquinia, a Cerveteri, a Vulci, nel territorio falisco, a Narce e a Civita Castellana, nel Lazio a Palestrina, e nell'Etruria circumpadana a Bologna. Peculiare dell'Etruria meridionale è la filigrana a cerchietti, di Vetulonia la filigrana a meandri; comuni sono le filigrane a ondulazione semplice o a cane corrente. Continua la filigrana nell'oreficeria etrusca del sec. VI a. C., in cui specialmente è usata per formare nastri intrecciati di collane; poi si perde, sicché di essa abbiamo esempî, ma scarsi, nel sec. III a. C.
Di filigrana a intreccio abbiamo numerosi esempî nell'oreficeria greca dal sec. V al III a. C. Essa vi appare come ornamentazione sussidiaria, specialmente in spirali, viticci, palmette; anche in Grecia, come in Etruria, è usata a costituire catenelle intrecciate per collane. Nell'ellenismo la filigrana diventa meno frequente: tuttavia esempî ve ne sono in oreficerie tolemaiche.
Nell'oreficeria romana vi è nella tecnica della filigrana un certo grado di grossolanità, e le catenelle per collane non raggiungono la finezza di quelle etrusche e greche. Nei tardi tempi romani e in età barbarica la filigrana viene applicata anche alle fibule (p. es. la fibula di Giuliano, Iuliane vivas, del Museo di storia dell'arte di Vienna) e come incorniciatura di gioielli in smalto. È una rifioritura di questa tecnica che si avverte a partire dal sec. III d. C. Nell'oreficeria orientale di Siria e di Asia Minore, la filigrana si è conservata per secoli e secoli, costituendo uno dei principali elementi decorativi negli oggetti aurei: essa dura sino ai giorni nostri, e come centro di tali oreficerie deve essere designata la città di Damasco.
Nell'oreficeria medievale la filigrana, o una sua imitazione, già usata dagli orafi barbarici per i motivi a intreccio loro caratteristici, fu soprattutto usata a coprire gli spazî che rimanevano fra gli smalti o le gemme incastonate sulle lamine auree (altare di Sant'Ambrogio a Milano; ciborio di Arnolfo imperatore a Monaco; altare portatile di Sant'Andrea nel duomo di Treviri, ecc.): un esempio raffinato ne dànno le legature bizantine del Tesoro di San Marco, attestando così la generale diffusione di quella tecnica nell'Occidente e nell'Oriente. In Italia nel periodo romanico fiorisce soprattutto a Venezia: e negl'inventarî è detta opus veneticum ad filum (vasi d'arte musulmana del Tesoro di San Marco; montature di candelabri di Carlo II d'Angiò in San Nicola di Bari, ecc.); ma la tiara della tomba di Costanza a Palermo, che ha una calotta ornata con filigrana arricciata, è opera forse di artisti musulmani di Sicilia. Col sec. XIII oltralpe la filigrana è frequente ancora in opere come l'arca di Eleuterio a Tournai (1247), e nei reliquiarî gotici francesi, dove è più ricca e più plastica, a filo ritorto alternato a globetti; poi, nei secoli XIV e XV, finisce quasi con lo scomparire del tutto. In Italia nell'oreficeria gotica tarda si trova la filigrana adoperata a formare motivi floreali e saldata sul fondo d'argento riempito poi di smalti colorati; se ne servirono in tal modo orefici abruzzesi e senesi. Questo tipo ebbe larga diffusione in Ungheria nel sec. XV e nel successivo anche in Spagna. Dell'uso della filigrana nel sec. XVI attesta il Cellini che vi dedica il secondo capitolo del suo Trattato dell'oreficeria: ma effettivamente essa era ormai da noi in seconda linea di fronte alle altre tecniche. In Francia nel periodo barocco si fecero in filigrana d'argento piccoli oggetti come candelieri, forzieri, panieri, vasi, urne, sostegni, e anche stipetti in filigrana d'oro e d'argento; nei Paesi Bassi se ne fecero ornamenti di carattere popolare, la cui moda si diffuse anche in Inghilterra sotto Carlo I e i successori: e si estese alla Germania, alla Svizzera, al Tirolo, alla Spagna e al Portogallo. In Ungheria (Museo di Budapest) si eseguirono in filigrana persino busti al vero. In Italia essa risorse soltanto nella seconda metà del sec. XVII, di nuovo a Venezia, che da allora ne ha conservata una caratteristica produzione insieme con Genova. Nella seconda metà del sec. XIX si riprese, un po' dappertutto, a fare ornamenti in filigrana d'argento bianco o dorato, specie su motivi orientali. Vanno rammentate le imitazioni di modelli classici dell'orafo Alessandro Castellani, le quali diedero impulso a una fabbricazione che cercò presto di applicarsi anche a nuovi oggetti (Emilio Forte a Genova) e che si diffuse in Spagna, in Irlanda e in Scandinavia, sempre sfruttando i motivi dell'arte popolare la quale sul finire del secolo diede in alcune regioni (Baviera, Tirolo, Olanda) una copiosa produzione di ornamenti in filigrana.
Presso i popoli musulmani la filigrana fu praticata con particolare finezza. Gli esempî più antichi sono dell'Egitto fatimita (collana della raccolta Carrand, Firenze, Museo Nazionale); del sec. XII è il cofanetto d'argento dorato con rosoni e figure geometriche del tesoro dell'abbazia di Roncisvalle, del XIV alcuni gioielli di Andujar (Madrid, Museo Archeologico); non anteriori di solito al XV le armi in cui la decorazione in filigrana è particolarmente sontuosa (spada della raccolta De Luynes, Parigi, Cabinet des Medailles; elmi di Boabdil, Madrid, Armeria); ma si conoscono anche vasi d'oro con ornamenti filigranati e montature di cristalli intagliati.
Bibl.: G. Lehnert, Illustrierte Geschichte des Kunstgewerbes, Berlino s. a.; G. Karo, in Studi e materiali di archeologia e numismatica, II, Firenze 1902, p. 97 segg.; M. Rosenberg, Gesch. d. Goldschmiedekunst auf techn. Grundlage, Monaco 1908; H. Clifford Smith, Jewellery, Londra 1908; F. H. Marshall, Catalogue of the Jewellery in the British Museum, Londra 1911; British Museum, Guide to Mediaeval Antiquities, Londra 1924, pp. 136 segg., 178 segg.; C. R. Williams, Gold and Silver Jewellery, Catalogue of Egyptian Antiquities, New York 1924; Ch. Diehl, Manuel d'art byzantin, 2ª ed., Parigi 1925-1926, voll. 2; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Il Medioevo, Torino 1927, p. 1113 segg.; G. Migeon, Manuel d'art musulman: Arts plastiques et industriels, Parigi 1927; A. Riegl, Spätrömische Kuinstindustrie, 2ª ed., Vienna 1927, p. 264 segg.
Filigrana della carta.
È l'impronta lasciata nel foglio di carta da un disegno formato dallo stesso filo metallico (non soggetto a ruggine) che costituisce lo staccio montato sul telaio di legno (la cosiddetta forn a) e che si immerge nel tino. La filigrana indica generalmente il fabbricante, la cartiera e a volte il formato, la qualità della carta e la data della sua fabbricazione.
Nella voce carta (IX, pp. 194, 196, 200) è detto in particolare dei procedimenti tecnici mediante i quali si possono ottenere le filigrane e, specialmente, della loro applicazione alle cartevalori, nella fabbricazione delle quali le filigrane hanno una grande importanza come quelle che con segni specialissimi e minuti servono a far riconoscere i biglietti veri dai falsi.
Per lungo tempo le carte fabbricate in Occidente, come quelle degli Arabi, non ebbero filigrana; la prima marca appare verso il 1282, ed è una rozza croce; nel 1285 troviamo un giglio o la lettera B che accompagna la croce; nel 1286 una lettera I, nel 1288 la lettera A oppure IA: esse furono introdotte dai cartai come marche personali o di fabbrica, per distinguere i loro prodotti. Nel primo quarto del sec. XIV si trovano i nomi interi, filogranati, di una ventina di cartai probabilmente di Fabriano; ma quest'uso, del tutto locale, fu presto abbandonato, poiché pochi sapevano leggere e la marca così apposta non raggiungeva lo scopo di essere presto riconoscibile. In alcuni libri di conti del sec. XIV, conservati a Siena, troviamo menzionata carta "del signo della staffa" (1334), oppure "con l'angiolo" (1338); e in un registro di un cartaio di Fabriano (1363-1366) l'indicazione di 58 diversi tipi di carta, designati col nome delle loro filigrane. Per il sempre crescente sviluppo dell'arte grafica aumentò il numero e la varietà dei formati, così che nel sec. XVIII alcuni di essi furono designati col nome della filigrana, come la cloche, il raisin, l'ancora. Per le carte bollate oggi si usa, per ragioni varie, di notare in filigrana anche la data dell'anno di fabbrica; ma abbiamo esempî antichi di quest'uso ed il primo conosciuto reca l'anno 1545; alcuni documenti scritti su carta di Olmütz recano l'indicazione filigranata di anni dal 1578 al 1599. In origine la filigrana fu disposta arbitrariamente, poi le fu assegnato un posto al centro della metà del foglio.
Lo studio delle filigrane interessò un gran numero di storici della tipografia e di paleografi, primo forse C.G. von Murr (1776), seguito dal Sardini (Lucca 1797); ma una insigne benemerenza per queste ricerche si conquistò lo svizzero C.-M. Briquet. Per facilitare la ricerca e lo studio della filigrana è stata adottata una classificazione che dispone in ordine alfabetico i nomi degli oggetti da essa rappresentati.
Bibl.: D. Urbani, Segni di cartiere antiche, Venezia 1870; A. Zonghi, Le marche principali delle carte fabrianesi dal 1293 al 1599, Fabriano 1881; C.-M. Briquet, Les Filigranes, dictionnaire historique des marques du papier dès leur apparition vers 1282 jusqu'en 1600 (con 16.112 facsimili di filigrane), 2ª ed., 4 voll., Lipsia 1923 (con la bibl. precedente); L. Le Clert, Le Papier. Recherches et notes pour servir à l'histoire du papier, principalement à Troyes et aux environs depuis le XIVe siècle, Parigi 1926, voll. 2.
V. tavv. LV-LVIII.