FERRERO, Filiberto
Nacque a Biella nel 1500 da Maddalena Aimerico Sanseverino e da Gioffredo, signore di Casalvolone, Pezzana e Villata, che, dopo essere stato al servizio del duca di Savoia nel 1502-1503, divenne tesoriere generale delle Entrate dello Stato di Milano durante la dominazione francese. Primo di sette figli, il F., fratello del futuro cardinale Pier Francesco, era nipote dei cardinali Bonifacio e Giovanni Stefano Ferrero, sotto la cui protezione fu avviato alla carriera ecclesiastica. Compì studi giuridici e letterari e il 17 maggio 1518 lo zio Bonifacio, con il consenso di papa Leone X, gli cedette il vescovato di Ivrea.
Bonifacio peraltro si riservò la completa amministrazione della diocesi, il diritto di regresso ed una pensione di 500 ducati. Non avendo a quella data raggiunto ancora l'età canonica, il F. rimase in condizione di grave irregolarità fino a che non fu consacrato il 28 dic. 1532. In realtà, non risiedette mai nella diocesi, di cui prese possesso solo nel 1543 e che pure conservò fino alla morte, né vi fece mai una visita pastorale.Nel 1535 il F. ricevette, sempre dallo zio Bonifacio, l'abbazia di S. Michele della Chiusa (la cedette nel 1538 al fratello Pier Francesco, dal quale la riottenne nel 1549 esercitando il diritto di regresso); nel 1537 ebbe in commenda l'abbazia di S. Stefano d'Ivrea e, successivamente, quella di S. Benigno Canavese, da cui trasse notevoli benefici. Favorito dall'appartenenza ad una potente famiglia e dagli zii che occupavano alti gradi nella gerarchia ecclesiastica, il F. trovò ben presto illustri protettori. Nel 1532 fu nominato da papa Clemente VII nunzio collettore presso il duca di Savoia, Carlo II, in sostituzione di B. Martelli, vescovo di Fiesole. La scelta di un prelato proveniente da una famiglia nobile piemontese non fu casuale, anzi il pontefice sperava che il F. avrebbe incontrato minori resistenze del suo predecessore nei compiti affidatigli, tra i quali la raccolta di denaro per la lotta contro i Turchi e la visita e la riforma, per cui ebbe poteri speciali, delle persone esenti della diocesi di Vercelli.
Nel novembre del 1534 il F. fu nominato governatore di Piacenza, che raggiunse il 14 di quello stesso mese, pur mantenendo la nunziatura di Savoia, poiché il papa non provvide a sostituirlo se non verso la metà del 1540.
A Piacenza il F. fu l'interprete della nuova politica fiscale voluta da Paolo III che, nel timore di tumulti, con un breve del 26 febbr. 1535 confermò ai Piacentini i privilegi concessi dai suoi predecessori, stabilendo che neanche il governatore avrebbe potuto imporre le gabelle senza l'assenso degli ufficiali del Comune. Il F. inoltre si adoperò nella ricostruzione di molti edifici che erano andati distrutti durante il terremoto verificatosi nella notte tra il 1º ed il 2 genn. 1535; su suo ordine infatti fu eretto il bastione di S. Antonino, furono fortificate le mura ed aperte la porta di S. Raimondo e quella di S. Paolo, che il F. inaugurò l'8 ottobre di quello stesso anno.
Nell'aprile 1536 passarono per Piacenza molte compagnie italiane che erano state assoldate dal re di Francia e che dovevano congiungersi in Piemonte con l'esercito francese. Nel timore di essere assalite dagli Imperiali queste soldatesche si trattennero per diversi giorni nel territorio di Piacenza, abbandonandosi a saccheggi ed incendi. Nonostante l'opposizione del F. e del conte G. Rangone, allora comandante della guardia, i Piacentini presero le armi e scacciarono i mercenari.Il F. non rimase per molto tempo a Piacenza, dove pure ebbe contatti con P. Giovio. Si trovava infatti a Roma, quando fu nominato nunzio ordinario presso il re di Francia il 26 apr. 1537, sostituito a Piacenza da M. Aligeri, vescovo di Rieti. In Francia il F. fu nunzio ordinario dal giugno 1537 fino al maggio 1538 e legato a latere dal luglio 1538 al dicembre 1540.
La missione del F., suddito di Carlo II di Savoia, considerato ostile dai Francesi, iniziava nelle condizioni meno favorevoli, tanto più che egli era stato preferito a C. Trivulzio, assai legato invece agli interessi della corte francese. D'altra parte lo scopo essenziale della missione - che era quello di rassicurare Francesco I sulle intenzioni di neutralità e di mediazione del papa nella lotta tra Francia e Impero - non era certo facilitato dalle richieste di Paolo III: che il re consentisse alle nozze tra Ottavio Farnese e Margherita d'Austria e che aderisse finanziariamente e militarmente alla lega contro il Turco, smentendo così i sospetti di una segreta alleanza tra la Francia e il sultano. Inoltre la poco convinta asserzione di Paolo III di voler convocare il concilio per sancire la pacificazione incontrava lo scetticismo di Francesco I, ostile sia alla scelta della sede di Mantova, troppo esposta all'influenza imperiale, sia alle diverse bolle papali di proroga, di cui in effetti rifiutò la pubblicazione richiesta dal Ferrero.
Escluso a lungo dall'udienza del re, che così manifestava la sua ostilità all'ambigua politica del pontefice, il F. riuscì a confortare ben poco le speranze di Paolo III di essere riconosciuto come prestigioso mediatore tra le potenze. Si limitò a seguire con preoccupata attenzione le trattative fra la corte francese ed Enrico VIII, che intendeva sostituirsi al pontefice appunto in tale ruolo, e ad insistere perché fosse inviato a Roma un negoziatore francese. Infine la tregua di Nizza, cui si giunse nel giugno 1538, deluse ampiamente le aspettative del papa, perché era solo una sospensione delle ostilità, non l'auspicata pacificazione generale. Di questo sostanziale insuccesso fu ritenuta corresponsabile anche la scarsa iniziativa diplomatica del F., che, dopo aver incontrato il papa a Nizza, fu rinviato a Parigi con i più limitati poteri di legato a latere.
La relativa bolla pontificia del 19 sett. 1538, registrata in Parlamento il 16 dicembre seguente, limitava inoltre i poteri del F. in materia di riforma e di indulto, sulla quale non erano mancati conflitti con i cardinali francesi. Infine gli furono affiancati nella nunziatura i ben più autorevoli cardinali R. Pole, nel 1539, e A. Farnese, nel 1540. Il F. fu quindi sostanzialmente ridotto ad un ruolo di osservatore, anche in questo peraltro ritenuto insufficiente dalla Curia, che avrebbe desiderato analisi della realtà francese più approfondite di quanto egli fosse capace. Infine nell'aprile 1540, quando già si profilava la minaccia di una nuova guerra, il F. chiese a Roma di essere richiamato. In effetti, sostituito dall'internunzio G. Dandini, il 26 dic. 1540 prese congedo dalla corte di Francia, nella quale lasciava pochi rimpianti, anche se Francesco I lo gratificò di 1.500 scudi.
Il F. raggiunse Avignone, di cui era stato nominato vicelegato, e fu subito coinvolto in una nuova controversia con la corte di Francia. Preso in ostaggio dai Francesi Giorgio d'Austria, arcivescovo di Valenza, come rappresaglia per l'assassinio degli inviati A. Rincon e C. Fregoso da parte degli Imperiali, il F. diede rifugio nel territorio di Avignone alla scorta spagnola dell'arcivescovo, provocando le veementi proteste di Francesco I, che giunse a revocare al F. la concessione dell'abbazia di S. Michele della Chiusa. Mentre il Dandini, per porre fine all'Incidente, chiedeva a Roma il richiamo del F. da Avignone, lo stesso F. si recò a Parigi dove l'11 genn. 1542, ricevuto dal re, riuscì a ricomporre la controversia.
Ritornato in Italia, il 23 luglio 1543 il F. fu nominato governatore di Ancona e legato della Marca, dove rimase sicuramente fino all'agosto del 1544. Nel settembre era a Bologna, come testimonia il Giovio in una lettera del 19 settembre al cardinale A. Farnese. Il 1º febbr. 1545 il F. fu nominato nuovamente nunzio e commissario della Camera apostolica presso il duca di Savoia. Confermatigli all'atto della nomina i poteri che gli erano stati concessi nella precedente nunziatura, soprattutto riguardo alla riforma delle persone esenti della diocesi di Vercelli, il F. rimase poco tempo in Piemonte. Con l'occasione di accompagnare il principe Emanuele Filiberto, figlio del duca di Savoia, nel primo tratto del suo viaggio in Germania, il 7 giugno 1545 si fermò a Trento per le sessioni preparatorie del concilio.
Partecipò alla sessione di apertura del concilio il 13 dic. 1545 e, poiché erano subito sorti violenti contrasti in seguito alla richiesta da parte di alcuni prelati di esclusione dei regolari, il F. fu incaricato di ottenere informazioni su tutti i convenuti. Fu coadiuvato nei tre mesi dell'incarico da T. Campeggi, vescovo di Feltre, e da G. T. Sanfelice, vescovo di Cava. Era presente anche alla II sessione, apertasi il 7 genn. 1546; in quell'occasione si schierò con i prelati italiani affinché nel concilio si discutesse non della riforma, ma solo dei dogmi contro le eresie luterane, come Paolo III aveva insistentemente richiesto a Carlo V. Non partecipò alla III sessione: trasferitosi dapprima a Padova per curare i reumatismi (7 febbraio), nel luglio 1546raggiunse Roma, lasciando procura ai vescovi di Senigallia e Bitonto, M. Vigerio e C. Mussi, affinché lo rappresentassero al concilio. Grazie all'appoggio del cardinale C. Madruzzo, che già aveva fatto pressioni in proposito, ottenne finalmente la porpora cardinalizia, con il titolo di S. Vitale, l'8 apr. 1549.
Morì a Roma nella notte tra il 13 ed il 14 ag. 1549. Fu prima sepolto nella chiesa di S. Maria della Pace ed in seguito le sue spoglie furono trasferite a Biella nella tomba di famiglia.
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